Archive pour février, 2009

LA TEMPESTA, IL VENTO, LO SPIRITO (su Atti, capitolo 27, è un commento bellissimo!)

dal sito:

http://www.indes.info/lectiodivina/2003-04_Atti_degli_Apostoli/05_aprile_2004_La_tempesta_il_vento_lo_spirito.pdf

LA TEMPESTA, IL VENTO, LO SPIRITO

di Pino Stancari S.J.

6 aprile 2004


nella miseria del mondo

Paolo, nella sua esperienza di carcerazione e di solitudine, scopre di essere sempre più disponibile ad accogliere la realtà degli uomini, la miseria del mondo, la storia con tutte le sue complessità e con tutte le sue contraddizioni. Il mistero della misericordia di Dio trova in Paolo una interlocutore sempre più docile, sempre più paziente, sempre più disponibile ad accogliere e ad offrire da parte sua quello che in totale gratuità gli viene donato. Paolo adesso è proprio lui ad essere abitato da quel mistero. E’ proprio lui che, indipendentemente da qualunque intenzione, da qualunque moralismo, da qualunque proposito di ordine pastorale, si configura come un sacramento vivente di quel mistero che si è rivelato a noi, nella incarnazione del Figlio, nella sua Pasqua di morte e resurrezione. Ecco, con potenza di Spirito Santo c’è un cristiano in mezzo a noi, un uomo con il cuore aperto per tutte le creature, comunque siano situate – in ambienti inquinati e addirittura inabitabili sulla scena del mondo – un cuore umano che si apre esprimendo una imprevedibile capacità di accoglienza, di benedizione, di misericordia, una disponibilità a comprendere sempre e ad interpretare tutto in una prospettiva di amore vero e gratuito. La situazione del nostro personaggio tende a raccogliersi in un contesto sempre più nascosto, sempre più meschino, sempre più periferico. E d’altra parte noi abbiamo constatato come per l’evangelista Luca, Paolo, in questo suo carcere a Cesarea, è un cristiano che è in grado, e non per una sua particolare virtù acquisita in base a qualche esercizio ascetico, ma proprio per come è coinvolto nel mistero di Dio e nel mistero del Signore Gesù, di accogliere il mondo, accogliere la storia degli uomini, è in grado di intrattenere ogni relazione con le creature di Dio nel tempo e nello spazio, in una dimensione di vero amore, un povero amore. D’altra parte, l’amore vero è sempre povero, non può essere vero l’amore se non è povero e nella povertà del nostro Paolo un amore sempre più autentico e aperto e libero e gratuito e universale. Gli casca nel cuore il mondo, sempre più sprofondato il nostro Paolo in quella zona oscura che lì per lì sembra dimostrare il suo fallimento irreparabile. In quel suo sprofondamento in fondo ad un abisso Paolo scopre che gli entra nel cuore, gli cade nel cuore, gli si incide nel cuore la realtà del mondo intero. A lui tutto è affidato in una gratuita responsabilità d’amore.

l’inizio del viaggio verso Roma

Cap. 27 Il viaggio di Paolo da Cesarea a Roma. Questo racconto ci presenta una teologia della vita cristiana. Paolo si è appellato al tribunale di Cesare, il procuratore romano ha dovuto accettare questa richiesta, anche se si è mostrato molto imbarazzato per non avere in mano una documentazione che dia motivo sufficiente a questo invio presso il tribunale di Cesare di un imputato che addirittura dovrebbe essere condannato a morte, stando alla richiesta dell’accusa. Non si riesce a determinare il contenuto di una imputazione convincente. In ogni caso Paolo deve essere rinviato. Anzi, in questo modo il procuratore romano pensa di eliminare un fastidio con il quale non vuole più fare i conti. Fino la v. 8 sembra che tutto si svolga secondo un programma logico, coerente, lineare. Nei vv. 912 cominciamo a percepire alcuni segni di incertezza che pregiudicano lo svolgimento del viaggio. « Quando fu deciso che ci imbarcassimo per l’Italia ». Ritorna il pronome di prima persona plurale: noi. Lo abbiamo incontrato già precedentemente e ci siamo resi conto che quando Luca usa la prima persona plurale vuole conferire un particolare rilievo agli eventi che ci stanno narrando; sono momenti che dal suo punto di vista meritano una piena e generale partecipazione, nel senso di un coinvolgimento intenso, affettuoso, di coloro che come noi sono lettori del testo. Noi: si intende che c’è anche Luca tra coloro che adesso si imbarcano; accanto a Paolo c’è anche lui, e, se c’è lui, ci siamo anche noi. Noi, nel senso di lettori, siamo coinvolti personalmente in questa avventura di Paolo che ricapitola tutto il lungo viaggio. « Quando fu deciso che ci imbarcassimo per l’Italia, consegnarono Paolo, insieme ad alcuni altri prigionieri, a un centurione di nome Giulio della coorte Augusta ». La partenza viene decisa da qualcun altro, Paolo non decide, non ha voce in capitolo, obbedisce alle autorità che fanno di lui secondo quanto è di loro gradimento. Paolo è imbarcato. C’è di mezzo un centurione, di nome Giulio. « Salimmo su una nave di Adramitto, che stava per partire verso i porti della provincia d’Asia e
salpammo, avendo con noi Aristarco, un Macèdone di Tessalonica ». Di lui si è già parlato precedentemente, dunque sarebbe anche lui presente su quella nave, almeno per un tratto del viaggio. « Il giorno dopo facemmo scalo a Sidone e Giulio, con gesto cortese verso Paolo, gli permise di recarsi dagli amici e di riceverne le cure ». Giulio è un uomo buono (philantropos, in greco). E’ interessante vedete come ci sono altri prigionieri accanto a Paolo, ci sono anche alcuni più vicini a lui per altri motivi, Aristarco, forse Luca, ci siamo noi. Il viaggio, comunque, consente contatti che precedentemente erano impediti. Luca sa bene che Paolo nel suo carcere, per quanto abbia potuto muoversi, studiare, pregare, avere contatti con gli altri all’interno di quell’ambiente così ristretto, non ha avuto contatti con l’esterno. Magari avesse avuto contatti con l’esterno! Il procuratore romano si aspettava che qualcuno intervenisse per versare somme di denaro che egli avrebbe gradito non poco. Non è avvenuto questo. Ora Paolo è in viaggio e molti contatti sono resi possibili. Il nostro Luca segnala momenti di solidarietà, di immediata simpatia, attorno a Paolo: c’è gente buona, persone brave. Il centurione è un uomo sorridente che permette a Paolo di recarsi dagli amici e di riceverne le cure. A Sidone c’è una comunità dei discepoli del Signore e Paolo può sbarcare, può sostare per qualche tempo, il tempo della sosta prevista, perché la nave è una nave che scarica e carica merci. Paolo può godere delle cure che quegli amici gli riservano. Il nostro Luca segnala questi momenti di sollievo dopo l’esperienza del carcere. Paolo è particolarmente gratificato per queste testimonianze di disponibilità positiva nei suoi confronti, di affettuosa comprensione, di servizievole devozione da parte di quelli che incontra. Le cose stanno così perché questi sono i fatti, ma stanno così, perché dopo l’esperienza del carcere, Paolo è più che mai predisposto a cogliere quei segnali. Se ne accorge. Paolo è lui predisposto, motivato interiormente ad intrattenere relazioni, ad aprire il dialogo, a riscontare un gesto cortese nel centurione, o a godere delle cure benevole con cui gli amici di Sidone si occupano di lui. Sono dei fatti, ma c’è una novità che è oramai una dimensione intrinseca del nostro personaggio, una sua sapienza interiore che gli consente di gustare con cuore aperto tutte le situazioni e i segnali di una positività gratuita.

