Archive pour janvier, 2009

Paolo: un aborto convertito alla Vita

dal sito:

http://www.zenit.org/article-16923?l=italian

Paolo: un aborto convertito alla Vita

III Domenica del Tempo Ordinario e Festa della Conversione di san Paolo

di padre Angelo del Favero*

ROMA, venerdì, 23 gennaio 2009 (ZENIT.org).- “Colui che una volta ci perseguitava, ora va annunciando la fede che un tempo voleva distruggere” (Gal 1,23).

La conversione di Saulo in Paolo è un evento che Dio può rinnovare in qualunque tempo e momento, poiché la Sua misericordia è sempre in grado di volgere il male al bene, in modo che la cattiva notizia della persecuzione e dell’avversione al Vangelo, sia trasformata nella buona novella del Vangelo stesso.

Paolo era un nemico acerrimo del Vangelo, perché ai suoi occhi rappresentava il crollo e non il compimento dell’antica Legge, cosa che il suo zelo religioso non poteva tollerare, in nome del Dio di Israele.

E’ lui stesso a raccontarlo oggi: “Io perseguitai a morte questa nuova dottrina, arrestando e gettando in prigione uomini e donne […] per esservi puniti” (At 22,4-5).

Sembra la confessione a Norimberga di un ufficiale della Gestapo!

Il terrore che il nome di Saulo suscitava nella comunità cristiana, ci permette di presupporre che, a Damasco, la notizia del suo imminente arrivo fosse giunta prima della sua caduta a terra sulla via: una notizia cattiva quanto un annuncio di morte. Chi poteva pensare che Saulo stava invece per giungere a Damasco “guidato per mano”? (At 22,11).

E’ lo stile di Dio e l’essenza stessa dell’evento pasquale, poter suscitare la vita dalla morte, ciò che è bene da ciò che è male, l’impensabile positivo dal suo opposto negativo, come il Risorto ricorda ai discepoli in cammino verso Emmaus: “Stolti e lenti di cuore a credere […] non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?” (Lc 24,25).

La notizia della crocifissione e morte del Signore Gesù li aveva abbattuti, perché, apparentemente, dava ragione agli stolti descritti dal salmo 14/13, del re Davide: “Lo stolto pensa: ‘Dio non c’è’. Sono corrotti,  fanno cose abominevoli: non c’è chi agisca bene” (v. 1).

Questo salmo, quanto mai attuale, viene intitolato “Il canto dell’ateo”, intendendo con questo termine non tanto colui che nega teoricamente l’esistenza di Dio, quanto piuttosto chi Lo ritiene lontano e indifferente nei confronti dell’uomo e della storia.

Leggo da “I Salmi” di Gianfranco Ravasi: “Protagonista di questo salmo, che ha il tono di un’invettiva profetica, è l’ ‘ateo’. Il vocabolo ebraico che lo definisce è nabal, il cui significato comprende un ventaglio di possibilità: persona incosciente, irresponsabile,  folle, malvagia, stolta, immorale, assurda. E’ una follia radicale che si misura anche a livello morale […] Il nostro nabal dichiara che è irrilevante per l’uomo che Dio esista o non esista, dato che in ogni caso non interverrà nella nostra storia”

Al tempo di Davide non esistevano gli autobus, ma gli “stolti” circolavano come oggi.

Il messaggio lanciato nel mondo dall’ “Unione atei e agnostici razionalisti” (Uaar) per mezzo degli autobus cittadini,  dimostra tale stoltezza. 

Dice: “La cattiva notizia è che, probabilmente Dio non esiste. Quella buona è che non ne hai bisogno”. E’ questa la versione italiana di uno slogan tradotto da quello inglese: “There’s probably no God. Now stop worrying and enjoy your life= probabilmente Dio non esiste; smettila di preoccuparti e goditi la vita”. Questo “probabilmente”, serve a far capire che, anche se Dio esistesse, non avrebbe comunque nulla a che fare con la vicenda umana, sarebbe un “Motore immobile”, un Dio muto, impersonale.

Ma l’iniziativa dei bus atei, io credo, è destinata ad avere l’esito della missione di Paolo in viaggio per Damasco.

Leggiamone il racconto:

“Mentre ero in viaggio e mi avvicinavo a Damasco, verso mezzogiorno, all’improvviso una gran luce dal cielo rifulse attorno a me, caddi a terra e sentii una voce che mi diceva: ‘Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? […] Io sono Gesù il Nazareno che tu perseguiti” (22,6-8). Ecco: in un attimo il persecutore trasformato in apostolo.

Ironia della sorte? No, disegno provvidenziale di Dio! Saulo voleva spegnere l’Emittente divina e mettere in carcere gli ascoltatori-ripetitori, ma fu ammutolito e divenne il più formidabile araldo di quella notizia che voleva soffocare ed annientare, la buona notizia del  Vangelo.

