SABATO 10 GENNAIO 2009 – FERIA DEL TEMPO DI NATALE DOPO L’EPIFANIA
UFFICIO DELLE LETTURE
per il tempo di Natale, dopo l’Epifania
Seconda Lettura
Dal «Commento su san Giovanni» di san Cirillo d’Alessandria, vescovo
(Lib. 5, cap. 2; PG 73, 751-754)
L’effusione dello Spirito Santo su tutti gli uomini
Quando colui che aveva dato vita all’universo decise con un’opera veramente mirabile, di ricapitolare in Cristo tutte le cose e volle ricondurre la natura dell’uomo alla sua condizione primitiva di dignità, rivelò che gli avrebbe concesso in seguito, tra gli altri doni, anche lo Spirito Santo; non era infatti possibile che l’uomo tornasse altrimenti ad un possesso duraturo dei beni ricevuti.
Stabilisce dunque Dio il tempo della discesa in noi dello Spirito ed è il tempo della venuta del Cristo, che egli ci annunzia dicendo: «In quei giorni», cioè nel tempo del Salvatore nostro, «Io effonderò il mio Spirito su ogni creatura» (cfr. Gl 3, 1).
Quando dunque l’ora della splendida misericordia di Dio portò sulla terra tra noi il Figlio Unigenito nella natura umana, cioè un uomo nato da una donna secondo la predizione delle Sacre Scritture, colui che è Dio e Padre concesse di nuovo lo Spirito e lo ricevette per primo il Cristo, come primizia della natura umana totalmente rinnovata. Lo attesta Giovanni quando dichiara: «Ho visto lo Spirito scendere dal cielo e posarsi sopra di Lui» (Gv 1, 32).
Cristo ricevette lo Spirito in quanto uomo ed in quanto era conveniente per un uomo il riceverlo. Il Figlio di Dio, che fu generato dal Padre rimanendo a lui consostanziale, e che esiste prima della sua nascita umana, anzi assolutamente prima del tempo, non si ritiene offeso che il Padre, dopo la sua nascita nella natura umana, gli dica: «Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato» (Sal 2, 7).
Il Padre afferma che colui che è Dio prima del tempo e da lui generato, viene generato oggi, volendo significare che nel Cristo accoglieva noi come suoi figli adottivi. Il Cristo infatti, poiché si è fatto uomo, ha assunto in sé tutta la natura umana. Il Padre ha il suo proprio Spirito e lo dà di nuovo al Figlio, perché anche noi lo riceviamo da lui come ricchezza e fonte di bene.
Per questo motivo egli ha voluto condividere la discendenza di Abramo, come si dice nella Scrittura, e in tutto si è fatto simile a noi suoi fratelli. L’Unigenito Figlio non accoglie dunque per se stesso lo Spirito; infatti lo Spirito è lo Spirito del Figlio, ed è in lui, e viene dato per lui, come abbiamo già detto: ma poiché, fattosi uomo, il Figlio ebbe in sé tutta la natura umana, ha ricevuto lo Spirito per rinnovare l’uomo completamente e riportarlo alla sua prima grandezza.
Usando dunque la saggezza della ragione e appoggiandoci alle parole della Sacra Scrittura, comprendiamo che Cristo ebbe lo Spirito non per se stesso, ma per noi; ogni bene, infatti, viene a noi per mezzo di Lui.
SANTI DI OGGI:
SAN GREGORIO DI NISSA
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Cesarea di Cappadocia, circa 335 – 395
È uno dei più importanti Padri della Chiesa d’Oriente. A lui si deve il primo trattato sulla perfezione cristiana, il «De virginitate». Nato intorno al 335, a differenza del fratello Basilio, futuro vescovo di Cesarea, inizialmente non scelse la vita monastica ma gli studi di filosofia e retorica. Fu solo dopo aver insegnato per anni che raggiune Basilio ad Annesi, sulle rive dell’Iris, dove si era ritirato insieme a Gregorio di Nazianzo. E quando Basilio fu eletto alla sede arcivescovile di Cesarea, volle i suoi due compagni come vescovi a Nissa e a Sasima. Nella sua sede episcopale Gregorio dovette affrontare non poche difficoltà: accuse mossegli dagli ariani lo portarono nel 376 all’esilio, ma quando si scoprì che erano false venne reintegrato nella sede. Nel 381 i padri che con lui parteciparono al Concilio Costantinopolitano I lo definirono la «colonna dell’ortodossia». Morì intorno al 395. (Avvenire)
Etimologia: Gregorio = colui che risveglia, dal greco
Emblema: Bastone pastorale
Martirologio Romano: A Nissa in Cappadocia, nell’odierna Turchia, san Gregorio, vescovo, fratello di san Basilio Magno: illustre per vita e per dottrina, a motivo della retta fede da lui professata fu scacciato dalla sua città dall’imperatore ariano Valente.
S. Gregorio di Nissa è uno dei grandi « Padri Cappadoci » a nessuno di loro inferiore come filosofo, teologo e mistico. Fratello di S. Basilio il Grande e di S. Macrina, di cui scrisse la vita, nacque a Cesarea verso il 335. Si applicò allo studio delle lettere in patria e in seno alla famiglia molto religiosa e ricca. Non pare che abbia avuto occasione di frequentare le grandi scuole del tempo, tanto più che suo padre era retore e avvocato.