I venti

Fatto sta che di nuovo: « Salpati di là, navigammo al riparo di Cipro a motivo dei venti contrari e, attraversato il mare della Cilicia e della Panfilia, giungemmo a Mira di Licia. Qui il centurione trovò una nave di Alessandria in partenza per l’Italia e ci fece salire a bordo. Navigammo lentamente parecchi giorni, giungendo a fatica all’altezza di Cnido.. il vento non ci permetteva di approdare, prendemmo a navigare al riparo di Creta, dalle parti di Salmone, e costeggiandola a fatica giungemmo in una località chiamata Buoni Porti, vicino alla quale era la città di Lasèa ». Per due volte è comparso il termine animos (vento). Ci sono venti contrari, soffiano in modo tale da determinare una certa deviazione nella rotta, un certo deviamento che esige ai naviganti, per quelle che sono le tecniche dell’epoca, di ricorrere a tutti gli accorgimenti necessari per poter ancora procedere. Tutto è possibile per arrivare finalmente ad un porto che consenta di svernare. Ci sono venti contrari che impongono misure nuove al programma. Siamo all’inizio del viaggio e già la situazione si sta inquadrando. C’è un programma, ma i venti soffiano in modo tale da imporre delle soluzioni alternative. Basta questa immagine perché noi troviamo modo di re-inquadrare tutto il percorso che Paolo ha compiuto lui, in prima persona, con il suo vissuto di cristiano, con la sua esperienza di evangelizzatore, lungo tutto quel cammino di conversione che ha consentito anche a noi di accompagnarlo. Adesso siamo insieme sulla stessa nave. Un particolare. Negli Atti per l’ultima volta è stato usato il termine pneuma, (spirito, soffio) nel cap. 21, esattamente vv. 4 e 11, in cui si descrive la situazione nella quale intervenivano gli amici che volevano intrattenere Paolo, deciso a salire a Gerusalemme. Poi Paolo è salito a Gerusalemme, qui è stato arrestato e così via. Dal cap. 21 in poi non succede niente. Tutto negli Atti è determinato da quella effusione di Spirito Santo che, promessa dal Signore risorto e asceso al cielo, poi si è manifestata in quella pienezza traboccante di cui Luca ci ha dato notizia nel racconto della Pentecoste. Tutto procede negli Atti in continuità con quella spinta, in obbedienza a quella corrente così energica e risoluta che oramai pervade la scena del mondo, che irrompe e raccoglie lo svolgimento della storia umana in relazione all’evento che si è compiuto una volta per tutte: la pasqua del Figlio di Dio, morto e risorto. Dal cap. 21 in poi non compare il termine spirito.

il mare e la nave

Dunque venti contrari e adesso noi ci accorgiamo che questo irrompere del vento diviene sempre più vorticoso, travolgente. Il mare viene spazzato dal vento, ci troveremo tra non molto in piena tempesta. Il mare è un’immagine che ricapitola la realtà della storia umana e sulla superficie del mare galleggia una nave. Anche questa è una immagine, è un pezzo di mondo, è il mondo, è l’umanità che procede nel suo viaggio, è la storia umana che espone questa realtà tutto sommato così fragile, anche se così geniale. Una nave in grado di affrontare un viaggio con prospettive grandiose: la traversata del mare, contatti, commerci, le tecnologie necessarie per costruire quella nave, per governarla, per renderla strumento valido al servizio di un complesso di contatti, di incontri, di scambi che raccolgono la partecipazione dell’umanità intera. La nave è l’umanità che affronta il grande viaggio. Venti. Venti che soffiano fuori programma, che soffiano contro il programma. E soffiano esprimendo il massimo delle contraddizioni. Adesso verremo a sapere che all’improvviso tutti i venti irrompono provocando uno sconvolgimento tale per cui la scena non è più oggetto di un discernimento sereno, coerente, costruttivo. La stessa nave diventa una espressione di quanto sia assurda la storia degli uomini abbandonata a se stessa. E li è Paolo. Non è più comparso il termine pneuma. Adesso siamo alle prese con una vicenda esemplare che conduce Paolo a ritrovarsi nell’occhio del ciclone, che è la storia degli uomini, là dove il vento soffia. Paolo è condotto, in obbedienza a un disegno provvidenziale da lui non programmato, nell’occhio di quel ciclone che fa di lui un uomo finalmente, pienamente carismatico, l’uomo che è in grado di discernere con piena e matura intelligenza interiore l’opera dello Spirito di Dio. La scena è il mondo e i contenuti di questa opera che lo Spirito di Dio sta realizzando nella gratuità della sua iniziativa, sono gli abitanti della nave, gli uomini, la storia umana. Là dove l’iniziativa umana è così tragicamente sconvolta, in questa evidenza epifania di cui Paolo sta contemplando il mistero, rivelazione della iniziativa di Dio, i venti soffiano.

leggendo il libro di Giona

vv. 9-12. La situazione comincia a diventare più preoccupante. « Essendo trascorso molto tempo ed essendo ormai pericolosa la navigazione poiché era già passata la festa dell’Espiazione ». Il Kippur, una festa autunnale, siamo in ottobre-novembre, siamo sulla soglia dell’inverno, è già inverno. Non è più consigliabile navigare. E’ vero che l’equilibrio climatico po’ variare da un anno a quell’altro, quindi bisogna intendersi di queste cose e scegliere con competenza. « Paolo li ammoniva dicendo: Vedo, o uomini, che la navigazione comincia a essere di gran rischio e di molto danno non solo per il carico e per la nave, ma anche per le nostre vite ». Questo è l’oggetto della preoccupazione di Paolo: le nostre vite. Nostre, dal momento che siamo insieme sulla stessa nave, perché questa è un’unica storia, è l’unica storia umana, e siamo tutti insieme e su quella nave ci sono tutti: marinai, commercianti, soldati, centurione, Paolo, forse con lui c’è qualcuno dei suoi, o forse è solo, gli altri sono rimasti indietro. E’ un’unica storia e la vita di tutti è proprio questa nave, il campione rappresentativo dell’umanità intera. Non è un fatto nuovo nella rivelazione. Ci sono altri testi dell’AT che possiamo senz’altro interpretare alla luce di questa stessa immagine simbolica. Tanto per ricordarne uno il libro di Giona profeta e il viaggio di Giona su quella nave che si trova nella tempesta e che non può procedere nel suo viaggio, fino a quando Giona, proprio lui, scenderà dalla nave. E’ come se lo stesso Paolo stesse leggendo il libro di Giona, stesse facendo la sua lettura spirituale, stesse facendo la sua lettura biblica, quotidiana: mentre affronta il viaggio in nave, sta leggendo la storia di Giona profeta, che è la sua storia. Qui c’è il rischio che siano compromesse le nostre vite. E’ in questione la vita degli uomini, è in questione il senso complessivo e universale della storia umana. E per Paolo non c’è dubbio: il senso della storia umana si illumina in una prospettiva di salvezza. In questa prospettiva bisogna assumersi delle responsabilità, bisogna esercitare le proprie competenze, per la salvezza, in obbedienza a questo disegno. Paolo non ha alcun dubbio: è meglio non procedere nel viaggio perché si pregiudicherebbe la salvezza delle nostre vite. Fatto sta che invece, quelli che hanno potere di decidere in un caso come questo, stabiliscono un comportamento ben diverso.

