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GIOVEDÌ 5 FEBBRAIO 2009 – IV SETTIMANA DEL T.O.

GIOVEDÌ 5 FEBBRAIO 2009 – IV SETTIMANA DEL  T.O.

SANT’AGATA (m)

MESSA DEL GIORNO

Prima Lettura   Eb 12, 18-19.21-24
Voi vi siete accostati al monte di Sion e alla città del Dio vivente.

Dalla lettera agli Ebrei
Fratelli, voi non vi siete accostati a un luogo tangibile e a un fuoco ardente, né a oscurità, tenebra e tempesta, né a squillo di tromba e a suono di parole, mentre quelli che lo udivano scongiuravano che Dio non rivolgesse più a loro la parola.
Lo spettacolo, in realtà, era così terrificante che Mosè disse: Ho paura e tremo. Voi vi siete invece accostati al monte di Sion e alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste e a mirìadi di angeli, all’adunanza festosa e all’assemblea dei primogeniti iscritti nei cieli, al Dio giudice di tutti e agli spiriti dei giusti portati alla perfezione, al Mediatore della Nuova Alleanza e al sangue dell’aspersione dalla voce più eloquente di quello di Abele.

UFFICIO DELLE LETTURE

Prima Lettura
Dalla seconda lettera ai Tessalonicesi di san Paolo, apostolo 1, 1-12

Saluti e azione di grazie
Paolo, Silvano e Timòteo alla Chiesa dei Tessalonicesi che è in Dio Padre nostro e nel Signore Gesù Cristo: grazia a voi e pace da Dio Padre e dal Signore Gesù Cristo.
Dobbiamo sempre ringraziare Dio per voi, fratelli, ed è ben giusto. La vostra fede infatti cresce rigogliosamente e abbonda la vostra carità vicendevole; così noi possiamo gloriarci di voi nelle Chiese di Dio, per la vostra fermezza e per la vostra fede in tutte le persecuzioni e tribolazioni che sopportate. Questo è un segno del giusto giudizio di Dio, che vi proclamerà degni di quel regno di Dio, per il quale ora soffrite. E’ proprio della giustizia di Dio rendere afflizione a quelli che vi affliggono e a voi, che ora siete afflitti, sollievo insieme a noi, quando si manifesterà il Signore Gesù dal cielo con gli angeli della sua potenza in fuoco ardente, a far vendetta di quanti non conoscono Dio e non obbediscono al vangelo del Signore nostro Gesù. Costoro saranno castigati con una rovina eterna, lontano dalla faccia del Signore e dalla gloria della sua potenza, quando egli verrà per esser glorificato nei suoi santi ed esser riconosciuto mirabile in tutti quelli che avranno creduto, perché è stata creduta la nostra testimonianza in mezzo a voi. Questo accadrà, in quel giorno.
Anche per questo preghiamo di continuo per voi, perché il nostro Dio vi renda degni della sua chiamata e porti a compimento, con la sua potenza, ogni vostra volontà di bene e l’opera della vostra fede; perché sia glorificato il nome del Signore nostro Gesù in voi e voi in lui, secondo la grazia del nostro Dio e del Signore Gesù Cristo.

Responsorio    Cfr. 2 Ts 1, 10; Sal 144, 17
R. Verrà il Signore, e sarà glorificato nei suoi santi; * sarà riconosciuto mirabile in quelli che hanno creduto.
V. Giusto è il Signore in tutte le sue vie, santo in tutte le sue opere:
R. sarà riconosciuto mirabile in quelli che hanno creduto.

SECONDA LETTURA DAL T.O.

Dalle  » Catechesi  » di san Cirillo di Gerusalemme, vescovo.

La croce sia la tua gioia anche in tempo di persecuzione

Senza dubbio ogni azione di Cristo è fonte di gloria per la Chiesa cattolica; ma la croce è la gloria delle glorie. E’ proprio questo che diceva Paolo: Lungi da me il gloriarmi se non nella croce di Cristo (cfr. Gal 6, 14).

Fu certo una cosa straordinaria che quel povero cieco nato riacquistasse la vista presso la piscina di Sìloe: ma cos’è questo in paragone dei ciechi di tutto il mondo? Cosa eccezionale e fuori dell’ordine naturale che Lazzaro, morto da ben quattro giorni, ritornasse in vita. Ma questa fortuna toccò a lui e a lui soltanto. Che cosa è mai se pensiamo a tutti quelli che, sparsi nel mondo intero, erano morti per i peccati?

Stupendo fu il prodigio che moltiplicò i cinque pani fornendo il cibo a cinquemila uomini con l’abbondanza di una sorgente. Ma che cosa è questo miracolo quando pensiamo a tutti coloro che sulla faccia della terra erano tormentati dalla fame dell’ignoranza? Così pure fu degno di ammirazione il miracolo che in un attimo liberò dalla sua infermità quella donna che Satana aveva tenuta legata da ben diciotto anni. Ma anche questo che cos’è mai in confronto della liberazione di tutti noi, carichi di tante catene di peccati?

La gloria della croce ha illuminato tutti coloro che erano ciechi per la loro ignoranza, ha sciolto tutti coloro che erano legati sotto la tirannide del peccato e ha redento il mondo intero.

Non dobbiamo vergognarci dunque della croce del Salvatore, anzi gloriamocene. Perché se è vero che la parola  » croce  » è scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani, per noi è fonte di salvezza.

Se per quelli che vanno in perdizione è stoltezza, per noi che siamo stati salvati, è fortezza dì Dio. Infatti non era un semplice uomo colui che diede la vita per noi, bensì il Figlio di Dio, Dio stesso, fattosi uomo.

Se una volta quell’agnello, immolato secondo la prescrizione di Mosè, teneva lontano l’Angelo sterminatore, non dovrebbe avere maggiore efficacia per liberarci dai peccati l’Agnello che toglie il peccato del mondo? Se il sangue di un animale irragionevole garantiva la salvezza, il sangue dell’Unigenito di Dio non dovrebbe recarci la salvezza nel vero senso della parola?

Egli non morì contro la sua volontà, né fu la violenza a sacrificarlo, ma si offrì di propria volontà. Ascolta quello che dice: Io ho il potere di dare la mia vita ed il potere di riprenderla (cfr. Gv 10, 18). Egli dunque andò incontro alla sua passione di propria volontà, lieto di un’opera così sublime, pieno di gioia dentro di sé per il frutto che avrebbe dato cioè la salvezza degli uomini. Non arrossiva della croce, perché procurava la redenzione al mondo. Né era un uomo da nulla colui che soffriva, bensì Dio fatto uomo, e come uomo tutto proteso a conseguire la vittoria nell’obbedienza.