Gregorio nella sua chiesa adempiva già l’ufficio di lettore quando, sedotto dalle attrattive del mondo, innamorato dell’arte di Libanio, sofista e rètore pagano, si fece professore di belle lettere e sposò la giovane Teosebia. Tuttavia, le rimostranze di suo fratello e di S. Gregorio di Nazianzo gli fecero ben presto comprendere la vanità del mondo. Allora abbandonò la cattedra, verso il 360 raggiunse i suoi amici nel cenobio fondato da S. Basilio sulle rive dell’Iris, nel Ponto, per darsi all’ascesi e allo studio della Scrittura e dei grandi teologi, in modo speciale Origene. Possiamo farci un’idea del suo stato d’animo in quel tempo leggendo il De Virginitate che scrisse per ordine di Basilio, suo maestro. Da quanto dice era pienamente felice di potersi dedicare alla vita contemplativa, lontano dal tumulto degli affari.
In quella solitudine Gregorio rimase per oltre dieci anni, fino a tanto cioè che suo fratello, eletto metropolita di Cesarea di Cappadocia, nel 371 lo richiamò per consacrarlo, nonostante la sua resistenza, vescovo di Nissa. S. Basilio non poté mai vantarsi delle attitudini amministrative dell’eletto. In diverse lettere egli si lamenta della sua ingenuità. A chi, nel 375, gli propose di inviarlo in missione a Roma, onde superare le difficoltà sorte con papa Damaso, che non si rendeva ben conto della situazione in Oriente, rispose, conscio dell’inesperienza assoluta di lui negli affari ecclesiastici: « Gregorio sarebbe certamente venerato e apprezzato da un uomo benevolo, ma con un uomo altero come Damaso, compreso della sua importanza, posto in alto e appunto per questo incapace di intendere coloro che, dal basso, gli dicono la verità, la visita di uno così estraneo all’adulazione come Gregorio, non servirebbe a nulla ».
Ciò nonostante S. Basilio aveva un’assoluta fiducia in lui perché lo sapeva fedele sostenitore del Concilio di Nicea. Fu difatti il suo costante attaccamento alla dottrina di S. Atanasio che gli attirò l’odio e la persecuzione degli ariani. Nella primavera del 376, un sinodo di vescovi cortigiani, convocato da Demostene, governatore del Ponto, e tenuto a Nissa stessa, depose Gregorio durante la sua assenza, con il falso pretesto di aver dilapidato i beni della sua chiesa. Questi avrebbe voluto ritirarsi ma S. Gregorio di Nazianzo lo esortò a tenere duro. La morte dell’imperatore Valente, avvenuta il 9-8-378 nella lotta contro i Goti. Gli permise difatti di rientrare trionfalmente nella sua sede.
Nel 379, nove mesi dopo la morte di suo fratello, S. Gregorio prese parte al concilio di Antiochia, riunito per estinguere lo scisma Meleziano ivi sorto e in cui si vide affidare dai padri conciliari una missione di grande fiducia presso i vescovi discordi del Ponto e dell’Armenia. Mentre assolveva il suo compito, nel 380 fu scelto come arcivescovo di Sebaste. Egli protestò per quella sua elezione, ma per qualche mese s’incaricò provvisoriamente dell’amministrazione religiosa della diocesi.
Il vescovo di Nissa, se era poco abile negli affari, s’imponeva con la sua eloquenza e la vastità della scienza filosofìca e teologica. Nel 2° concilio ecumenico radunato da Teodosio I nel 381 a Costantinopoli fu salutato « colonna dell’ortodossia ». In esecuzione del 3° canone del concilio, l’imperatore stabilì che sarebbero stati esclusi, come eretici notori, dalle chiese della provincia del Ponto, coloro che non erano in comunione con i vescovi Elladio di Cesarea, Otreio di Mitilene nella Piccola Armenia, e Gregorio di Nissa. E probabile che il santo sia stato incaricato di redigere la professione di fede che concluse i lavori del concilio. Sembra pure che abbia ricevuto l’incombenza di stabilire l’ordine nelle chiese della Palestina e dell’Arabia. San Gregorio ricomparirà ancora più di una volta, a Costantinopoli per i discorsi d’occasione e per le grandi orazioni funebri in morte della principessa Pulcheria e dell’imperatrice Flacilla. Nel 394 prese parte al concilio celebrato sotto la presidenza del patriarca Nettario. Nella suddetta città, dopo d’allora, il suo nome non compare più nei documenti del tempo. Se ne deduce che sia morto poco dopo.
San Gregorio fu oratore stimato, ma meno vivo del Nazianzeno, fu uomo di azione, ma inferiore a Basilio. Fu invece il più speculativo dei Cappadoci e il più profondo dei padri greci del secolo IV. Contro Eunomio, vescovo ariano di Cizico, difese energicamente dalle accuse suo fratello, e contro Apollinare di Loadicea rivendicò a Cristo un corpo umano e un’anima razionale. Nella controversia trinitaria rappresentò l’ortodossia cattolica e seguì la terminologia già fissata dagli altri cappadoci. Nella spiegazione teologica del dogma qualche volta fu molto audace, altre volte invece assai impreciso. La vita spirituale non è considerata dal Nisseno come contemplazione di Dio presente nell’anima, bensì come un avvicinarsi dell’anima a Dio e come l’unione con Lui nell’estasi dell’amore. La via della perfezione comincia quindi con l’illuminazione della fede, che coincide con la purificazione dell’anima; attraversa la seconda fase, che è l’oscurarsi delle realtà sensibili, mentre l’anima scopre in sé l’immagine della Santissima Trinità; nella fase finale sfocia nella conoscenza di Dio nella tenebra, che spinge l’anima alla ricerca instancabile dello Sposo divino, perché trovare Iddio non è riposarci in Lui, ma cercarlo senza sosta.
L’escatologia di Gregorio è molto discussa perché da una parte afferma l’eternità delle pene dell’inferno, e dall’altra – basandosi sull’efficacia dell’immenso amore del Verbo incarnato e sul trionfo finale del regno di Dio – insegna la restaurazione universale, teoria tanto cara ad Origine, ma riprovata dalla Chiesa.