la tempesta

« Il centurione però dava più ascolto al pilota e al capitano della nave che alle parole di Paolo. E
poiché quel porto era poco adatto a trascorrervi l’inverno, i più furono del parere di salpare di là nella speranza di andare a svernare a Fenice, un porto di Creta esposto a libeccio e a maestrale ». A sud-ovest, a riparo dai venti freddi, in un porto più accogliente. Compaiono i nomi dei venti: libeccio, maestrale. Nei vv. 13-26 siamo nel pieno della tempesta. « Appena cominciò a soffiare un leggero scirocco convinti di potere ormai realizzare il progetto, levarono le ancore e costeggiavano da vicino Creta » Un vento meridionale discreto e gradevole, che consente dunque di muoversi lungo la costa sud di Creta, senza temere l’irruenza dei venti invernali, venti che vengono da nord. « Ma dopo non molto tempo si scatenò contro l’isola un vento d’uragano, detto allora Euroaquilone ». E’ la bora, è la tramontana, è vento da nord-est. Non c’è niente da fare, il vento vince l’iniziativa gestita con tanta meticolosa puntualità, energia, attenzione, lucidità da coloro che hanno armato la nave, l’hanno costruita, la sanno condurre, la sanno utilizzare. Il vento vince, un vento d’uragano detto allora Euroaquilone. « La nave fu travolta nel turbine e, non potendo più resistere al vento, abbandonati in sua balìa, andavamo alla deriva ». Siamo in piena tempesta, c’è il vento e poi le correnti, le onde, i flutti, i marosi. Non c’è niente da fare, non è più possibile controllare la nave, governarla, in nessun modo. Questa è la storia umana: dove va? L’iniziativa umana dove conduce il bastimento? Dove stiamo andando a finire? Appunto, è la fine, è il naufragio. Quale situazione si prospetta? Paolo ha detto fin dall’inizio che il senso di questa storia nostra è dato da una prospettiva di salvezza. Ma qui siamo alle prese con una situazione che incombe sempre più drammaticamente come premonizione di una tragedia irreparabile: il vento vince. « Mentre passavamo sotto un isolotto chiamato Càudas, a fatica riuscimmo a padroneggiare la scialuppa; la tirarono a bordo e adoperarono gli attrezzi per fasciare di gòmene la nave. Quindi, per timore di finire incagliati nelle Sirti.. calarono il galleggiante e si andava così alla deriva ». Il galleggiante è una specie di freno che dovrebbe consentire alla nave di sostenere l’impatto con le onde, in ogni caso la nave non è più governabile. « Sbattuti violentemente dalla tempesta, il giorno seguente cominciarono a gettare a mare il carico ». E’ il motivo per cui la nave è stata messa in grado di compiere il viaggio: per trasportare quel carico. Adesso il carico è abbandonato appunto perché si riduce all’essenziale: la sopravvivenza di coloro che sono raccolti, raggomitolati, rannicchiati su quella nave che orami è trascinata dal vento nel vortice di una tempesta indomabile. « Il terzo giorno con le proprie mani buttarono via l’attrezzatura della nave ». Non solo il carico, ma anche l’attrezzatura. « Da vari giorni non comparivano più né sole, né stelle e la violenta tempesta continuava a infuriare, per cui ogni speranza di salvarci sembrava ormai perduta ». C’è una disperazione circa la salvezza, salvezza nel senso del viaggio e nel senso della storia umana. Paolo fin dall’inizio aveva detto la sua: guardate che qui è in questione la salvezza delle nostre vite; la vita umana è il senso della storia degli uomini. Non salvezza come obiettivo privilegiato riservato ad alcuni, ma il senso della storia umana, la storia di tutti, di tutti quelli che sono su quella nave, che è lo stesso bastimento in cui tutti sono coinvolti nella medesima vicenda. E li c’è Paolo! Paolo evangelizzatore, poi carcerato, adesso si trova coinvolto in questa vicenda sconcertante. Al di là di ogni programma, si rende conto di essere inserito nella storia degli uomini al punto di condividere la
medesima tragedia e la medesima sorte. Intanto il cielo è oscurato. Da vari giorni non comparivano più né sole né stelle. Siamo al buio. Nei vv. 21-26, nel contesto di quella tempesta, là dove il vento è vincitore. Il vento. Si riparla di un soffio, di un fiato, di un sospiro, di una potenza che irrompe nella storia degli uomini. L’immagine è diventata una esperienza empirica: la superficie del mare è sconvolta dal vento. Se ne riparla dopo che per un pezzo avevamo perso la memoria dello Spirito di Dio. Ma dove è andato a finire lo Spirito?

lo Spirito che travolge e trascina

Lo Spirito di Dio soffia, irrompe, invade, trascina, travolge. La storia degli uomini nella tempesta precipita verso una fine disgraziata. Gli uomini, spaventati e disperati come sono, riescono soltanto a immaginare come tutto si concluderà in un naufragio infernale. C’è Paolo su quella nave e Paolo è in grado di interpretare il senso di quello che sta avvenendo. Paolo è profeta, evangelizzatore, non tanto perché elabora un certo messaggio e poi lo propone. Non soltanto questo. Paolo evangelizzatore si esprime con quel linguaggio profetico che nella maniera più immediata e diretta testimonia da parte sua qual è la interpretazione da dare a quella scena, a quel disegno, a quel complesso di eventi nel quale la nave è travolta. Là dove il vento soffia è l’opera di Dio che si compie, e l’opera di Dio si compie mentre così potentemente squalificata è l’iniziativa umana. In questo sconquasso generale niente resta più come prima, ma una novità che è in tutto e per tutto affidata all’iniziativa di Dio si sta manifestando. Di questo nessuno può parlare, a riguardo di queste cose nessuno può rendere testimonianza, se non Paolo. « Da molto tempo non si mangiava, quando Paolo, alzatosi in mezzo a loro, disse » Il fatto che non si mangi conferma lo stato di disperazione generale, sono tutti diventati anoressici e non c’è più il gusto del cibo, non c’è più un’istanza che motivi dall’interno la speranza di vivere. Paolo interviene e dice: « Sarebbe stato bene, o uomini, dar retta a me e non salpare da Creta.. .avreste evitato questo pericolo e questo danno. Tuttavia ora vi esorto a non perdervi di coraggio, perché non ci sarà alcuna perdita di vite in mezzo a voi, ma solo della nave ». Paolo insiste, e questa terminologia che già abbiamo riscontrato precedentemente, adesso viene ripresa quasi come un ritornello: non ci sarà alcuna perdita di vite in mezzo a voi, questa non è una storia per la perdizione, ma per la salvezza. Questa è storia di salvezza, proclama Paolo, intanto siamo in mezzo alla tempesta, i venti turbinano, la nave è derelitta come un guscio di noce esposto ai moti ondosi più incontrollabili. Questa è una storia di salvezza, dice Paolo. E spiega: non ci sarà perdita di vite ma solo della nave. Niente resta più come prima, è veramente un mondo quello che si prospetta. La nave si sta consumando, sbriciolando, è vero, ma tutto questo non in una prospettiva di perdizione per la vita degli uomini, ma di una salvezza per la vita umana, attorno alla quale è un mondo nuovo che si sta delineando. E’ una nuova creazione. Non è la prima volta che si parla del mare nella rivelazione divina. E’ come se questa esperienza del viaggio con la tempesta e con il naufragio, acquistasse nel racconto degli Atti degli apostoli, il significato del grande battesimo di Paolo, battesimo che in realtà è già avvenuto per lui fin dall’inizio della sua vita cristiana, ma è un battesimo che adesso lo riguarda nell’esercizio dell’evangelizzazione, nel momento in cui è coinvolto nell’unico disegno che coinvolge la sorte dell’umanità intera. Stiamo andando a fondo, stiamo facendo naufragio, stiamo morendo perché è l’opera di Dio che si compie. L’opera di Dio non è per lasciare alla morte l’ultima parola. E’ l’iniziativa umana che giunge a questo termine, ma l’opera di Dio si compie in modo tale da instaurare una novità che apre prospettive di vita oltre la morte. Questo vale per ogni singola creatura che oramai è battezzata in Cristo morto e risorto. Questo riguarda il senso della storia umana, il senso della grande tempesta. Il naufragio, cui non si sfugge, è il battesimo. « Mi è apparso infatti questa notte un angelo del Dio al quale appartengo e che servo, dicendomi: Non temere, Paolo; tu devi comparire davanti a Cesare ed ecco, Dio ti ha fatto grazia di tutti i tuoi compagni di navigazione ».

bisogna che

Siccome ci sei tu che devi andare fino a Roma, tutti gli altri verranno con te. C’è una necessità: « bisogna che ». Questo è un verbo usato a più riprese dal nostro evangelista Luca, « è necessario che »… questo è un disegno provvidenziale. Paolo deve arrivare a Roma: non c’è una prospettiva per te, non c’è una sorte per te, un disegno per te, una vocazione per te, che non sia la storia dell’umanità intera. E così come nel tuo battesimo, Paolo, tu sei condotto lungo un cammino di conversione per morire e risorgere in comunione con il Signore vivente, bene, vedi che questo è il senso della storia umana. Paolo sta realizzando in pienezza il suo ministero di evangelizzatore nel momento in cui, di per sé, sta condividendo il viaggio degli uomini che sono alle prese con una tempesta indomabile su quella stessa nave. Perciò dice Paolo: « Perciò non perdetevi di coraggio, uomini; ho fiducia in Dio che avverrà come mi è stato annunziato. E’ inevitabile che andiamo a finire su qualche isola ». C’è una necessità, anche qui ritorna in greco quello stesso verbo: « è necessario che »… C’è una necessità per me, c’è una necessità per voi, un’unica necessità, un unico disegno di salvezza universale. Nei vv. 27-44, il naufragio. Il testo si suddivide in tre quadri. Primo quadro, vv. 27-32: la notte. Secondo quadro, vv. 33-38, l’alba. Terzo quadro, vv. 39-44, il giorno. E’ una sequenza che ci  rimanda immediatamente alle misure della Pasqua. Anche noi celebriamo il grande, unico evento in cui tutto si ricapitola, nel passaggio dalle notte fonda all’alba e al giorno.