Perciò la croce non sia per te fonte di gaudio soltanto in tempo di tranquillità, ma confida che lo sarà parimenti nel tempo della persecuzione. Non ti avvenga di essere amico di Gesù solo in tempo di pace e poi nemico in tempo di guerra.

Ora ricevi il perdono dei tuoi peccati e i grandi benefici della donazione spirituale del tuo re e così, quando si avvicinerà la guerra, combatterai da prode per il tuo re.

È stato crocifisso per te Gesù, che nulla aveva fatto di male: e tu non ti lasceresti crocifiggere per lui che fu inchiodato sulla croce per te? Non sei tu a fare un dono, ma a riceverlo prima ancora di essere in grado di farlo, e in seguito, quando vieni a ciò abilitato, tu rendi semplicemente il contraccambio della gratitudine, sciogliendo il tuo debito a colui che per tuo amore fu crocifisso sul Golgota.

LODI

Lettura Breve   2 Cor 1, 3-5
Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione, il quale ci consola in ogni nostra tribolazione perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in qualsiasi genere di afflizione con la consolazione con cui siamo consolati noi stessi da Dio. Infatti, come abbondano le sofferenze di Cristo in noi, così, per mezzo di Cristo, abbonda anche la nostra consolazione.

MERCOLEDÌ 4 FEBBRAIO 2009- IV SETTIMANA DEL T.O.

MERCOLEDÌ 4 FEBBRAIO 2009- IV SETTIMANA DEL T.O.

MESSA DEL GIORNO

Prima Lettura   Eb 12, 4-7. 11-15

Fratelli, voi non avete ancora resistito fino al sangue nella vostra lotta contro il peccato e avete già dimenticato l’esortazione a voi rivolta come a figli: “Figlio mio, non disprezzare la correzione del Signore e non ti perdere d’animo quando sei ripreso da lui; perché il Signore corregge colui che egli ama e sferza chiunque riconosce come figlio”.
E’ per la vostra correzione che voi soffrite! Dio vi tratta come figli; e qual è il figlio che non è corretto dal padre? Certo, ogni correzione, sul momento, non sembra causa di gioia, ma di tristezza; dopo però arreca un frutto di pace e di giustizia a quelli che per suo mezzo sono stati addestrati.
Perciò rinfrancate le mani cadenti e le ginocchia infiacchite e raddrizzate le vie storte per i vostri passi, perché il piede zoppicante non abbia a storpiarsi, ma piuttosto a guarire.
Cercate la pace con tutti e la santificazione, senza la quale nessuno vedrà mai il Signore, vigilando che nessuno venga meno alla grazia di Dio. Non spunti né cresca alcuna radice velenosa in mezzo a voi e così molti ne siano infettati;

UFFICIO DELLE LETTURE

Prima Lettura
Dalla prima lettera ai Tessalonicesi di san Paolo, apostolo 5, 1-28

Lo stile di vita dei figli della luce
Riguardo poi ai tempi e ai momenti, fratelli, non avete bisogno che ve ne scriva; infatti voi ben sapete che come un ladro di notte, così verrà il giorno del Signore. E quando si dirà: «Pace e sicurezza», allora d’improvviso li colpirà la rovina, come le doglie una donna incinta; e nessuno scamperà. Ma voi, fratelli, non siete nelle tenebre, così che quel giorno possa sorprendervi come un ladro: voi tutti infatti siete figli della luce e figli del giorno; noi non siamo della notte, né delle tenebre. Non dormiamo dunque come gli altri, ma restiamo svegli e siamo sobri.
Quelli che dormono, infatti, dormono di notte; e quelli che si ubriacano, sono ubriachi di notte. Noi invece, che siamo del giorno, dobbiamo essere sobri, rivestiti con la corazza della fede e della carità e avendo come elmo la speranza della salvezza. Poiché Dio non ci ha destinati alla sua collera ma all’acquisto della salvezza per mezzo del Signor nostro Gesù Cristo, il quale è morto per noi, perché, sia che vegliamo sia che dormiamo, viviamo insieme con lui. Perciò confortatevi a vicenda edificandovi gli uni gli altri, come già fate.
Vi preghiamo poi, fratelli, di aver riguardo per quelli che faticano tra di voi, che vi sono preposti nel Signore e vi ammoniscono; trattateli con molto rispetto e carità, a motivo del loro lavoro. Vivete in pace tra voi. Vi esortiamo, fratelli: correggete gli indisciplinati, confortate i pusillanimi, sostenete i deboli, siate pazienti con tutti. Guardatevi dal rendere male per male ad alcuno; ma cercate sempre il bene tra voi e con tutti. State sempre lieti, pregate incessantemente, in ogni cosa rendete grazie; questa è infatti la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi. Non spegnete lo Spirito, non disprezzate le profezie; esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono. Astenetevi da ogni specie di male.
Il Dio della pace vi santifichi fino alla perfezione, e tutto quello che è vostro, spirito, anima e corpo, si conservi irreprensibile per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo. Colui che vi chiama è fedele e farà tutto questo!
Fratelli, pregate anche per noi.
Salutate tutti i fratelli con il bacio santo. Vi scongiuro, per il Signore, che si legga questa lettera a tutti i fratelli.
La grazia del Signore nostro Gesù Cristo sia con voi.

Responsorio   Cfr. 1 Ts 5, 9. 10; Col 1, 13
R. Dio non ci destina alla sua collera, ma all’acquisto della salvezza per mezzo di Gesù: * egli è morto per noi, perché viviamo insieme con lui.
V. Dio ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del suo diletto Figlio:
R. egli è morto per noi, perché viviamo insieme con lui.