Ciò non costituì, tuttavia, una interruzione della sua vita, un’inversione di marcia paragonabile ad uno che dovendo andare da Bologna a Bolzano, si rende finalmente conto di aver imboccato l’autostrada per Bari. Paolo lo afferma chiaramente altrove: “Ma quando Dio, che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia” (Gal 1, 15-16).

Egli fa risalire il piano divino del “blitz” di Damasco (“sono stato afferrato da Cristo Gesù” – Fil 3,12b) all’inizio stesso della sua vita nel grembo materno. In effetti, se la sua fosse stata una “conversione” sarebbe tornato indietro verso Gerusalemme, come nell’esempio autostradale; invece proseguì, accettando di lasciarsi guidare per mano. Damasco, per Paolo, fu anzitutto rivelazione della sua nativa vocazione e missione; il contesto, tuttavia, rende chiaro che nello stesso tempo si trattò di un cambiamento radicale dell’orientamento della sua vita.

Potrei ancora spiegare così, estendendolo ad ognuno di noi: come non esiste soluzione di continuità tra l’inizio della vita umana nel concepimento e il suo termine alla morte, così la vocazione e missione personale che Dio assegna ad ogni uomo (quello di Paolo è un esempio paradigmatico per tutti, anche se il suo caso fu del tutto eccezionale), è una Parola già detta da Dio all’alba dell’esistenza, quando: “ancora informe mi hanno visto i tuoi occhi e tutto era scritto nel tuo libro” (Sal 139,16). Crescendo, l’uomo deve solo scoprirla, comprenderla e metterla in pratica, alla luce e con la forza della fede.

A questo punto sorge una domanda su Paolo, una domanda ineludibile anche e soprattutto se, a partire da lui, ci si interroga poi sull’iniziativa dei bus-atei: come si spiega, in profondità, l’accanimento con cui Saulo infieriva contro i cristiani? Ovverosia: come si spiega il successo dell’idea dei bus atei, che dalla British Humanist Association è stata ripresa negli U.S.A., in Australia, in Spagna ed ora approda anche in Italia?

Ecco una risposta verosimile, data sul piano delle naturali dinamiche psicologiche, che nulla toglie tuttavia al primato assoluto dell’iniziativa divina, ma anzi lo riconosce radicalmente: “C.G. Jung cercò di spiegare la conversione di Paolo con i suoi termini e concetti psicologici, e scrisse: ‘Saulo era già da tempo un cristiano, ma lo era inconsciamente: così si spiega il suo odio fanatico per i cristiani; perché il fanatismo è sempre presente in coloro che debbono soffocare un dubbio interiore […] Quello che non è in noi, non ci eccita neppure” (Anselm Grun, “Paolo e l’esperienza religiosa cristiana”, p. 22ss).

A sostegno di tale interpretazione, Grun cita la testimonianza resa dallo stesso Paolo: “Nel suo secondo discorso sull’esperienza della conversione, tenuto davanti al re giudeo Agrippa […] Paolo aggiunge queste parole di Gesù: ‘E’ duro per te rivoltarti contro il pungolo’ (At 26,14). Gesù gli spiega in maniera psicologica la persecuzione da lui intrapresa. Paolo non combatte solamente contro Gesù, bensì anche contro la propria convinzione. Nel suo intimo più profondo Saulo sa che cosa è la verità, ma non ne vuole prendere atto. Però a lungo andare non può andare contro il proprio essere. La fede cristiana, così ci dice Luca con questa frase, corrisponde all’essenza dell’uomo spirituale. Nessun uomo che cerca sinceramente, può, a lungo andare, imperversare contro il Cristo in lui presente” (pp. 25-6).

Il “pungolo” citato indica il bastone appuntito utilizzato per spingere il bestiame nella direzione voluta, ed è un modo di dire per significare la forza irresistibile del pungolo della misericordia di Cristo nei confronti del Suo persecutore, predestinato a diventare apostolo. Un pungolo che si vale anche dei meccanismi dell’inconscio. Un pungolo che rappresenta efficacemente la forza sempre vincente dell’Amore e della Vita. Colui che voleva sopprimere Cristo dichiarerà: “Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me. E questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me” (Gal 2,20).

Al riguardo, in 1 Cor 15,8-9, Paolo narra la grazia di Damasco in termini  insoliti: “Ultimo fra tutti (Cristo) apparve anche a me come a un aborto. Io infatti sono il più piccolo tra gli apostoli e non sono degno di essere chiamato apostolo perché ho perseguitato la Chiesa di Dio”.

Definendosi un aborto, Paolo non manifesta solamente un senso di indegnità, per la quale Dio avrebbe dovuto scartarlo piuttosto che sceglierlo; egli tocca qui il mistero della vita e della morte, mistero che sta nelle mani di Dio solo, “Autore della vita” (At 3,15a).