la quattordicesima notte

Primo quadro, notte. « Come giunse la quattordicesima notte ».. Due settimane per dire che è sempre notte, è una notte permanente, una notte senza luna, è una totale immersione nei flutti della storia umana, sotto una cappa oscura che impedisce di contemplare orizzonti che siano nuovi e aperti rispetto a quell’angolo ristretto e oscuro nel quale ci si sta seppellendo. « Come giunse la quattordicesima notte da quando andavamo alla deriva nell’Adriatico, verso mezzanotte i marinai ebbero l’impressione che una qualche terra si avvicinava. Gettato lo scandaglio, trovarono venti braccia; dopo un breve intervallo, scandagliando di nuovo, trovarono quindici braccia. Nel timore di finire contro gli scogli, gettarono da poppa quattro ancore, aspettando con ansia che spuntasse il giorno. Ma poiché i marinai cercavano di fuggire dalla nave e già stavano calando la scialuppa in mare, col pretesto di gettare le ancore da prora, Paolo disse al centurione e ai soldati: Se costoro non rimangono sulla nave, voi non potrete mettervi in salvo ». Questa è la preoccupazione di Paolo: la salvezza di tutti su quella nave. I marinai non possono trovare una soluzione loro, privata, usando gli strumenti a loro disposizione, una scialuppa. « Allora i soldati recisero le gòmene della scialuppa e la lasciarono cadere in mare ». La sorte è comune, nel buio della notte, nella condivisione della paura che è già un modo di realizzare un drammatico, ma intenso evento di comunione su quella nave.

l’alba .. e spezzò il pane

Secondo quadro, l’alba. « Finché non spuntò il giorno, Paolo esortava tutti a prendere cibo ». All’alba Paolo incoraggia tutti a prendere cibo. Attenzione a questo « oggi »: questo è un avverbio di tempo molto caro a Luca. « Oggi » è nato per voi (Lc 2,11), « oggi » queste parole si compiono (Lc 4,11), « oggi » io mi fermo a casa tua (Lc 19,5), « oggi » con me in paradiso (Lc 23,43). Qui è Paolo che dice « oggi », e questo « oggi » è l’alba che spunta, dopo quella notte; è all’interno di quella notte che sorge questo giorno nuovo che si chiama « oggi »: « Oggi è il quattordicesimo giorno che passate digiuni nell’attesa, senza prender nulla. Per questo vi esorto a prender cibo; è necessario per la vostra salvezza. Neanche un capello del vostro capo andrà perduto ». Un’affermazione che ricorre in Mt 10,30. Paolo incoraggia, in modo molto semplice e comprensibile. E’ gente affamata, allo sbando, disperata. Rifocillatevi. Ma guardate adesso il gesto che compie Paolo. « Ciò detto, prese il pane, rese grazie a Dio davanti a tutti, lo spezzò e cominciò a mangiare ». Paolo celebra l’eucarestia. Eucaristeo è un verbo molto forte, intenso, potente, teologicamente inconfondibile. E’ la grande preghiera di benedizione, è l’eucarestia. E’ la sua grande benedizione sul mondo. Il mondo più mondo di così non potrebbe essere per Paolo. E’ un mondo allo sbando, sull’orlo dell’abisso, esposto al naufragio, e di fatto il naufragio è in corso. Paolo celebra l’eucarestia sul mondo: spezzò, mangiò. Il gesto da lui compiuto, già diventa incoraggiamento per altri, che pure non sono in grado di interpretare il valore sacramentale dell’eucarestia celebrata da Paolo. « Tutti si sentirono rianimati, e anch’essi presero cibo ». Tutti vengono sollecitati dal gesto compiuto da Paolo, sono scossi nell’animo, percepiscono un impulso che li riconcilia con la speranza di una vita piena, di una vita nuova, vera. Presero cibo, di quello che avevano conservato. « Eravamo complessivamente sulla nave duecentosettantasei persone. Quando si furono rifocillati, alleggerirono la nave, gettando il frumento in mare ». Adesso non c’è più bisogno del cibo che avevano conservato, che tra l’altro avevano conservato rimanendo digiuni. Adesso hanno mangiato, perché Paolo all’alba, ha celebrato l’eucarestia, da solo, tutto solo, ma il gesto acquista una efficacia sacramentale che va al di là della comprensione a cui sono disponibili coloro che sono stati catechizzati, qualora su quella nave ci fossero già dei cristiani in grado di partecipare all’eucarestia. C’era lo stesso Luca? Ce lo chiedevamo fin dall’inizio. Paolo celebra l’eucarestia, è la grande preghiera di benedizione sul mondo, là dove oramai non c’è più dubbio. Lo sconquasso che è determinato dal vortice dei venti è opera di Spirito Santo, perché in questo sconquasso generale tutto viene travolto perché tutto sia trasformato in comunione con la novità unica e definitiva: il corpo glorioso del Signore Gesù che è risorto dai morti. Oggi tutto si consuma, si disintegra, viene meno, perché oggi tutto si rinnova in Cristo.

l’approdo

Terzo quadro. Adesso è il giorno fatto. « Fattosi giorno non riuscivano a riconoscere quella terra ». Adesso si vede la terra, la nave è ancorata, « ma notarono un’insenatura con spiaggia » E’ un kolpos: Questo termine nel NT compare in alcuni momenti strategici. Per esempio è usato da Giovanni quando parla di quel discepolo amico che appoggia il capo sul seno del maestro durante l’ultima cena (Gv 13,23). C’è un seno, uno spazio interiore, che allude a un certo gioco che la veste portata da questi antichi consentiva di trasformare il drappeggio in una specie di tasca. E’ un kolpos, uno spazio interiore, un grembo. E anche questa terra che appare all’orizzonte ha un kolpos, ha una spiaggia, un’insenatura, un grembo che ti accoglie. Noi stiamo naufragando e stiamo precipitando nel grembo di un mistero che ci chiama alla vita. « Decisero, se possibile, di spingere la nave verso di essa. Levarono le ancore e le lasciarono andare in mare; al tempo stesso allentarono i legami dei timoni e spiegata al vento la vela maestra, mossero verso la spiaggia ». Di nuovo il vento, questa volta è una brezza che li per li, dopo la grande tempesta sembra ancora di potere controllare, per cui mettono in funzione la vela maestra e muovono verso la spiaggia. « Ma incapparono in una secca e la nave vi si incagliò; mentre la prua arenata rimaneva immobile, la poppa minacciava di sfasciarsi sotto la violenza delle onde ». Non c’è niente da fare, la nave non può arrivare fino a riva. « I soldati pensarono allora di uccidere i prigionieri, perché nessuno sfuggisse gettandosi a nuoto, ma il centurione, volendo salvare Paolo impedì loro di attuare questo progetto ». Per salvare Paolo, perché la salvezza di Paolo è inseparabile dalla salvezza degli altri. La vita di Paolo è la vita degli uomini, è la vita di tutti, è il senso della storia umana, è un battesimo in corso. E l’evangelizzazione cui Paolo è consacrato oramai da tanto tempo, è orientata a illustrare la definitiva pregnanza sacramentale di questo unico e immenso battesimo che coinvolge la storia di tutti gli uomini e tutte le creature di questo mondo, perché tutto sia riconciliato in Cristo, perché tutto sia convertito e trasformato, perché tutto sia redento, perché tutto sia filtrato in comunione con la sua morte e resurrezione. Adesso il centurione « diede ordine che si gettassero per primi quelli che sapevano nuotare e raggiunsero la terra; poi gli altri, chi su tavole, chi su altri rottami della nave. E così tutti poterono mettersi in salvo a terra ».