Seconda Lettura
Dai «Capitoli sulla perfezione spirituale» di Diadoco di Fotice, vescovo
(Capp. 6. 26. 27. 30; PG 65, 1169. 1175-1176)

La scienza della discrezione degli spiriti si acquista con la sapienza
E’ lume della vera saggezza discernere il bene dal male senza sbagliare. Quando ciò avviene, allora la via della giustizia conduce la mente a Dio, sole di giustizia, e introduce nello sfolgorio infinito della scienza la mente stessa che cerca ormai con grande fiducia l’amore. E’ necessario che coloro che combattono cerchino di conservare l’animo libero da interno turbamento, perché la mente, discernendo i pensieri che le si affacciano, possa conservare nel santuario della memoria quelli che sono buoni e mandati da Dio, e scacciare invece quelli che sono cattivi e suggeriti dal demonio. Anche il mare quando è perfettamente calmo permette ai pescatori una visibilità che arriva fino al fondo, di modo che i pesci non sfuggono al loro sguardo. Ma quando è sconvolto dai venti, nasconde con le onde torbide ciò che nella calma mostra chiaramente; e così rimangono infruttuosi tutti gli accorgimenti che usano i pescatori per catturare i pesci.
Ora è soltanto allo Spirito Santo che appartiene il compito di purificare le menti: infatti se non entra quel forte per sopraffare il ladro, la preda non gli potrà essere tolta. E’ necessario quindi che noi con la pace dell’anima alimentiamo l’azione dello Spirito Santo, ossia che teniamo in noi stessi sempre accesa la lucerna della chiaroveggenza, poiché mentre essa risplende nel segreto della mente, non soltanto quegli attacchi insidiosi e tenebrosi dei demoni vengono scoperti, ma vengono altresì sgominati perché colpiti da quella luce santa e gloriosa.
Per questo l’Apostolo raccomanda: «Non spegnerete lo Spirito» (1 Ts 5, 19), cioè non rattristate lo Spirito Santo a causa della vostra malizia o dei cattivi pensieri, perché egli non desista dal proteggervi con quel suo divino splendore. In realtà non è possibile spegnere quel lume eterno e vivificante che è lo Spirito Santo, ma è possibile che la sua tristezza, ossia la nausea per noi, lo costringa a lasciare priva della luce della conoscenza e tutta avvolta nella oscurità la nostra anima. Il discernimento della mente è la perfetta sapienza con la quale le cose vengono giudicate. Quando l’organismo è sano, con il senso del gusto noi sappiamo distinguere ciò che fa bene da quanto ci fa male e cerchiamo quanto ci piace.
Così è della nostra mente, quando è in perfetto equilibrio. Pur in mezzo a mille preoccupazioni, è in grado di godere pienamente della consolazione divina. Anzi può conservare a lungo il ricordo della sua dolcezza mediante l’esercizio della carità. Questa poi tende a conseguire beni sempre più alti, come dice l’Apostolo: «E di questo vi prego: che la
vostra carità cresca sempre più in ogni scienza ed in ogni senso, perché tendiate a beni più grandi» (cfr. Fil 1, 10).

MARTEDÌ 3 FEBBRAIO 2009 – IV SETTIMANA DEL T.O.

MARTEDÌ 3 FEBBRAIO 2009 - IV SETTIMANA DEL T.O.

San Biagio (mf)

MESSA DEL GIORNO

Prima Lettura  Eb 12, 1-4

Fratelli, anche noi, circondàti da un gran numero di testimoni, deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede.
Egli in cambio della gioia che gli era posta innanzi, si sottopose alla croce, disprezzando l’ignominia, e si è assiso alla destra del trono di Dio.
Pensate attentamente a colui che ha sopportato contro di sé una così grande ostilità dei peccatori, perché non vi stanchiate perdendovi d’animo.
Non avete ancora resistito fino al sangue nella vostra lotta contro il peccato .

UFFICIO DELLE LETTURE

Prima Lettura
Dalla prima lettera ai Tessalonicesi di san Paolo, apostolo 4, 1-18

La santità della vita e la speranza della risurrezione
Fratelli, vi preghiamo e supplichiamo nel Signore Gesù: avete appreso da noi come comportarvi in modo da piacere a Dio, e così già vi comportate; cercate di agire sempre così per distinguervi ancora di più. Voi conoscete infatti quali norme vi abbiamo dato da parte del Signore Gesù. Perché questa è la volontà di Dio, la vostra santificazione: che vi asteniate dalla impudicizia, che ciascuno sappia mantenere il proprio corpo con santità e rispetto, non come oggetto di passioni e libidine, come i pagani che non conoscono Dio; che nessuno offenda e inganni in questa materia il proprio fratello, perché il Signore è vindice di tutte queste cose, come già vi abbiamo detto e attestato. Dio non ci ha chiamati all’impurità, ma alla santificazione. Perciò chi disprezza queste norme non disprezza un uomo, ma Dio stesso, che vi dona il suo Santo Spirito.
Riguardo all’amore fraterno, non avete bisogno che ve ne scriva; voi stessi infatti avete imparato da Dio ad amarvi gli uni gli altri, e questo voi fate verso tutti i fratelli dell’intera Macedonia. Ma vi esortiamo, fratelli, a farlo ancora di più e a farvi un punto di onore: vivere in pace, attendere alle cose vostre e lavorare con le vostre mani, come vi abbiamo ordinato, al fine di condurre una vita decorosa di fronte agli estranei e di non aver bisogno di nessuno.
Non vogliamo poi lasciarvi nell’ignoranza, fratelli, circa quelli che sono morti, perché non continuiate ad affliggervi come gli altri che non hanno speranza. Noi crediamo infatti che Gesù è morto e risuscitato; così anche quelli che sono morti, Dio li radunerà per mezzo di Gesù insieme con lui. Questo vi diciamo sulla parola del Signore: noi che viviamo e saremo ancora in vita per la venuta del Signore, non avremo alcun vantaggio su quelli che sono morti. Perché il Signore stesso, a un ordine, alla voce dell’arcangelo e al suono della tromba di Dio, discenderà dal cielo. E prima risorgeranno i morti in Cristo; quindi noi, i vivi, i superstiti, saremo rapiti insieme con loro tra le nuvole, per andare incontro al Signore nell’aria, e così saremo sempre con il Signore. Confortatevi dunque a vicenda con queste parole.

Responsorio    Cfr. 1 Ts 4, 16; Mc 13, 27; Mt 24, 31
R. Il Signore stesso con un suo comando, alla voce dell’arcangelo, al suono della tromba di Dio, scenderà dal cielo, * e radunerà gli eletti dall’estremità della terra all’estremità del cielo.
V. Quando verrà il Figlio dell’uomo, manderà i suoi angeli con una grande tromba,
R. e radunerà gli eletti dall’estremità della terra all’estremità del cielo.

VESPRI

Lettura Breve   Col 3, 16
La parola di Cristo dimori tra voi abbondantemente; ammaestratevi e ammonitevi con ogni sapienza, cantando a Dio di cuore e con gratitudine salmi, inni e cantici spirituali.