Per definizione “aborto” è un cadavere, il corpo morto che viene espulso dal grembo. Paolo si definisce aborto perché egli era morto spiritualmente quando Gesù gli apparve; un aborto al quale il Pungolo divino restituì la vita quando lo afferrò e lo ghermì irresistibilmente sulla via di Damasco, dopo averlo tallonato fin dal grembo di sua madre.

Questa immagine dell’Amore instancabile e seducente di Dio, per contrasto, ne richiama una di segno opposto, suscitata inevitabilmente dalla parola “aborto”. Ha l’aspetto anch’essa di un pungolo, un pungolo di materia plastica tagliato a becco di flauto, un pungolo assassino che va a cercare nel grembo un uomo che tenta disperatamente di sfuggire alla morte. Alla fine lo raggiunge, ed egli muore lanciando un grido che nessuno può udire.

Ogni anno decine di milioni di esseri umani vengono fatti a pezzi così, da medici “persecutori” della Vita. Molti di loro, però, come Saulo, un giorno non hanno potuto più rivoltarsi contro il pungolo della Vita, al punto che ne sono diventati apostoli, e il loro annuncio risuona ancora oggi nel mondo intero.

L’Amore è un’onda più alta della morte, perché è l’onda insopprimibile e divina della Vita, dal concepimento all’eternità. Poiché l’Amore si è fatto carne in Gesù, che è risorto, la Vita ha vinto definitivamente la morte, per Sé e per tutti coloro che credono nel suo nome.  E’ questa la buona notizia che sta circolando da duemila anni, anche sugli autobus atei.

———

* Padre Angelo, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E’ diventato carmelitano nel 1987. E’ stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.

La Conversione di San Paolo e il mistero di Caravaggio

La Conversione di San Paolo e il mistero di Caravaggio dans ARTE ISPIRATA DA SAN PAOLO conversioneSanPaolo

http://blog.scuolaer.it/ImmaginiBlog/745/

dal sito on line del quotidiano Il Sole 24 ore:

http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Tempo%20libero%20e%20Cultura/2006/11/sbio9n0v06caravaggiomarra.shtml?uuid=f2ad8304-6fef-11db-8e1a-00000e251029&type=Libero

10 novembre 2006 (data del giornale)
 La Conversione di San Paolo e il mistero di Caravaggio
di Natalia Marra

Due dipinti di Caravaggio per raccontare una vera e propria folgorazione alla fede, quella avvenuta sulla via di Damasco. La prima versione, misteriosamente, viene sostituita da una seconda e finisce nella collezione privata di una antica familgia romana. Non verrà mai ammirata all’interno di Santa Maria del Popolo, la Chiesa degli artisti come la chiamano i romani. Mai prima d’ora, perché dopo quattrocento anni, le due opere prenderanno posto all’interno della cappella Cerasi, luogo per cui furono commissionate.
Dal 10 al 25 novembre, la « Conversione di San Paolo » su tavola di cipresso della collezione Odescalchi sarà protagonista di un evento straordinario. Al termine di un delicato restauro, sarà visibile nel luogo per la quale fu commissionata, ma dove con ogni probabilità non trovò mai dimora.
Altrettanto straordinaria sarà la possibilità di avere un confronto diretto con l’altra « Conversione di San Paolo », il dipinto realizzato su tela sempre da Caravaggio – che misteriosamente sostituì la prima versione su tavola – e che dal 1605 decora la cappella di Santa Maria del Popolo.
L’esposizione « Il Caravaggio Odescalchi, le due versioni della Conversione di S. Paolo a confronto » è stata ideata e voluta da Rossella Vodret, soprintendente per il Patrimonio storico artistico ed etno-antropologico del Lazio. L’evento è l’occasione per presentare il restauro della tavola commissionato dai proprietari e condotto, tra giugno e ottobre 2006, da Valeria Merlini e Daniela Storti, con analisi diagnostiche di Claudio Falcucci.
La prima « Conversione di San Paolo », poco conosciuta al grande pubblico perché da sempre custodita in collezioni private, è al centro di uno dei più appassionanti enigmi caravaggeschi. La tavola, insieme al suo pendant « Crocifissione di S. Pietro » (perduta), fu commissionata a Caravaggio nel 1600 da Tiberio Cerasi, tesoriere generale della Camera apostolica, cioè il Ministro del tesoro del Papa (all’epoca Clemente VIII Aldobrandini), per decorare le pareti della sua nuova cappella in Santa Maria del Popolo, che l’architetto Carlo Maderno era stato incaricato di ristrutturare. I due dipinti dovevano essere eseguiti, per contratto stipulato tra Cerasi e Caravaggio, su tavola di cipresso. Con la morte del Cerasi, nel maggio 1601, a lavori appena iniziati, la vicenda si complica e nasce il mistero. I due dipinti che dal 1605 si trovano nella cappella Cerasi sono infatti su tela e non su tavola, come invece espressamente indicato nel contratto, mentre le due versioni su cipresso, che furono certamente dipinte per prime dal grande maestro lombardo, hanno preso strade diverse, si sono divise, e alla fine una sola, la « Conversione di S. Paolo » oggi restaurata, è giunta fino a noi. Perché Caravaggio ha realizzato una seconda versione su tela al posto della prima su tavola di cipresso? L’ipotesi più accreditata – basata su un’affermazione di Giovanni Baglione storico nemico di Caravaggio – è che la prima versione su tavola venne rifiutata dal committente. La possibilità di confrontare da vicino i due dipinti caravaggeschi apre oggi nuovi affascinanti scenari. L’ipotesi che si vuole verificare in questa occasione è che sia stato lo stesso Caravaggio, forse in accordo con i proprietari, a sostituire il dipinto quando, terminati i lavori architettonici nella cappella (i quadri furono sistemati solo nel 1605), si rese conto che l’impianto compositivo della prima versione su tavola non poteva in alcun modo adattarsi all’articolato, ma troppo angusto spazio della cappella progettato da Maderno. In pratica i due quadri, impostati per essere visti da lontano, non erano materialmente visibili correttamente nella stretta cappella Cerasi. Questa ipotesi se confermata dall’esposizione del quadro Odescalchi nella cappella e dal confronto tra le due versioni, non solo risolverà il mistero del presunto « rifiuto », ma consentirà anche una collocazione in avanti nel tempo delle versioni su tela, situandole non nel 1601 come si è creduto finora, ma verso il 1603 – 1604, a ridosso del completamento architettonico della cappella. Un’ipotesi questa di grande fascino perché permette di inserire più coerentemente le due tele nel percorso stilistico di Caravaggio e rende anche assai più comprensibile la distanza stilistica tra le due « Conversioni di S. Paolo », entrambe eccelse ma espressione di linguaggi diversi, una differenza che emerge oggi con maggior prepotenza alla luce del restauro della tavola Odescalchi.
La mostra « Il Caravaggio Odescalchi, le due versioni della Conversione di S. Paolo a confronto » sarà aperta dalle 10 alle 21 di tutti i giorni, chiuso la domenica, e l’ingresso è libero.