Sant’Anselmo d’Aosta: « Non intendete e non capite ancora ? »

dal sito:

http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=commentary&localdate=20090217

Meditazione del giorno
 
Sant’Anselmo d’Aosta (1033-1109), monaco, vescovo, dottore della Chiesa
Proslògion, c 16

« Non intendete e non capite ancora ? »

Davvero, o Signore, è luce inaccessibile quella in cui tu abiti. Io non la vedo, perché è troppa per me, e tuttavia tutto quello che vedo, lo vedo per mezzo di essa: come l’occhio infermo, ciò che vede lo vede per mezzo della luce del sole, e però non vede nel sole stesso.

Il mio intelletto non può nulla rispetto ad essa. Splende troppo, non la comprende e l’occhio dell’anima mia non sopporta di guardare a lungo in essa. È abbagliato dallo splendore, è vinto dall’immensità, è confuso dalla grandezza.

O luce somma e inaccessibile, o verità intera e beata, quanto sei lungi da me che ti sono tanto vicino! Quanto sei remota dal mio sguardo, mentre io sono così presente al tuo! Tu sei presente tutta dovunque e io non ti vedo. Mi muovo in te, sono in te e non posso avvicinarmi a te. Sei dentro di me e attorno a me e io non ti sento.

15 febbraio – Sant’ Onesimo Martire (Lettera a Filemone)

dal sito:

http://santiebeati.it/dettaglio/41200

Sant’ Onesimo Martire

(Lettera a Filemone – Richiesta in favore di Onesimo)

15 febbraio
 
Frigia (Asia Minore), Primo secolo dopo Cristo

Di lui non si hanno quasi notizie. Fu un giovane schiavo che viveva a Colosse e che, derubato il padrone Filemone, scappò a Roma. Qui, incontrò s. Paolo, prigioniero, che lo convertì e battezzò. Abbiamo queste notizie proprio da s. Paolo, che scrisse una lettera a Filemone, offrendosi di restituire quanto rubato e chiedendo il perdono e la liberazione per lo schiavo. Il “Martirologio Romano” parla del suo martirio, raccogliendo una tradizione per cui Onesimo, consacrato vescovo da S. Paolo che lo lasciò ad Efeso come sostituto di Timoteo, sarebbe morto a Roma lapidato, sembra sotto Domiziano.

Emblema: Palma

Martirologio Romano: Commemorazione del beato Onesimo, che san Paolo Apostolo accolse quale schiavo fuggiasco e generò in catene come figlio nella fede di Cristo, come egli stesso scrisse al suo padrone Filémone.
 

Onesimo, in greco, significa “utile”, “giovevole”. L’uomo così chiamato viveva in Frigia (Asia Minore) come schiavo del cristiano Filemone, amico di Paolo apostolo. Ma poi è fuggito (forse ha pure derubato il padrone) e guai a lui, se lo prendono: può finire per sempre ai lavori forzati, con la lettera “F” (Fugitivus) impressa a fuoco sulla fronte. Giorni e giorni di cammino, di nascondigli, di terrore.
Infine, eccolo cercare scampo presso Paolo a Roma. L’apostolo è in prigionia sotto custodia militaris in una casa, quasi sempre legato con la catena a un soldato, ma libero di ricevere visite. Qui Onesimo trova pronto rifugio, cerca di rendersi utile nelle occorrenze quotidiane, ascolta i colloqui di Paolo con tanta gente; l’uomo in catene chiama tutti a entrare « nella libertà della gloria dei figli di Dio ».
E chiama anche Onesimo, naturalmente, che un giorno si ritrova cristiano, tenuto da Paolo come un figlio « generato nelle catene ». Poi l’apostolo lo rimanda al vecchio padrone Filemone. A costui Paolo scrive di suo pugno una lettera stringata e vivace, chiarendo un punto capitale: Onesimo, fuggito come schiavo, ora ritorna come un « fratello carissimo in primo luogo a me, ma quanto più a te, sia come uomo, sia come fratello nel Signore ». Altri pensino ad abrogare la schiavitù con le leggi; Paolo la cancella dal cuore dell’uomo nel nome di Cristo. E se l’ex schiavo aveva derubato Filemone, pronto l’apostolo garantisce: « Pagherò io! ».
Parte Onesimo con Tichico, fedelissimo collaboratore di Paolo, che porta sue lettere ai cristiani di Efeso e di Colossi. E così Paolo lo presenta ai Colossesi suoi compaesani: « Con Tichico verrà anche Onesimo, il fedele e caro fratello, che è dei vostri. Essi vi informeranno su tutte le cose di qui ». Così l’ex schiavo è già diventato collaboratore dell’evangelizzazione. Poi ha trovato di certo Filemone, consegnandogli la lettera, che ha potuto giungere fino a noi perché chissà quanti l’avranno via via letta dopo il destinatario, copiandola e divulgandola.
La Chiesa lo ricorda tra i suoi santi, ma non trovano conferma antichi accenni a un Onesimo vescovo di Antiochia o di Berea (Siria?). Così come non è sicura una tradizione che lo vorrebbe martire a Roma o a Pozzuoli.

Autore: Domenico Agasso  

L’OSSERVATORE ROMANO – 13 novembre 2008

dal sito:

http://www.vatican.va/news_services/or/or_quo/commenti/2008/265q01b1.html

L’OSSERVATORE ROMANO – 13 novembre 2008


Nel confronto tra fede e ragione

Il genio di san Paolo

di Juan Manuel de Prada

La commemorazione di questo Anno paolino dovrebbe servirci da stimolo per riflettere su uno dei tratti più distintivi e geniali di san Paolo, l’impulso di universalismo che presto sarebbe divenuto un elemento costitutivo della fede in Gesù Cristo. Un universalismo che, oltre a dare compimento alla missione che Gesù aveva affidato ai suoi discepoli, avrebbe definito l’orientamento innovatore del cristianesimo come religione che incorpora nel suo patrimonio culturale la sapienza pagana. Questa assimilazione culturale trasforma il cristianesimo, fin dai suoi inizi, in una religione diversa da qualsiasi altra:  poiché mentre le altre religioni stabiliscono che la loro identità si deve costituire negando l’eredità culturale che le precede, il cristianesimo comprese, grazie al genio paolino, che la vocazione universale della nuova fede esigeva di introdursi nelle strutture culturali, amministrative e giuridiche della sua epoca; non per sincretizzarsi con esse ma per trasformarle radicalmente dal di dentro. E questa illuminazione geniale di san Paolo – che senza dubbio fu illuminazione dello Spirito – deve servire da vigorosa ispirazione per noi cattolici di oggi, spesso tentati di arroccarci contro un mondo ostile.
San Paolo, nato a Tarso di Cilicia, in seno a una famiglia ebrea, fu anche cittadino romano; e questa condizione o status giuridico lo aiutò a comprendere che la vocazione di universalità del cristianesimo si sarebbe realizzata pienamente solo se fosse riuscita a introdursi nelle strutture dell’Impero padrone del mondo. Introdursi per beneficiare della sua vasta eredità culturale; introdursi, anche, per lavare dal di dentro la sua corruzione. Il cristianesimo non sarebbe riuscito a essere quello che in effetti fu se non avesse fatto proprie le lingue di Roma; e se non avesse adottato le sue leggi, per poi umanizzarle, fondando un diritto nuovo, penetrato dalla vertiginosa idea di redenzione personale che apporta il Vangelo. I cristiani avrebbero potuto accontentarsi di rimanere ai margini di Roma, come dei senza patria che celebrano i propri riti nella clandestinità. Addentrandosi nella bocca del lupo, armati solo della fiaccola della fede, rischiarono di perire tra le sue fauci; ma alla fine provocarono un incendio più duraturo dei monumenti di Roma.
Di quale potente lega era fabbricato quell’uomo che sconvolse per sempre il corso della storia? Sappiamo che nella formazione culturale di san Paolo si amalgamavano elementi ebraici e ellenistici. Possedeva una esauriente conoscenza della lingua greca, nutrita dalla Scrittura secondo la versione dei Settanta. Si distingueva però anche per una conoscenza affatto superficiale dei miti greci, come pure dei loro filosofi e poeti:  basta leggere il suo discorso nell’Areopago di Atene per renderci conto della sua solida cultura classica. E anche, naturalmente, del modus operandi della sua missione evangelizzatrice:  san Paolo inizia il suo discorso apportando riflessioni nelle quali pagani e cristiani potevano convergere, fondandosi anche su citazioni di filosofi; lo conclude però con l’annuncio del Giudizio Finale, pietra dello scandalo per i suoi ascoltatori – fra i quali, a quanto sappiamo, si contavano alcuni filosofi epicurei e stoici – che potevano accettare l’immortalità dell’anima, ma non la resurrezione della carne. Quel gruppo di filosofi probabilmente si sciolse prendendo san Paolo per matto; tuttavia, di ritorno a casa, mentre rimuginavano sulle parole che avevano appena ascoltato, forse riuscirono a scoprire che i principi sui quali si fondava il discorso di san Paolo si potevano cogliere attraverso la ragione. E questi principi assimilabili da un pagano che affiorano nel discorso dell’Areopago sono gli stessi che san Paolo incorpora nelle sue epistole:  la possibilità di conoscere Dio attraverso la sua Creazione, la presenza di una legge naturale iscritta nel cuore dell’uomo, la sottomissione alla volontà di Dio come frutto della nostra filiazione divina. Principi sui quali in seguito san Paolo erigeva il suo portentoso edificio cristologico. Mettiamoci nei panni di quei filosofi pagani che ascoltarono san Paolo. Come non sentirsi interpellati da una predicazione che univa, in un modo così misteriosamente soggiogante, principi che la ragione poteva accettare con tesi che esigevano il concorso di una nuova fede? Come non sentirsi interpellato da questo Mistero che rendeva congruente ciò che ascoltavano e ciò che la mera intelligenza non permetteva loro di penetrare? E, nel cercare di approfondire quel Mistero, come non aprirsi agli orizzonti inediti di libertà e di speranza di cui Cristo era portatore?
Così accadde allora; e il genio paolino ci insegna che può continuare ad accadere ora. A un patrizio romano come Filemone non doveva sembrare più strano concedere la libertà al suo schiavo Onesimo, accogliendolo come un « fratello carissimo » nel Signore, di quanto deve sembrare a un uomo del nostro tempo – ad esempio – aborrire l’aborto. Se il genio paolino riuscì a far sì che un patrizio romano rinunciasse al diritto di proprietà su un altro uomo che le leggi gli riconoscevano, perché noi non possiamo far sì che gli uomini della nostra epoca recuperino il concetto di sacralità della vita umana, per quanto le leggi della nostra epoca sembrino averlo dimenticato? Per farlo, dovremo usare parole che risultino intelligibili agli uomini del nostro tempo; e così riusciremo, come a suo tempo riuscì il genio paolino, a minare dal di dentro una cultura che si è allontanata da Dio, senza arroccarci contro di essa.
Dobbiamo tornare a predicare in questa società neopagana che Dio si è fatto uomo; non per innalzarsi su un trono, ma per partecipare ai limiti umani, per provare le stesse sofferenze degli uomini, per accompagnarli nel loro cammino terreno. E, facendosi uomo, Dio ha fatto sì che la vita umana, ogni vita umana, divenisse sacra. San Paolo riuscì a farsi capire dagli uomini del suo tempo; e così trasformò in realtà la missione insostituibile che noi cristiani abbiamo nel mondo, descritta con parole sublimi nella Lettera a Diogneto:  « Come è l’anima nel corpo, così nel mondo sono i cristiani (…) L’anima è racchiusa nel corpo, ma essa sostiene il corpo; anche i cristiani sono nel mondo come in una prigione, ma essi sostengono il mondo (…) Dio li ha messi in un posto tale che ad essi non è lecito abbandonare ».
Arroccarsi contro il mondo equivale ad abbandonare il posto che Dio ci ha assegnato. Il genio paolino ci insegna che possiamo continuare a essere l’anima del mondo, senza rinunciare ai nostri principi e senza rinnegare la nostra essenza.

Publié dans:temi - fede e ragione |on 16 février, 2009 |Pas de commentaires »

Sant’Ilario di Poitiers: « Perché questa generazione chiede un segno ? »

dal sito:

http://www.levangileauquotidien.org/main.php?language=IT&module=readings&localdate=20090216

Meditazione del giorno
Sant’Ilario di Poitiers (circa 315-367), vescovo, dottore della Chiesa
Sulla Trinità, 12, 52-53

« Perché questa generazione chiede un segno ? »

Padre Santo, Dio onnipotente… quando alzo verso il tuo cielo la debole luce dei miei occhi, posso forse dubitare che questo sia il tuo cielo? Quando contemplo la corsa delle stelle, il loro ritorno nel ciclo dell’anno, quando vedo le Pleiadi, l’Orsa Minore e la Stella del mattino e considero come ognuna brilla al posto che le è stato assegnato, capisco, o Dio, che sei lì, in questi astri che non capisco. Quando vedo «i potenti flutti del mare» (Sal 92,4), pur non afferrando l’origine di queste acque, nemmeno che cosa metta in movimento il loro flusso e riflusso regolare, credo tuttavia che ci sia una causa – certo impenetrabile per me – a queste realtà che ignoro, e anche lì percepisco la tua presenza.

Se rivolgo il mio spirito verso la terra che, per il dinamismo di forze nascoste, decompone tutti i semi che ha accolti nel suo seno, e lentamente li fa germogliare e li moltiplica, poi dà loro di crescere, non trovo in questo nulla che io possa capire con la mia intelligenza; ma questa ignoranza mi aiuta a discernere te, poiché, anche se non conosco la natura messa al mio servizio, tuttavia ti incontro per il fatto stesso che essa c’è, per mio uso.

Se mi rivolgo verso di me, l’esperienza mi dice che non conosco me stesso e ammiro te, tanto più che io sono per me uno sconosciuto. Infatti, anche se non posso capirli, faccio l’esperienza dei movimenti del mio spirito che giudica, delle sue operazioni, della sua vita e devo questa esperienza a te che mi hai fatto partecipare a questa natura sensibile che fa la mia gioia, anche se la sua origine è oltre le possibilità della mia intelligenza. Non conosco me stesso, ma in me trovo te, e trovandoti, ti adoro.

DOMENICA 15 FEBBRAIO – VI SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

DOMENICA 15 FEBBRAIO - VI SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO dans BIBLE SERVICE (sito francese) 17%20RENI%20JC%20DONNANT%20LES%20CLEFS%20A%20ST%20PIERRE%20PARIS%20LOU

(Mc 27-30, Confessione di fede di Pietro, giovedì 19)

http://www.artbible.net/3JC/-Mat-16,13_Peters_Confession_Fondation_Eglise/slides/17%20RENI%20JC%20DONNANT%20LES%20CLEFS%20A%20ST%20PIERRE%20PARIS%20LOU.html

DOMENICA 15 FEBBRAIO – VI SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

MESSA DEL GIORNO

Seconda Lettura  1 Cor 10,31 – 11,1
Diventate miei imitatori come io lo sono di Cristo.

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi
Fratelli, sia che mangiate sia che beviate sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio. Non siate motivo di scandalo né ai Giudei, né ai Greci, né alla Chiesa di Dio; così come io mi sforzo di piacere a tutti in tutto, senza cercare il mio interesse ma quello di molti, perché giungano alla salvezza.
Diventate miei imitatori, come io lo sono di Cristo.

DAL SITO BIBLE-SERVICE:

http://www.bible-service.net/site/179.html

1 Corinthiens 10,31 – 11,1 

Diverses questions pratiques ont surgi parmi les Corinthiens, notamment au sujet de la nourriture : peuvent-ils ou non manger des viandes immolées ? En soi, il n’y a rien de mal, répond l’Apôtre. Pourquoi ne pas en manger puisque vaines sont les idoles mais  » au Seigneur la terre et tout ce qui la remplit.  » (v. 25) Par contre, si cela doit choquer quelqu’un, il faut s’abstenir.

Partout où il passe, chez les Juifs, les païens ou les communautés chrétiennes, Paul s’adapte. Il a pris pour modèle le Christ qui nous a apporté la liberté des enfants de Dieu. Il exhorte les Corinthiens à faire de même ; c’est en ce sens qu’il faut comprendre  » prenez-moi pour modèle  » : vous aussi, comme j’ai fait, prenez le Christ pour modèle, choisissez de le suivre, de vivre comme il nous l’a enseigné, sans jamais chercher votre intérêt. Du même coup, bien des questions somme toute superficielles tomberont d’elles-mêmes, c’est le souci de la charité qui dictera la conduite.