San Beda il Venerabile: Giovanni Battista, martire della verità

dal sito:

http://www.vangelodelgiorno.org/www/main.php?language=IT&localTime=02/06/2009#

San Beda il Venerabile (circa 673-735), monaco, dottore della Chiesa
Discorsi,  23; CCL 122, 354, 356-357

Giovanni Battista, martire della verità
Senz’alcun dubbio Giovanni Battista ha subito il carcere per il nostro Redentore che egli precedeva con la sua testimonianza; per lui ha dato la sua vita. Infatti, anche se il suo persecutore non gli ha domandato di negare Cristo ma di tacere la verità, è tuttavia per Cristo che è morto; Cristo in persona infatti ha detto: «Sono la verità» (Gv 14,6). Poiché Giovanni ha sparso il suo sangue per la verità, l’ha sparso per Cristo. Giovanni aveva testimoniato con la sua nascita che Cristo sarebbe nato; predicando aveva testimoniato che Cristo avrebbe predicato, battezzando che avrebbe battezzato. Soffrendo per primo la sua passione, accennava che anche Cristo avrebbe dovuto soffrirla…

Questo grandissimo uomo giunse dunque al termine della sua vita con l’effusione del suo sangue, dopo una lunga e penosa prigionia. Lui che aveva annunciato la buona novella della libertà di una pace superiore, è gettato in carcere dagli empi. È rinchiuso nell’oscurità di una cella, colui che aveva reso testimonianza alla luce… Con il proprio sangue viene battezzato colui al quale fu dato di battezzare il Redentore del mondo, di sentire la voce del Padre celeste rivolgersi a Cristo, e di vedere scendere su di lui la grazia dello Spirito Santo.

L’ha detto appunto l’apostolo Paolo: «A voi è stata concessa la grazia non solo di credere in Cristo, ma anche di soffrire per lui» (Fil 1,29). E dice che soffrire per Cristo è un dono di lui ai suoi eletti poiché, come dice altrove: «Le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi» (Rm 8,8).

Padre Marco Adinolfi: LA PASSIONE DI CRISTO IN SAN PAOLO

LA PASSIONE DI CRISTO IN SAN PAOLO

Padre Marco Adinolfi

corso di studi  anno 1993/94
Pontificia Università Antonianum – Roma

Paurosamente infame per gli antichi il supplizio della croce, che Cicerone chiama « il più crudele e il più tetro » (In Verrem 2 5,64,165) e Tacito « la morte più turpe » (Historiae 4,3,11). Una pena riservata di solito al ladro sacrilego, al disertore, al ribelle, al reo di alto tradimento. Una nefandezza che, secondo Cicerone, i cittadini romani non possono giuridicamente provare nella loro carne, e il cui solo nome deve essere lontano dal loro pensiero, dalla loro vista e dal loro udito (Pro Rabirio 5,6).
Nietzsche è dunque vicino al vero quando nel suo Al di là del bene e del male scrive: « Gli uomini moderni…non avvertono quanto di superlativamente orribile c’era, per un gusto antico, nel paradosso della formula del « dio crocifisso ».
Eppure Paolo ha il coraggio di incentrare proprio in Cristo crocifisso il suo messaggio, il suo vangelo.
Tre le parti della presente relazione. Dopo una esposizione preliminare sulla terminologia paolina della passione di Cristo (1), esaminerò in quali rapporti con la passione sono visti il Padre (2) poi Gesù stesso (3).

1. La terminologia della passione di Cristo

Paolo allude alla passione di Cristo parlando – oltre che della sua morte, su cui occorrerà tornare – della sua croce, del suo sangue, delle sue sofferenze, delle sue ferite.
È il crocifisso tutto quanto l’apostolo decide di sapere tra i Corinzi (1Cor 2,2), , che rappresenta al vivo  agli occhi dei Galati (Gal 3,1), che va predicando (1Cor 1,23).
Mediante il sangue della croce Dio ha tutto riconciliato a sé (Col 1,20) e, inchiodandolo alla croce, ha annullato il documento del nostro debito (2,14). Fino alla morte di croce Gesù è stato obbediente (Fil 2,8) e per mezzo della croce ha operato la riconciliazione con Dio di ebrei e pagani (Ef 2,16). Dal modo di accoglierla la parola della croce risulta stoltezza e potenza divina (1Cor 1,8) . Da nemici della croce si comportano i giudaizzanti, Paolo invece non vuol vanificare la croce con discorsi sapienti (1Cor 1,17) e rifiuta ogni vanto che non sia la croce (Gal 6,14).
Per mezzo del suo sangue Cristo è stato predestinato da Dio a servire di espiazione (Rm 3,25). Mediante il sangue di Cristo siamo stati giustificati e abbiamo la redenzione (Ef 1,7), così come i pagani convertiti sono stati avvicinati a Dio (2,13). Il sangue di Cristo è la nuova alleanza (1Cor 11,25): con questo sangue ci si mette in comunione bevendo il calice eucaristico (10,16), mentre saremo colpevoli verso questo sangue bevendo indegnamente il calice (11,27).
I patimenti subiti da Gesù nella sua vita mortale Paolo li sente rifluire copiosamente su di sé (2Cor 1,5). Altrove si augura di partecipare a tali patimenti (Fil 3,10), fino a sentirsi cosciente di supplire con le sue tribolazioni alla incompletezza che Gesù ha imposto alla sua sofferta attività terrena per via del limitato raggio di azione (la sola Palestina) e dei scarsi risultati (Col 1,24).
Le ferite di Cristo crocifisso, infine, sono visibili nelle cicatrici (stigmata) che l’apostolo perseguitato reca nel corpo e che indicano visibilmente la sua partecipazione alla passione del Maestro (Gal 6,17).