Imitazione di Cristo : Consegnato agli uomini e al Padre suo, Cristo ci nutre della Parola e del Pane di vita.

dal sito:

http://www.vangelodelgiorno.org/www/main.php?language=IT&localTime=01/24/2009#

Imitazione di Cristo, trattato spirituale del 15o secolo
Libro IV, cap. 11

Consegnato agli uomini e  al Padre suo, Cristo ci nutre della Parola e del Pane di vita.
Tu mi sei testimone, o Dio, che non c’è cosa che mi possa dare conforto, non c’è creatura che mi possa dare contentezza, all’infuori di te, che bramo contemplare in eterno. Ma ciò non è possibile mentre sono in questa vita mortale; … Frattanto terrò, « come conforto » e specchio di vita, i libri santi; soprattutto terrò, come unico rimedio e come rifugio, il tuo Corpo santissimo.

In verità, due cose sento come massimamente necessarie per me, quaggiù; senza di esse questa vita di miserie mi sarebbe insopportabile. Trattenuto nel carcere di questo corpo, di due cose riconosco di avere bisogno, cioè di alimento e di luce. E a me, che sono tanto debole, tu hai dato, appunto come cibo il tuo santo corpo, e come lume hai posto dinanzi ai miei piedi « la tua parola » (Sal 118,105). Poiché la parola di Dio è luce dell’anima e il tuo Sacramento è pane di vita, non potrei vivere santamente se mi mancassero queste due cose.

Le quali potrebbero essere intese come le « due mense » poste da una parte e dall’altra nel prezioso tempio della santa Chiesa; una, la mensa del sacro altare, con il pane santo, il prezioso corpo di Cristo; l’altra la mensa della legge di Dio, compendio della santa dottrina, maestra di vera fede, e sicura guida, al di là del velo del tempio, al sancta sanctorum.

Ti siano rese grazie, Creatore e Redentore degli uomini, che, per dimostrare al mondo intero il tuo amore, hai preparato la grande cena, in cui disponesti come cibo, non già il simbolico agnello, ma il tuo corpo santissimo e il tuo sangue, inebriando tutti i tuoi fedeli al calice della salvezza e colmandoli di letizia al tuo convito: il convito che compendia tutte le delizie del paradiso.