1Cor 10.31-11,1

Diverse questioni pratiche sono sorte tra i Corinzi, in particolare sui prodotti alimentari: possono, o no, mangiare carne sacrificata? Di per sé, non c’è nulla di male, dice l’Apostolo. (ma) Perché non mangiare? Dato che vani sono gli idoli, però « il Signore è il Signore della terra e tutto ciò che contiene. » (V. 25) quindi, se questo deve offendere qualcuno, è bene astenersi.

Ovunque è andato, tra gli ebrei, i pagani e le comunità cristiane, Paolo si adatta. Ha un modello che è  Cristo che ci ha dato la libertà dei figli di Dio. Essa esorta i Corinzi a fare lo stesso, in modo che in questo modo « Diventate miei imitatori »: voi anche, come ho fatto io, prendete Cristo come un modello, scegliete di seguirlo, vivete come ci ha insegnato, senza mai cercare il proprio interesse. Allo stesso tempo, molte domande superficiali cadranno da sole, è la preoccupazione per la carità che detterà la condotta.


dal sito EAQ:

http://www.levangileauquotidien.org/main.php

Meditazione del giorno
San Pascasio Radberto (? – circa 849), monaco benedettino
Commento al vangelo di Matteo, 5, 8; CCM 56 A, 475-476

« Lo voglio, guarisci »

Ogni giorno il Signore guarisce l’anima di ogni uomo che lo implora, lo adora piamente e proclama con fede queste parole : « Signore, se vuoi, puoi guarirmi », e questo qualunque sia il numero delle sue colpe. « Con il cuore infatti si crede per ottenere la giustizia » (Rm 10,10). Ci occorre dunque rivolgere a Dio le nostre richieste, con la massima fiducia, senza mettere per niente in dubbio la sua potenza… Per questo motivo il Signore risponde al lebbroso che lo supplica : « Lo voglio ». Appena infatti il peccatore ha cominciato a pregare con fede, la mano del Signore si mette a curare la lebbra della sua anima.

Quel lebbroso ci dà proprio un buon consiglio sul modo di pregare. Non mette in dubbio la volontà del Signore, come se rifiutasse di credere nella sua bontà. Invece, consapevole della gravità delle sue colpe, non vuole forzare di questa volontà. Dicendo che il Signore, se lo vuole, può guarirlo, afferma che tale potere appartiene al Signore, e allo stesso tempo, afferma la sua fede… Se la fede è debole, deve prima essere rafforzata. Solo allora essa rivelerà tutta la sua potenza per ottenere la guarigione dell’anima e del corpo.

PRIMI VESPRI

Lettura breve   Col 1, 2b-6
Grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro. Noi rendiamo continuamente grazie a Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, nelle nostre preghiere per voi, per le notizie ricevute circa la vostra fede in Cristo Gesù, e la carità che avete verso tutti i santi, in vista della speranza che vi attende nei cieli. Di questa speranza voi avete già udito l’annunzio dalla parola di verità del vangelo il quale è giunto a voi, come pure in tutto il mondo fruttifica e si sviluppa; così anche fra voi dal giorno in cui avete ascoltato e conosciuto la grazia di Dio nella verità.

UFFICIO DELLE LETTURE

Seconda Lettura
Dai «Commenti dal Diatessaron» di sant’Efrem, diacono
(1, 18-19; SC 121, 52-53)

La parola di Dio è sorgente inesauribile di vita
Chi è capace di comprendere, Signore, tutta la ricchezza di una sola delle tue parole? E’ molto più ciò che ci sfugge di quanto riusciamo a comprendere. Siamo proprio come gli assetati che bevono ad una fonte. La tua parola offre molti aspetti diversi, come numerose sono le prospettive di coloro che la studiano. Il Signore ha colorato la sua parola di bellezze svariate, perché coloro che la scrutano possano contemplare ciò che preferiscono. Ha nascosto nella sua parola tutti i tesori, perché ciascuno di noi trovi una ricchezza in ciò che contempla.
La sua parola è un albero di vita che, da ogni parte, ti porge dei frutti benedetti. Essa è come quella roccia aperta nel deserto, che divenne per ogni uomo, da ogni parte, una bevanda spirituale. Essi mangiarono, dice l’Apostolo, un cibo spirituale e bevvero una bevanda spirituale (cfr. 1 Cor 10, 2).
Colui al quale tocca una di queste ricchezze non creda che non vi sia altro nella parola di Dio oltre ciò che egli ha trovato. Si renda conto piuttosto che egli non è stato capace di scoprirvi se non una sola cosa fra molte altre. Dopo essersi arricchito della parola, non creda che questa venga da ciò impoverita. Incapace di esaurirne la ricchezza, renda grazie per la immensità di essa. Rallegrati perché sei stato saziato, ma non rattristarti per il fatto che la ricchezza della parola ti superi. Colui che ha sete è lieto di bere, ma non si rattrista perché non riesce a prosciugare la fonte. E` meglio che la fonte soddisfi la tua sete, piuttosto che la sete esaurisca la fonte. Se la tua sete è spenta senza che la fonte sia inaridita, potrai bervi di nuovo ogni volta che ne avrai bisogno. Se invece saziandoti seccassi la sorgente, la tua vittoria sarebbe la tua sciagura. Ringrazia per quanto hai ricevuto e non mormorare per ciò che resta inutilizzato. Quello che hai preso o portato via è cosa tua, ma quello che resta è ancora tua eredità. Ciò che non hai potuto ricevere subito a causa della tua debolezza, ricevilo in altri momenti con la tua perseveranza. Non avere l’impudenza di voler prendere in un sol colpo ciò che non può essere prelevato se non a più riprese, e non allontanarti da ciò che potresti ricevere solo un po’ alla volta.

VESPRI

Lettura Breve   2 Ts 2, 13-14
Noi dobbiamo rendere sempre grazie a Dio per voi, fratelli amati dal Signore, perché Dio vi ha scelti come primizia per la salvezza, attraverso l’opera santificatrice dello Spirito e la fede nella verità, chiamandovi a questo con il nostro vangelo, per il possesso della gloria del Signore nostro Gesù Cristo.

SAN PAOLO, L’APPASSIONATO, IL FOLLE DI CRISTO

 

dal sito:

http://www.dieu-parmi-nous.com/NIC/Conversion.de.Paul.pdf 

 

SAN PAOLO, L’APPASSIONATO, IL FOLLE DI CRISTO 

 

Conversione di San Paolo, 25 gennaio

ARTICLE DE RAYMOND BEAUGRAND-CHAMPAGNE (gesuita) POUR LE NIC;

 

traduzione mia; è un testo di spiritualità e, quindi, particolarmente difficile da tradurre, ma è bello e ho provato, anche se non è una traduzione perfetta ne vale la pena ; 

 

 

La conversione di Paolo di Tarso, questo ebreo convinto, fervente discepolo di Mosè e dei grandi servi di Dio in seno al giudaismo, è un modello per ciascuno di noi, anche se era necessario che cadesse dal suo cavallo quando perseguitava i cristiani! 

La sua conversione è talmente importante che si festeggia appositamente il 25 gennaio. Questa festa si colloca, esattamente un mese dopo il Natale, giorno dopo giorno, come una celebrazione rinnovata del Dio fatto uomo. La vera festa di San Paolo è alla fine del mese di giugno. L’adesione di Paolo a Cristo è, in effetti, talmente ricca e profonda che raggruppa (oggi) tutti i cristiani durante la Settimana annuale della preghiera per l’Unità che ha luogo ogni anno alla fine del mese di gennaio, per onorare questa conversione esemplare e straordinaria alla fede. (NOTA 1) 

I cristiani si radunano da un secolo (NOTA 2) per domandare a Dio di arrivare, un giorno, ad d essere tutti uniti come ha tanto desiderato Gesù stesso. Ed è quello che ci ricorda nel suo vangelo San Giacomo in una delle più belle pagine della storia umana. 

Il Figlio di Dio si rivolge al Padre alla vigilia della sua Passione: « Non prego solo per questi, ma anche per quelli che  per la loro parola crederanno in me; perché tutti sia una cosa sola. Come tu Padre sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola,  perché il mondo creda che tu mi hai mandato » (Gv 17, 20,21). 