2. Il Padre e la passione di Cristo

Anche nella passione di Cristo l’iniziativa è del Padre.
È lui che lo ha dato, consegnato, il verbo paradidodòmi, consegno, tipico della passione, viene ripetute tre volte, di cui al passivo teologico.
Superando infinitamente il gesto di Abramo (Gen 22,16), Dio non ha avuto riguardi per suo Figlio, non lo ha risparmiato, ma lo ha consegnato (1Cor 11,23), lo ha consegnato « per tutti noi » (Rm 8,32), « per i nostri peccati » (4,21).
Mediante due « formule di invio », Paolo insegna che è stato Dio a mandare il proprio Figlio per « condannare » il peccato nella carne » (Rm 8,3), per riscattare coloro che erano sotto la legge e adottarli come figli (Gal 4,4-5).
È stato per l’agape, per amore di Dio verso di noi (Rm 5,8), « per il grande amore con cui egli ci ha amati » (Ef 2,4), è stato per la filantropia di Dio nostro Salvatore (Tt 3,4) che « Cristo è morto per noi quando eravamo ancora peccatori » (Rm 5,8), che Dio ci ha dato la vita con Cristo mentre eravamo morti a causa delle nostre colpe (Ef 2,4), che Dio ci ha salvati effondendo in abbondanza su di noi lo Spirito Santo per mezzo di Gesù Cristo (Tt 3,6) . Non ha torto dunque Paolo quando si dichiara convinto che da quest’amore di Dio manifestato in Gesù Cristo nulla e nessuno potrà mai separarci (Rm 8,32-39).
È stato Dio Padre che ha destinato suo Figlio a servire da espiazione per le nostre colpe (Rm 3,25), giungendo ad identificarlo con il peccato, a trattarlo da peccato (letteralmente, a farlo peccato) proprio Lui, Gesù Cristo, che non aveva commesso alcun peccato (2Cor 5,21).
È stato Dio che per mezzo di Cristo, per il suo sangue, ci ha fatto diventare giustizia (2Cor 5,25), ci ha giustificati (Rm 5,9). È stato Dio  che mediante Cristo (1Cor 5,18; Col 1,20), in Cristo (1Cor 1,19), per mezzo della morte del suo Figlio (Rm 5,10), ha riconciliato a sé noi (1Cor 5,18; Rm 5,10), il mondo (1Cor 5,19), tutte le cose (Col 1,20).
Col peccato gli uomini frapponevano un ostacolo alla loro comunione con Dio. Chiusi nel loro criminoso egoismo, erano diventati nemici di Dio. Dio allora è intervenuto. Mediante Cristo non ha più imputato a più a noi i peccati nostri, ce li ha perdonati. Ha ricomposto così il dissidio che ci teneva lontani da lui.
Ci ha offerto la giustificazione e la riconciliazione. Mente la giustificazione ritrae il lato piuttosto giuridico dei nuovi rapporti degli uomini con Dio, la riconciliazione ne esalta la componente affettiva. Reintegrati nella sua amicizia, gli uomini sono riammessi alla comunione con la  vita intima di Dio.
La medesima sovrumana iniziativa di Dio emerge dalla tematica della croce-stoltezza.
A dispetto delle sue note oscurità di dettagli, illuminante 1Cor 1,21: « Poiché infatti nel sapiente  disegno di Dio (nella sapienza di Dio) il mondo con (tutta) la (sua)  sapienza non ha conosciuto Dio, è piaciuto a Dio di salvare i credenti con la stoltezza della predicazione ».
Sapienza e stoltezza si avvicendano nella economia della salvezza. Sapienza di Dio: sapienza autentica, che in pratica e in teoria può esser disprezzata come stoltezza. Sapienza degli uomini: sapienza autentica se aperta verso Dio; sapienza inautentica se ateisticamente autonoma, e dunque vera e propria stoltezza.
Dal punto di vista della dialettica sapienza divina-sapienza umana, si potrebbero distinguere quattro tempi nella storia della salvezza.
Il primo tempo è illuminato dalla sapienza di Dio. Dio si autorivela nel creato perché gli uomini in ciò che esiste si aprano a captare il riflesso del Creatore e a prendere coscienza del loro carattere creaturale, ritenendo Dio il fondamento universale dell’essere.
Il secondo tempo è reso opaco dallo scacco della sapienza umana. nella sua orgogliosa ingratitudine l’uomo storico, invece di porsi davanti a Dio, si ripiega su se stesso, si pone al posto di Dio come fondamento dell’essere, e tutto e tutti giudica col parametro della sua atea autosufficienza.
In terzo tempo riacquista la limpidezza della sapienza divina. Dando fondo ai tesori del suo amoroso piano di salvezza, Dio di autorivela nel Cristo crocifisso.
Il quarto tempo può essere oscurato o rischiarato dalla sapienza umana. Se si irretisce in una sapienza immanentistica l’uomo si ostina a non riconoscere Dio rigettandolo come somma stoltezza la croce di Cristo.  Se invece opera la sua liberazione  mediante una sapienza aperta alla trascendenza, l’uomo riconosce e serve il suo Dio accettando nella fede la croce di Cristo come sapienza superiore.
Insomma, mentre per coloro che accolgono la chiamata salvatrice di Dio, Cristo Crocifisso è potente sapienza di Dio (1.18: dynamis Theou; 1,24 Theou sophias), per quelli che si pongono sulla via della perdizione la croce non è che stoltezza (1,18).
In realtà « Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti (…) perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio » (1Cor 1,27.29).