PER IL 25 GENNAIO, FESTA DELLA CONVERSIONE DI SAN PAOLO …

CONSIDERARE LA SUA FEDELTÀ A DIO, IL SUO AMORE, LA SUA SPERANZA IN CRISTO GESÙ,

articoletto scritto da me per partecipare con voi questa festa

Domenica 25 è la festa della conversione di San Paolo, mi sto domandando in questi giorni come mi trovo davanti a questa celebrazione, questa « memoria »; so che non posso fare molte cose, ho l’artrosi, non posso andare alla Basilica di San Paolo, almeno fino a primavera, ma forse, questa non è la cosa più importante per me;
quello che mi sembra bello, allora, è considerare, e vivere come un pellegrinaggio, l’esperienza di Paolo: la sua fedeltà a Dio, il suo amore, la sua speranza in Cristo Gesù – mentalmente ho cercato di sintetizzare la mia esperienza, nel senso anche di sequela di Dio con San Paolo e, senza che lo volessi, ho messo insieme le tre virtù – considerare, ossia, questo « essere » di Dio, e per noi, dell’Apostolo, ed in lui in Cristo, e con Cristo, in Dio;
su cosa ancora posso riflettere, che cosa pensare di, e con, San Paolo?
La sua vita donata a Dio;
La sua venuta nella storia che si protrae, come un memoriale, per tutti i tempi, e nella Chiesa, come presenza, nel « memoriale » sacramentare;
Il suo stare con noi « figli di adozione », Paolo, maestro e fratello, ci dona la sua predicazione, la sua passione, La sua sofferenza, il suo amore, rispettoso e tenero, come fratelli-figli nella fede;
Il suo amore appassionato verso i fratelli « secondo la carne », il suo sguardo rivolto ad ogni uomo, come al macedone che, nel sogno, gli chiede aiuto;
Nella sua umile persona si raccoglie l’anelito verso l’Universo, la santità della « Benedizione a Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo », la redenzione operata per noi, « con ogni sapienza ed intelligenza », nella speranza certa che in Cristo si ricapitolano tutte le cose, quelle del cielo e quelle della terra;

anche se non è possibile per me fare quello che vorrei nel Signore, faccio quello che posso e, più che muovermi, mi soffermo a chiedo a Dio di poter offrire – di nuovo e sempre – la mia vita a lui e per i fratelli, nella fedeltà, nell’amore, nella speranza, ed avere almeno una piccola parte di quell’amore che ha riempito il cuore e la vita di San Paolo,

scrivo questo articoletto con molta emozione, come sempre quando penso all’Apostolo,

siate lieti nel Signore sempre,

 Gabriella

23 gennaio 2009

Concilio Vaticano II, LG: « Chiamò a sé quelli che egli volle »

dal sito:

http://www.vangelodelgiorno.org/www/main.php?language=IT&localTime=01/23/2009#

Concilio Vaticano II
Constituzione dogmatica sulla Chiesa « Lumen Gentium », § 18-19

« Chiamò a sé quelli che egli volle »
Il santo Sinodo, sull’esempio del Concilio Vaticano primo, insegna e dichiara che Gesù Cristo, pastore eterno, ha edificato la santa Chiesa e ha mandato gli apostoli, come egli stesso era stato mandato dal Padre, e ha voluto che i loro successori, cioè i vescovi, fossero nella sua Chiesa pastori fino alla fine dei secoli. Affinché poi lo stesso episcopato fosse uno e indiviso, prepose agli altri apostoli il beato Pietro e in lui stabilì il principio e il fondamento perpetuo e visibile dell’unità di fede e di comunione…

Il Signore Gesù, dopo aver pregato il Padre, chiamò a sé quelli che egli volle, e ne costituì dodici perché stessero con lui e per mandarli a predicare il regno di Dio; ne fece i suoi apostoli dando loro la forma di collegio, cioè di un gruppo stabile, del quale mise a capo Pietro, scelto di mezzo a loro. Li mandò prima ai figli d’Israele e poi a tutte le genti affinché, partecipi del suo potere, rendessero tutti i popoli suoi discepoli, li santificassero e governassero, diffondendo così la Chiesa e, sotto la guida del Signore, ne fossero i ministri e i pastori, tutti i giorni sino alla fine del mondo. In questa missione furono pienamente confermati il giorno di Pentecoste secondo la promessa del Signore: « Riceverete una forza, quella dello Spirito Santo che discenderà su di voi, e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria, e sino alle estremità della terra ».

Gli apostoli, quindi, predicando dovunque il Vangelo, accolto dagli uditori grazie all’azione dello Spirito Santo, radunano la Chiesa universale che il Signore ha fondato su di essi e edificato sul beato Pietro, loro capo, con Gesù Cristo stesso come pietra maestra angolare. La missione divina affidata da Cristo agli apostoli durerà fino alla fine dei secoli, poiché il Vangelo che essi devono predicare è per la Chiesa il principio di tutta la sua vita in ogni tempo.

Riferimenti biblici : Gv 20,21; Mc 3,13-19; Mt 10,1-42; Lc 6,13; Gv 21,15-17; Rm 1,16; Mt 28,16-20; Mc 16,15; Lc 24,45-48; Gv 20,21-23; Mt 28,20; At 2,1-36; At 1,8; Mc 16,20; Ap 21,14; Mt 16,18; Ef 2, 20; Mt 28,20.

GIOVEDÌ 22 GENNAIO 2009 – II SETTIMANA DEL T.O.

GIOVEDÌ 22 GENNAIO 2009 – II SETTIMANA DEL T.O.