È terribile quello che ci accade a noi cristiani da molti secoli nonostante questa ammirabile preghiera di Gesù. Noi siamo talmente divisi che io ho sentito dire che ci sono, oggi, più di 32.000 Chiese cristiane differenti e separate. 

Ma, felicemente, la nostra Chiesa cattolica, quanto ad essa, dall’inizio senza interruzioni, che abbia provato, resti unita.  Essa comprende circa una ventina di chiese unite al Papa, il Vescovo di Roma, successore di Pietro. Queste Chiese conservano, per così dire, la loro autonomia sotto la giurisdizione di un patriarca. Questi patriarchi sono talvolta nominati cardinali. Noi non ci pensiamo molto e quasi tutto il mondo l’ignora. 

Io vi ricordo, dunque alcune di queste Chiese, sarebbe bene andare ogni tanto per partecipare (NOTA 3), noi latini, con questi nostri fratelli uniti. La Chiesa Caldea cattolica d’Irak, La Chiesa Maronita e la Chiesa Melkita del Medio Oriente, la Chiesa Armena cattolica, le Chiese Siro- Malabar e Siro-Malankar  dell’India, e molte Chiese importanti come la Chiesa Ucraina cattolica di rito bizantino. Queste Chiese, unite alla nostra Chiesa latina prefigurano, con tutte le Chiese unite intorno al Vescovo di Roma,  l’unione che deve (può, o verrà) delle antiche chiese apostoliche con la grande Chiesa Ortodossa. 

Non dimentichiamo mai che i nostri fratelli ortodossi non uniti a Roma rimangono sempre uniti tra loro; le loro Chiese detto autocefale, o nazionali, sono fedeli le une alle altre, fedeli ad una tradizione completamente analoga a quella dei cattolici e che si esprime in particolare per il loro attaccamento al Patriarca ecumenico che ha sede nel cuore della Grande Ortodossia, a Costantinopoli, città oggi musulmana dal XV secolo sotto il nome di Istanbul, in questo paese divenuto musulmano per circa il 99%. 

Noi formiamo, noi cattolici, più della metà dei cattolici del mondo. Ciò che ci unisce è soprattutto, evidentemente, Cristo stesso. Ma noi attribuiamo molta importanza alle parole di Gesù all’Apostolo Pietro: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa” (Mt 16,18 traduzione CEI). 

Per noi Pietro è, e rimane, il primo Pastore della Chiesa universale, il primo Papa, colui al quale Gesù ha detto: “Pasci le mie pecorelle” (ho tradotto l’originale con Gv 21,17). I nostri cuori dei cristiani è ancora segnato da vedere tutti i nostri fratelli, spesso così ferventi e ardenti che non sanno quanto li amiamo e quanto vorremmo essere tutti uniti, insieme, uguali e fraterni come Gesù l’ha desiderato. 

La Settimana di Preghiera per l’unità, fondata in Francia da l’Abate Paul Coutrier, permette agli uni e agli altri di conoscersi meglio pregando insieme, come Gesù l’ha chiesto a suo Padre da circa 200 anni. Non dimentichiamo mai che una conoscenza appassionata produce l’amore reciproco. 

San Paolo ha parlato in modo ammirabile del’unità al capitolo 4 della sua bellissima lettera indirizzata agli abitanti della città di Efeso. Si sente, in San Paolo, tutto il fuoco che Cristo è venuto a portare sulla terra. La sua anima è ardente di questo fuoco che ancora ci muove dopo due millenni: “Noi arriveremo tutti insieme alla’unità della nostra fede ed alla conoscenza del Figlio di Dio. Noi diventeremo adulti quando il nostro sviluppo arriverà alla piena, perfetta,  statura di Cristo. Allora noi non saremo più dei bambini portati via dalle onde e spinti qua e là da qualsiasi vento di dottrina diffuso da uomini ingannatori, che conducono gli altri in errore attraverso le astuzie che inventano. Al contrario, proclamando la verità con l’amore cresceremo in Cristo che il Capo. È grazie a lui che le differenti parti del corpo, sono solidamente unite così che il corpo intero è ben unito attraverso le articolazioni di cui è provvisto. Così quando ogni parte agisce come dovrebbe, il corpo intero cresce e si sviluppa nell’amore”. (NOTA) 

Come tutti coloro che amano San Paolo l’hanno detto e ripetuto, la persona di questo grande santo, i suoi insegnamenti e il suo desiderio straordinario di trasmettere la sua fede, sono estremamente appassionanti. Tutti noi siamo meravigliati  di questo ebreo miracolosamente convertito. È San Luca che ci racconta negli Atti degli Apostoli questa conversione straordinaria che si ritrova anche nella vita di altri numerosi cristiani nel corso dei secoli. Sono delle conversioni improvvise come quelle di Alfonso di Ratisbona nel XIX secolo, Andrea Frossard nel XX secolo. 

Il racconto della conversione si trova nel capitolo 9 degli Atti degli Apostoli. È talmente straordinaria che, come dice bene Joseph Holzner nel suo ammirabile “Paolo di Tarso”, a pagina 47: “La critica, ostile al soprannaturale, prova di spiegare la conversione di San Paolo e la sua nuova concezione di Cristo in maniera esclusivamente psicologica”. 

Holzner, dopo aver contraddetto questa opinione riduttrice, riprende in maniera magistrale il racconto di San Luca negli Atti e scrive: “Da se stesso San Paolo non sarebbe mai divenuto cristiano”. 

Paolo si stava avvicinando a Damasco dove doveva commettere un nuovo crimine. Ma l’ora della sua trasformazione era vicina. Gli occhi di Saulo cominciavano a fargli male…è allora che è avvenuto l’impensabile, che nessuna persona potrà mai spiegare. Improvvisamente un luce celeste splende attorno a lui.. I cavalli si impennano, si gettano su di un lato…l’arco, la luce, infiammato, si chiude su di lui. In questa apparizione di fuoco egli vede un volto, quella di un “uomo celeste” (1Cor 15,49). 

Uno sguardo si posa su di lui, uno sguardo dall’eternità, dove si mescolano severità e tristezza, la nobiltà e la dolcezza. Sotto questo sguardo di fuoco, tuta la resistenza svanisce. E una voce parla nella lingua dei suoi Padri (Atti 26, 14): “Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?” Come in un flash egli comprende: La mia causa è perduta! “Chi sei, o Signore?” Ecco che arriva la parola liberatrice: “Io sono Gesù!” e poi, come dolce rimprovero: “Che tu perseguiti!” In quel momento il viso trasfigurato di Cristo gli appare come coperto di sangue e di ferite, solcato di linee rosse. Il sangue dei martiri che egli aveva sparso scendeva da quel viso goccia a goccia…Allora scaturì dal più profondo del suo essere una sorgente, i suoi flutti inondarono la sua anima di quella luce : “Rifulga la luce dalle tenebre, rifulse nei nostri cuori, per far risplendere la conoscenza della gloria divina che rifulge sul volto di Cristo”. (2Cor 4,6). 

La luce della fede risplendeva in lui. Una forza misteriosa faceva irruzione nella sua anima; una vita nuova cominciava. Egli entrava in un mondo superiore. (…)  San Paolo non avrà mai il minimo dubbio su ciò che ha vissuto in questi pochi istanti. La sua incrollabile convinzione rimane: che aveva effettivamente visto il Risorto e gli aveva parlato. … Quando Paolo si alza, egli è il discepolo di Gesù, per sempre. Da questa bontà di Cristo verso di lui, Paolo tirerà immediatamente una conclusione: ciò che conta non dipende dal volere o dal correre, ma da Dio che usa misericordia Rm 9, 16)… Il fatto che il Cristo Risorto gli sia apparso, non sotto i tratti di colui che punisce e vendica, ma con un volto pieno di misericordia e di bontà (Tt 3,5) conferma San Paolo nell’idea che la collera di Dio contro l’uomo si è trasformata in amore, grazie al Crocifisso.” 

—————–

 

Sources : J. Holzner, « Paul de Tarse », Alsatia, réédité par Pierre Téqui, 1997. 

 

M. Villain, « L’abbé Paul Couturier », Casterman, 1964.

 

 

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