3. Cristo e la sua passione

Anche da parte di Gesù l’agape è il movente della passione.
Per tre volte il suo amore è collegato esplicitamente alla morte per l’umanità. « Il Figlio di Dio mi ha amato e ha dato se stesso per me » (Gal 2,20); « Cristo ci ha amati e ha dato se stesso per noi » (Ef 5,2); « Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei » (5,25). È chiaro che nell’amore di Cristo occorre cogliere i palpiti dell’amore di Dio.
Il verbo della passione paradidômi (consegno, do) ricompare sei volte.
Quattro volte si esplicita a vantaggio di coloro ai quali Cristo si è dato, si è consegnato: « per me » (Gal 2,20), « per noi » (Ef 5,2; Tt 2,14), « per lei (la Chiesa) (Ef 5,25).
In Gal 2,20 la frase « ha dato se stesso per me » manca di qualsiasi specificazione che invece di trova in tutti gli altri casi. Così in Gal 1,4 al posto di « se stesso » (ha dato se stesso) si ha « per i nostri peccati ». Due volte viene aggiunto a « se stesso » un predicato di questo complemento oggetto: « (come) offerta e vittima a Dio in soave odore » (Ef 5,2): « (come) riscatto per tutti » (1Tim 2,6). E tre volte viene usata la congiunzione finale .ohina. affinché: « per renderla santa… » (Ef 5.25); « per riscattarci » (Tt 2,14) .o hopôs. affinché: « per strapparci a questo mondo perverso » (Gal 1,4).
La preposizione hyper, per, segue non di rado la menzione della morte di Cristo. Cristo è morto per noi (Rm 5,8; Ts 5,10), per il fratello spiritualmente debole (Rm 14,15;1Cor 8,11), « per gli empi » (Rm 5,6), per tutti (2Cor 5,14-15), « per i nostri peccati » (1Cor 15,3).
Molto ricca teologicamente l’affermazione di Rm 15,3: « Cristo non cercò di piacere a se stesso ma, come sta scritto: « gli insulti di coloro che ti insultano sono caduti sopra di me » (Sal 69, 10).
La vita di Cristo si svolse all’insegna della pro-esistenza. Cristo non ha perseguito egoisticamente il proprio vantaggio personale, ma si è preso cura sempre e solo degli interessi di Dio e degli uomini. Ha salvaguardato la gloria di Dio addossandosi – specie durante la passione – gli oltraggi degli uomini diretti contro il loro Creatore.
Riprendendo i brani presentati prima in chiave filologica, non è difficile confermare questa profonda intuizione paolina.
È l’amore che ha condotto Cristo a consegnarsi alla passione. La congiunzione che unisce « ha amato » a « ha dato se stesso » ha valore di « quindi ».
cristo ci ha amati e quindi ha dato se stesso, cioè si è lasciato uccidere.
La ragione di questa sua autoconsegna sono stati i nostri peccati (Gal 2,4). Molteplice lo scopo del suo darsi.
Lo ha fatto per strapparci da questo mondo perverso (Gal 1,4), per riscattarci dalla maledizione della legge (Gal 3,13), per riscattarci da ogni iniquità (Tt 2,14), per rendere santa ed immacolata la sua Chiesa (Ef 5,25-27), per formarsi un popolo puro (Tt 2,14).
Cristo ha ottenuto il conseguimento di questi fini perché si è donato « offerta e vittima a Dio in soave odore » (Ef 5,2). Ha trasformato la sua morte inflittagli dall’ingiustizia degli uomini, in un atto cultuale. E si è offerto a Dio come sacrificio di espiazione (cfr. la preposizione hyper. per. a favore di, così usata da Paolo per qualificare la morte e l’autoconsegna di Gesù). E Dio ha gradito il sacrificio del Figlio (« in soave odore »). E ne ha esaudito le più profonde aspirazioni dettate dal suo amore obbediente verso il padre e dal suo amore altruistico verso gli uomini.

***

Insistendo sull’intimo legame della sua esistenza apostolica con esistenza del Gesù storico, Paolo sottolinea la sua comunione non solo  alla passione ma anche alla risurrezione del Signore. Soffrendo nel suo peregrinare missionario e sopportando vittoriosamente ogni specie di tribolazioni, egli subisce una « mortificazione », riproduce  lo stato morente di Gesù ed anche l’energia vivificatrice del Risorto, esplicandola soprattutto a vantaggio dei fedeli « portando sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù mi manifesti nel nostro corpo. Sempre infatti, noi che siamo vivi, veniamo esposti alla morte a causa di Gesù, perché anche la vita di Gesù sia manifesta nella nostra carne mortale. Di modo che in noi opera la morte, ma in voi la vita » (2Cor 4,10-12).

San Pio X : Mandati da Cristo nel mondo intero

dal sito:

http://www.vangelodelgiorno.org/www/main.php?language=IT&localTime=02/05/2009#

San Pio X, papa dal 1903 al 1914
Enciclica « E supremi apostolatus »

Mandati da Cristo nel mondo intero
«Nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo» (1 Cor 3,11). Lui solo è «colui che il Padre ha consacrato e mandato nel mondo» (Gv 10,36), «irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza» (Eb 1,3), vero Dio e vero uomo, senza il quale nessuno può conoscere Dio come si deve, perché «nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare» (Mt 11,27). Ne deriva che «ricapitolare in Cristo tutte le cose « (Ef 1,10) e ricondurre gli uomini nell’obbedienza a Dio sono una sola e medesima cosa. E per questo la meta verso la quale devono convergere tutti i nostri sforzi, sta nel ricondurre il genere umano al dominio di Cristo. Giunto questo, l’uomo si troverà, per questo stesso fatto, condotto a Dio: non a un Dio inerte e disinteressato delle realtà umane, come l’hanno immaginato alcuni filosofi, bensì a un Dio vivo e vero, in tre persone nell’unità di una natura, creatore del mondo, che stende ad ogni cosa la sua provvidenza infinita, giusto datore della Legge che giudicherà l’ingiustizia e assicurerà alla virtù la sua ricompensa.

Ora, dov’è la via che dà accesso a Gesù Cristo? Questa è sotto i nostri occhi: questa è la Chiesa. San Giovanni Crisostomo ce lo dice a ragione: «La Chiesa è la tua speranza, la Chiesa è la tua salvezza, la Chiesa è il tuo rifugio». Per questo Cristo l’ha stabilita, dopo averla acquisita a prezzo di suo sangue. Per questo le ha affidato la sua dottrina e i precetti della sua Legge, prodigandole allo stesso tempo i tesori della sua grazia per la santificazione e la salvezza degli uomini. Vedete dunque, fratelli venerabili, quale opera ci è stata affidata…: non mirate a nulla se non a formare Cristo in tutti… È questa la stessa missione che Paolo afferma avere ricevuta: «Figlioli miei, che io di nuovo partorisco nel dolore finché non sia formato Cristo in voi» (Gal 4,19). Ora come compiere tale dovere senza essere prima «rivestiti di Cristo» (Gal 4,19)? E rivestiti fino a poter dire: «Per me vivere è Cristo» (Fil 1,21).

Catechesi di Benedetto XVI sulla morte e l’eredità di San Paolo

dal sito:

http://www.zenit.org/article-17082?l=italian

Catechesi di Benedetto XVI sulla morte e l’eredità di San Paolo

CITTA’ DEL VATICANO, mercoledì, 4 febbraio 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il testo della catechesi pronunciata questo mercoledì da Benedetto XVI in occasione dell’Udienza generale svoltasi nell’aula Paolo VI.

Nel discorso in lingua italiana, il Santo Padre, concludendo il ciclo di catechesi su San Paolo Apostolo, si è soffermato sulla sua morte ed eredità.