MESSA DEL GIORNO

Prima Lettura    Eb 7,25-8,6
Cristo ha offerto come sacrificio se stesso, una volta per tutte.

Dalla lettera agli Ebrei
Fratelli, Cristo può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si accostano a Dio, essendo egli sempre vivo per intercedere a loro favore.
Tale era infatti il sommo sacerdote che ci occorreva: santo, innocente, senza macchia, separato dai peccatori ed elevato sopra i cieli; egli non ha bisogno ogni giorno, come gli altri sommi sacerdoti, di offrire sacrifici prima per i propri peccati e poi per quelli del popolo, poiché egli ha fatto questo una volta per tutte, offrendo se stesso. La legge infatti costituisce sommi sacerdoti uomini soggetti all’umana debolezza, ma la parola del giuramento, posteriore alla legge, costituisce il Figlio reso perfetto in eterno.
Il punto capitale delle cose che stiamo dicendo è questo: noi abbiamo un sommo sacerdote così grande che si è assiso alla destra del trono della maestà nei cieli, ministro del santuario e della vera Tenda che il Signore, e non un uomo, ha costruito.
Ogni sommo sacerdote, infatti, viene costituito per offrire doni e sacrifici: di qui la necessità che anch’egli abbia qualcosa da offrire.
Se Gesù fosse sulla terra, egli non sarebbe neppure sacerdote, poiché vi sono quelli che offrono i doni secondo la legge. Questi però attendono a un servizio che è una copia e un’ombra delle realtà celesti, secondo quanto fu detto da Dio a Mosè, quando stava per costruire la Tenda: “Guarda, disse, di fare ogni cosa secondo il modello che ti è stato mostrato sul monte”. Ora invece egli ha conseguito un ministero tanto più eccellente quanto migliore è l’alleanza di cui è mediatore, essendo questa fondata su migliori promesse.

UFFICIO DELLE LETTURE

Seconda Lettura
Dalla «Lettera» di san Fulgenzio di Ruspe, vescovo
(Lett. 14, 36-37; CCL 91, 429-431)

Cristo è sempre vivo e intercede per noi
Dobbiamo anzitutto prestare attenzione a ciò che diciamo al termine di ogni preghiera: Per il nostro Signore Gesù Cristo tuo Figlio, mentre non ci serviamo mai dell’espressione: Per lo Spirito Santo. La Chiesa non fa questo a caso nelle sue celebrazioni, ma in riferimento al mistero per cui l’uomo Cristo Gesù è diventato mediatore fra Dio e gli uomini (cfr. 1 Tm 2, 5), «sacerdote per sempre al modo di Melchisedech» (Eb 7, 17). Egli, in virtù del proprio sangue, è entrato una volta sola nel santuario, non certo in quello che era solo figura del vero (cfr. Eb 9, 24-25), ma nel cielo stesso, dove siede alla destra del Padre ed intercede a nostro favore.
Contemplando in lui la dignità sacerdotale, l’Apostolo dice: «Per mezzo di lui dunque offriamo a Dio continuamente un sacrificio di lode, cioè il frutto di labbra che confessano il suo nome» (Eb 13, 15). Per mezzo suo dunque offriamo il sacrificio di lode e di preghiera, perché per la sua morte siamo stati riconciliati, noi, che eravamo nemici.
E’ sempre per mezzo di Cristo, diventato vittima per noi, che il nostro sacrificio può essere trovato accetto al cospetto di Dio. Perciò il beato Pietro ci esorta: «Anche voi venite impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo» (1 Pt 2, 5).
Ecco perché diciamo a Dio Padre: Per Gesù Cristo nostro Signore.
Quando si fa menzione del sacerdote, che cos’altro si vuole mettere in evidenza se non il mistero dell’incarnazione del Signore, per cui il Figlio di Dio «pur essendo di natura divina, spogliò se stesso assumendo la condizione di servo», cioè «si umiliò facendosi obbediente fino alla morte» (Fil 2, 6-8) e si abbassò rendendosi «inferiore agli angeli» (Eb 2, 7), senza perdere tuttavia l’uguaglianza della divinità con il Padre? Il Figlio, pur restando uguale al Padre, si è reso inferiore, perché si degnò di diventare simile all’uomo. Egli stesso poi si rese inferiore, quando spogliò se stesso prendendo la condizione di servo.
L’umiliazione del Cristo dunque è il suo stesso annientamento; e tuttavia il suo annientamento null’altro è se non il rivestirsi della condizione di servo. Cristo dunque, pur rimanendo Dio, Unigenito di Dio, al quale offriamo sacrifici come al Padre, diventando servo si è fatto sacerdote e così per suo mezzo possiamo offrire una vittima viva, santa, gradita a Dio. Tuttavia Cristo non avrebbe potuto essere offerto da noi come vittima, se non fosse diventato vittima per noi. In lui la nostra stessa natura umana è vera vittima di salvezza. Quando dunque noi affermiamo che le nostre preghiere sono offerte per mezzo di nostro Signore, eterno sacerdote, confessiamo che in lui c’è la vera nostra carne umana, secondo quanto afferma l’apostolo Paolo: «Ogni sommo sacerdote, scelto fra gli uomini, viene costituito per il bene degli uomini nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati» (Eb 5, 1).
Quando nella preghiera diciamo: «Figlio tuo» ed aggiungiamo «che vive e regna con te nell’unità dello Spirito Santo» diamo risalto anche nell’unità di natura che egli ha con il Padre e lo Spirito Santo: e con questo proclamiamo lo stesso identico Cristo, che esercita per noi l’ufficio sacerdotale, e che ha unità di natura con il Padre e lo Spirito Santo.