* * *

Cari fratelli e sorelle,

la serie delle nostre catechesi sulla figura di san Paolo è arrivata alla sua conclusione: vogliamo parlare oggi del termine della sua vita terrena. L’antica tradizione cristiana testimonia unanimemente che la morte di Paolo avvenne in conseguenza del martirio subito qui a Roma. Gli scritti del Nuovo Testamento non ci riportano il fatto. Gli Atti degli Apostoli terminano il loro racconto accennando alla condizione di prigionia dell’Apostolo, che poteva tuttavia accogliere tutti quelli che andavano da lui (cfr At 28,30-31). Solo nella seconda Lettera a Timoteo troviamo queste sue parole premonitrici: « Quanto a me, il mio sangue sta per essere sparso in libagione ed è giunto il momento di sciogliere le vele » (2 Tm 4,6; cfr Fil 2,17). Si usano qui due immagini, quella cultuale del sacrificio, che aveva usato già nella Lettera ai Filippesi interpretando il martirio come parte del sacrificio di Cristo, e quella marinaresca del mollare gli ormeggi: due immagini che insieme alludono discretamente all’evento della morte e di una morte cruenta.

La prima testimonianza esplicita sulla fine di san Paolo ci viene dalla metà degli anni 90 del secolo I, quindi poco più di tre decenni dopo la sua morte effettiva. Si tratta precisamente della Lettera che la Chiesa di Roma, con il suo Vescovo Clemente I, scrisse alla Chiesa di Corinto. In quel testo epistolare si invita a tenere davanti agli occhi l’esempio degli Apostoli, e, subito dopo aver menzionato il martirio di Pietro, si legge così: « Per la gelosia e la discordia Paolo fu obbligato a mostrarci come si consegue il premio della pazienza. Arrestato sette volte, esiliato, lapidato, fu l’araldo di Cristo nell’Oriente e nell’Occidente, e per la sua fede si acquistò una gloria pura. Dopo aver predicato la giustizia a tutto il mondo, e dopo essere giunto fino all’estremità dell’occidente, sostenne il martirio davanti ai governanti; così partì da questo mondo e raggiunse il luogo santo, divenuto con ciò il più grande modello di pazienza » (1 Clem 5,2). La pazienza di cui parla è espressione della sua comunione alla passione di Cristo, della generosità e costanza con la quale ha accettato un lungo cammino di sofferenza, così da poter dire: «Io porto le stigmate di Gesù sul mio corpo» (Gal. 6,17). Abbiamo sentito nel testo di san Clemente che Paolo sarebbe arrivato fino all’«estremità dell’occidente». Si discute se questo sia un accenno a un viaggio in Spagna che san Paolo avrebbe fatto. Non esiste certezza su questo, ma è vero che san Paolo nella sua Lettera ai Romani esprime la sua intenzione di andare in Spagna (cfr Rm 15,24).

Molto interessante invece è nella lettera di Clemente il succedersi dei due nomi di Pietro e di Paolo, anche se essi verranno invertiti nella testimonianza di Eusebio di Cesarea del secolo IV, che parlando dell’imperatore Nerone scriverà: « Durante il suo regno Paolo fu decapitato proprio a Roma e Pietro vi fu crocifisso. Il racconto è confermato dal nome di Pietro e di Paolo, che è ancor oggi conservato sui loro sepolcri in quella città » (Hist. eccl. 2,25,5). Eusebio poi continua riportando l’antecedente dichiarazione di un presbitero romano di nome Gaio, risalente agli inizi del secolo II: « Io ti posso mostrare i trofei degli apostoli: se andrai al Vaticano o sulla Via Ostiense, vi troverai i trofei dei fondatori della Chiesa » (ibid. 2,25,6-7). I « trofei » sono i monumenti sepolcrali, e si tratta delle stesse sepolture di Pietro e di Paolo, che ancora oggi noi veneriamo dopo due millenni negli stessi luoghi: sia qui in Vaticano per quanto riguarda san Pietro, sia nella Basilica di san Paolo Fuori le Mura sulla Via Ostiense per quanto riguarda l’Apostolo delle genti.

È interessante rilevare che i due grandi Apostoli sono menzionati insieme. Anche se nessuna fonte antica parla di un loro contemporaneo ministero a Roma, la successiva coscienza cristiana, sulla base del loro comune seppellimento nella capitale dell’impero, li assocerà anche come fondatori della Chiesa di Roma. Così infatti si legge in Ireneo di Lione, verso la fine del II secolo, a proposito della successione apostolica nelle varie Chiese: « Poiché sarebbe troppo lungo enumerare le successioni di tutte le Chiese, prenderemo la Chiesa grandissima e antichissima e a tutti nota, la Chiesa fondata e stabilita a Roma dai due gloriosissimi apostoli Pietro e Paolo » (Adv. haer. 3,3,2).

Lasciamo però da parte adesso la figura di Pietro e concentriamoci su quella di Paolo. Il suo martirio viene raccontato per la prima volta dagli Atti di Paolo, scritti verso la fine del II secolo. Essi riferiscono che Nerone lo condannò a morte per decapitazione, eseguita subito dopo (cfr 9,5). La data della morte varia già nelle fonti antiche, che la pongono tra la persecuzione scatenata da Nerone stesso dopo l’incendio di Roma nel luglio del 64 e l’ultimo anno del suo regno, cioè il 68 (cfr Gerolamo, De viris ill. 5,8). Il calcolo dipende molto dalla cronologia dell’arrivo di Paolo a Roma, una discussione nella quale non possiamo qui entrare. Tradizioni successive preciseranno due altri elementi. L’uno, il più leggendario, è che il martirio avvenne alle Acquae Salviae, sulla Via Laurentina, con un triplice rimbalzo della testa, ognuno dei quali causò l’uscita di un fiotto d’acqua, per cui il luogo fu detto fino ad oggi « Tre Fontane » (Atti di Pietro e Paolo dello Pseudo Marcello, del secolo V). L’altro, in consonanza con l’antica testimonianza, già menzionata, del presbitero Gaio, è che la sua sepoltura avvenne non solo « fuori della città… al secondo miglio sulla Via Ostiense », ma più precisamente « nel podere di Lucina », che era una matrona cristiana (Passione di Paolo dello Pseudo Abdia, del secolo VI). Qui, nel secolo IV, l’imperatore Costantino eresse una prima chiesa, poi grandemente ampliata tra secolo IV e V dagli imperatori Valentiniano II, Teodosio e Arcadio. Dopo l’incendio del 1800, fu qui eretta l’attuale basilica di San Paolo fuori le Mura.

In ogni caso, la figura di san Paolo grandeggia ben al di là della sua vita terrena e della sua morte; egli infatti ha lasciato una straordinaria eredità spirituale. Anch’egli, come vero discepolo di Gesù, divenne segno di contraddizione. Mentre tra i cosiddetti « ebioniti » – una corrente giudeo-cristiana – era considerato come apostata dalla legge mosaica, già nel libro degli Atti degli Apostoli appare una grande venerazione verso l’Apostolo Paolo. Vorrei prescindere ora dalla letteratura apocrifa, come gli Atti di Paolo e Tecla e un epistolario apocrifo tra l’Apostolo Paolo e il filosofo Seneca. Importante è constatare soprattutto che ben presto le Lettere di san Paolo entrano nella liturgia, dove la struttura profeta-apostolo-Vangelo è determinante per la forma della liturgia della Parola. Così, grazie a questa « presenza » nella liturgia della Chiesa, il pensiero dell’Apostolo diventa da subito nutrimento spirituale dei fedeli di tutti i tempi.

E’ ovvio che i Padri della Chiesa e poi tutti i teologi si sono nutriti delle Lettere di san Paolo e della sua spiritualità. Egli è così rimasto nei secoli, fino ad oggi, il vero maestro e apostolo delle genti. Il primo commento patristico, a noi pervenuto, su uno scritto del Nuovo Testamento è quello del grande teologo alessandrino Origene, che commenta la Lettera di Paolo ai Romani. Tale commento purtroppo è conservato solo in parte. San Giovanni Crisostomo, oltre a commentare le sue Lettere, ha scritto di lui sette Panegirici memorabili. Sant’Agostino dovrà a lui il passo decisivo della propria conversione, e a Paolo egli ritornerà durante tutta la sua vita. Da questo dialogo permanente con l’Apostolo deriva la sua grande teologia cattolica e anche per quella protestante di tutti i tempi. San Tommaso d’Aquino ci ha lasciato un bel commento alle Lettere paoline, che rappresenta il frutto più maturo dell’esegesi medioevale. Una vera svolta si verificò nel secolo XVI con la Riforma protestante. Il momento decisivo nella vita di Lutero fu il cosiddetto «Turmerlebnis», (1517) nel quale in un attimo egli trovò una nuova interpretazione della dottrina paolina della giustificazione. Una interpretazione che lo liberò dagli scrupoli e dalle ansie della sua vita precedente e gli diede una nuova, radicale fiducia nella bontà di Dio che perdona tutto senza condizione. Da quel momento Lutero identificò il legalismo giudeo-cristiano, condannato dall’Apostolo, con l’ordine di vita della Chiesa cattolica. E la Chiesa gli apparve quindi come espressione della schiavitù della legge alla quale oppose la libertà del Vangelo. Il Concilio di Trento, dal 1545 al 1563, interpretò in modo profondo la questione della giustificazione e trovò nella linea di tutta la tradizione cattolica la sintesi tra legge e Vangelo, in conformità col messaggio della Sacra Scrittura letta nella sua totalità e unità.

Il secolo XIX, raccogliendo l’eredità migliore dell’Illuminismo, conobbe una nuova reviviscenza del paolinismo adesso soprattutto sul piano del lavoro scientifico sviluppato dall’interpretazione storico-critica della Sacra Scrittura. Prescindiamo qui dal fatto che anche in quel secolo, come poi nel secolo ventesimo, emerse una vera e propria denigrazione di san Paolo. Penso soprattutto a Nietsche che derideva la teologia dell’umiltà di san Paolo, opponendo ad essa la sua teologia dell’uomo forte e potente. Però prescindiamo da questo e vediamo la corrente essenziale della nuova interpretazione scientifica della Sacra Scrittura e del nuovo paolinismo di tale secolo. Qui è stato sottolineato soprattutto come centrale nel pensiero paolino il concetto di libertà: in esso è stato visto il cuore del pensiero paolino, come del resto aveva già intuito Lutero. Ora però il concetto di libertà veniva reinterpretato nel contesto del liberalismo moderno. E poi è sottolineata fortemente la differenziazione tra l’annuncio di san Paolo e l’annuncio di Gesù. E san Paolo appare quasi come un nuovo fondatore del cristianesimo. Vero è che in san Paolo la centralità del Regno di Dio, determinante per l’annuncio di Gesù, viene trasformata nella centralità della cristologia, il cui punto determinante è il mistero pasquale. E dal mistero pasquale risultano i Sacramenti del Battesimo e dell’Eucaristia, come presenza permanente di questo mistero, dal quale cresce il Corpo di Cristo, si costruisce la Chiesa. Ma direi, senza entrare adesso in dettagli, che proprio nella nuova centralità della cristologia e del mistero pasquale si realizza il Regno di Dio, diventa concreto, presente, operante l’annuncio autentico di Gesù. Abbiamo visto nelle catechesi precedenti che proprio questa novità paolina è la fedeltà più profonda all’annuncio di Gesù. Nel progresso dell’esegesi, soprattutto negli ultimi duecento anni, crescono anche le convergenze tra esegesi cattolica ed esegesi protestante realizzando così un notevole consenso proprio nel punto che fu all’origine del massimo dissenso storico. Quindi una grande speranza per la causa dell’ecumenismo, così centrale per il Concilio Vaticano II.

Brevemente vorrei alla fine ancora accennare ai vari movimenti religiosi, sorti in età moderna all’interno della Chiesa cattolica, che si rifanno al nome di san Paolo. Così è avvenuto nel secolo XVI con la « Congregazione di san Paolo » detta dei Barnabiti, nel secolo XIX con i « Missionari di san Paolo » o Paulisti, e nel secolo XX con la poliedrica « Famiglia Paolina » fondata dal Beato Giacomo Alberione, per non dire dell’Istituto Secolare della « Compagnia di san Paolo ». In buona sostanza, resta luminosa davanti a noi la figura di un apostolo e di un pensatore cristiano estremamente fecondo e profondo, dal cui accostamento ciascuno può trarre giovamento. In uno dei suoi panegirici, San Giovanni Crisostomo instaurò un originale paragone tra Paolo e Noè, esprimendosi così: Paolo « non mise insieme delle assi per fabbricare un’arca; piuttosto, invece di unire delle tavole di legno, compose delle lettere e così strappò di mezzo ai flutti, non due, tre o cinque membri della propria famiglia, ma l’intera ecumene che era sul punto di perire » (Paneg. 1,5). Proprio questo può ancora e sempre fare l’apostolo Paolo. Attingere a lui, tanto al suo esempio apostolico quanto alla sua dottrina, sarà quindi uno stimolo, se non una garanzia, per il consolidamento dell’identità cristiana di ciascuno di noi e per il ringiovanimento dell’intera Chiesa.

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