Responsorio    Cfr. Eb 4, 15. 16
R. Abbiamo un sommo sacerdote che sa compatire le nostre infermità, perché è stato provato in ogni cosa: * andiamo con fiducia al trono della grazia.
V. Per ricevere misericordia ed essere aiutati al momento opportuno,
R. andiamo con fiducia al trono della grazia.

LODI

Lettura Breve   Rm 14, 17-19
Il regno di Dio non è questione di cibo o di bevanda, ma è giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo: chi serve il Cristo in queste cose, è bene accetto a Dio e stimato dagli uomini. Diamoci dunque alle opere della pace e alla edificazione vicendevole.

Publié dans:Lettera agli Ebrei, SANTI, Santi - scritti |on 22 janvier, 2009 |Pas de commentaires »

MERCOLEDÌ 21 GENNAIO 2009 – II SETTIMANA DEL T.O.

MERCOLEDÌ 21 GENNAIO 2009 – II SETTIMANA DEL T.O.

SANT’AGNESE (m)

Prima Lettura      Eb 7,1-3.15-17

Fratelli, Melchisedek, re di Salem, sacerdote del Dio Altissimo, andò incontro ad Abramo mentre ritornava dalla sconfitta dei re e lo benedisse; a lui Abramo diede la decima di ogni cosa e il suo nome tradotto significa anzitutto re di giustizia, e quindi anche re di Salem, cioè re di pace. Egli è senza padre, senza madre, senza genealogia, senza principio di giorni né fine di vita, fatto simile al Figlio di Dio e rimane sacerdote in eterno.
Ciò risulta ancor più evidente dal momento che, a somiglianza di Melchisedek, sorge un altro sacerdote, che non è diventato tale per ragione di una prescrizione carnale, ma per la potenza di una vita indefettibile.
Gli è resa infatti questa testimonianza: “Tu sei sacerdote in eterno alla maniera di Melchisedek”.

UFFICIO DELLE LETTURE DELLA MEMORIA DI SANT’AGNESE

non ci sono citazioni di San Paolo, ma credo che valga la pena leeggere il bellissimo testo di Sant’Ambrogio

Seconda Lettura
Dal Trattato «Sulle vergini» di sant’Ambrogio, vescovo
(Lib. 1, cap. 2. 5. 7-9; PL 16, 189-191)

Non ancora capace di soffrire e già matura per la vittoria
E’ il giorno natalizio per il cielo di una vergine: seguiamone l’integrità. E’ il giorno natalizio di una martire: offriamo come lei il nostro sacrificio. E’ il giorno natalizio di sant’Agnese!
Si dice che subì il martirio a dodici anni. Quanto è detestabile questa barbarie, che non ha saputo risparmiare neppure un’età così tenera! Ma certo assai più grande fu la forza della fede, che ha trovato testimonianza in una vita ancora all’inizio. Un corpo così minuscolo poteva forse offrire spazio ai colpi della spada? Eppure colei che sembrava inaccessibile al ferro, ebbe tanta forza da vincere il ferro. Le fanciulle, sue coetanee, tremano anche allo sguardo severo dei genitori ed escono in pianti e urla per piccole punture, come se avessero ricevuto chissà quali ferite. Agnese invece rimane impavida fra le mani dei carnefici, tinte del suo sangue. Se ne sta salda sotto il peso delle catene e offre poi tutta la sua persona alla spada del carnefice, ignara di che cosa sia il morire, ma pur già pronta alla morte. Trascinata a viva forza all’altare degli dei e posta fra i carboni accesi, tende le mani a Cristo, e sugli stessi altari sacrileghi innalza il trofeo del Signore vittorioso. Mette il collo e le mani in ceppi di ferro, anche se nessuna catena poteva serrare membra così sottili.
Nuovo genere di martirio! Non era ancora capace di subire tormenti, eppure era già matura per la vittoria. Fu difficile la lotta, ma facile la corona. La tenera età diede una perfetta lezione di fortezza. Una sposa novella non andrebbe si rapida alle nozze come questa vergine andò al luogo del supplizio: gioiosa, agile, con il capo adorno non di corone, ma del Cristo, non di fiori, ma di nobili virtù.
Tutti piangono, lei no. I più si meravigliano che, prodiga di una vita non ancora gustata, la doni come se l’avesse interamente goduta. Stupirono tutti che già fosse testimone della divinità colei che per l’età non poteva ancora essere arbitra di sé. Infine fece sì che si credesse alla sua testimonianza in favore di Dio, lei, cui ancora non si sarebbe creduto se avesse testimoniato in favore di uomini. Invero ciò che va oltre la natura è dall’Autore della natura.
A quali terribili minacce non ricorse il magistrato, per spaventarla, a quali dolci lusinghe per convincerla, e di quanti aspiranti alla sua mano non le parlò per farla recedere dal suo proposito! Ma essa: «E’ un’offesa allo Sposo attendere un amante. Mi avrà chi mi ha scelta per primo. Carnefice, perché indugi? Perisca questo corpo: esso può essere amato e desiderato, ma io non lo voglio». Stette ferma, pregò, chinò la testa.
Avresti potuto vedere il carnefice trepidare, come se il condannato fosse lui, tremare la destra del boia, impallidire il volto di chi temeva il pericolo altrui, mentre la fanciulla non temeva il proprio. Avete dunque in una sola vittima un doppio martirio, di castità e di fede. Rimase vergine e conseguì la palma del martirio.

UFFICIO DELLE LETTURE DEL T.O.

Dalla Costituzione dogmatica  » Lumen gentium « del Concilio ecumenico Vaticano Il sulla Chiesa.

Ecco, io salverò il mio popolo

, L’eterno Padre, con liberalissimo e arcano disegno di sapienza e di bontà, ha creato l’universo, ha decretato di elevare gli uomini alla partecipazione della sua vita divina e, quando essi caddero, in Adamo, non li ha abbandonati, ma ha sempre provveduto loro l’aiuto necessario per la salvezza in considerazione di Cristo redentore,  » il quale è l’immagine dell’invisibile Dio, generato prima di ogni creatura  » (Col 1, 15). Tutti gli eletti il Padre fino dall’eternità  » li ha conosciuti nella sua prescienza e li ha predestinati a essere conformi alla immagine del Figlio suo, affinché egli sia il primogenito di una moltitudine di fratelli  » (Rm 8, 29). 1 credenti in Cristo li ha voluti convocare nella santa Chiesa, la quale, già prefigurata sin dal principio del mondo, mirabilmente preparata nella storia del popolo di Israele e nell’antica alleanza e stabilita  » negli ultimi tempi « , è stata manifestata dall’effusione dello Spirito e avrà glorioso compimento alla fine dei secoli. Allora, come si legge nei santi padri, tutti i giusti, a partire da Adamo,  » dal giusto Abele fino all’ultimo eletto « , saranno riuniti presso il Padre nella Chiesa universale. Quelli che non hanno ancora ricevuto il Vangelo, sono ordinati in vari modi al popolo di Dio e fra questi in modo speciale il popolo al quale furono concesse le alleanze e le promesse e dal quale Cristo è nato secondo la carne (cfr. Rm 9, 4-5). Questo popolo è carissimo a Dio per la scelta che ne ha fatto e per i suoi patriarchi e profeti. E poi Dio non si pente di averlo scelto e colmato di favori (cfr. Rin 11, 28-29). Ma il disegno della salvezza abbraccia anche coloro che riconoscono il Creatore, e tra questi in primo luogo i Musulmani, i quali professando di tenere la fede di Abramo, adorano con noi un Dio unico misericordioso, che giudicherà gli uomini nel giorno finale. Il Signore è anche vicino a quanti cercano il Dio ignoto nelle ombre e nelle immagini, poiché egli dà a tutti vita e respiro e ogni cosa (cfr. At 17, 25-28), e, come salvatore, vuole che tutti gli uomini siano salvi (cfr. 1 Tin 2, 4). Infatti quelli che senza colpa ignorano il Vangelo di Cristo e la sua Chiesa, cercano sinceramente Dio e coll’aiuto della grazia si sforzano di compiere con le opere la volontà divina, conosciuta attraverso il dettame della coscienza, possono conseguire la salvezza eterna. Né la divina Provvidenza nega gli aiuti necessari alla salvezza a coloro che, senza averne colpa, non sono ancora arrivati a una conoscenza esplicita di Dio, e si sforzano, non senza la grazia divina, di condurre una vita retta. Poiché tutto ciò che di buono e di vero si trova in loro, è ritenuto dalla Chiesa come una preparazione al Vangelo, e come dato da colui che illumina ogni uomo, affinché abbia finalmente la vita.

LODI

Lettura Breve   2 Cor 1, 3-5
Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione, il quale ci consola in ogni nostra tribolazione perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in qualsiasi genere di afflizione con la consolazione con cui siamo consolati noi stessi da Dio. Infatti, come abbondano le sofferenze di Cristo in noi, così, per mezzo di Cristo, abbonda anche la nostra consolazione.

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