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VENERDÌ 2 GENNAIO 2009 – SANTI BASILIO MAGNO E GREGORIO NAZIANZENO (m)

 VENERDÌ 2 GENNAIO 2009 - SANTI BASILIO MAGNO E GREGORIO NAZIANZENO (m) dans Lettera ai Colossesi

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VENERDÌ 2 GENNAIO 2009

FERIA DEL TEMPO DI NATALE

SANTI BASILIO MAGNO E GREGORIO NAZIANZENO (m)

UFFICIO DELLE LETTURE

Prima Lettura
Dalla lettera ai Colossesi di san Paolo, apostolo 2, 16 – 3, 4

La vita nuova in Cristo
Fratelli, nessuno vi condanni più in fatto di cibo o di bevanda, o riguardo a feste, a noviluni e a sabati: tutte cose queste che sono ombra delle future; ma la realtà invece è Cristo! Nessuno v’impedisca di conseguire il premio, compiacendosi in pratiche di poco conto e nella venerazione degli angeli, seguendo le proprie pretese visioni, gonfio di vano orgoglio nella sua mente carnale, senza essere stretto invece al capo, dal quale tutto il corpo riceve sostentamento e coesione per mezzo di giunture e legami, realizzando così la crescita secondo il volere di Dio.
Se pertanto siete morti con Cristo agli elementi del mondo, perché lasciarvi imporre, come se viveste ancora nel mondo, dei precetti quali «Non prendere, non gustare, non toccare»? Tutte cose destinate a scomparire con l’uso: sono infatti prescrizioni e insegnamenti di uomini! Queste cose hanno una parvenza di sapienza, con la loro affettata religiosità e umiltà e austerità riguardo al corpo, ma in realtà non servono che per soddisfare la carne.
Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio; pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra. Voi infatti siete morti e la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio! Quando si manifesterà Cristo, la vostra vita, allora anche voi sarete manifestati con lui nella gloria.

Responsorio   Col 3, 1-2; Lc 12, 34
R. Se siete risorti con Cristo, cercate i beni di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio; * pensate ai beni di lassù, non a quelli della terra.
V. Dove è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore.
R. Pensate ai beni di lassù, non a quelli della terra.

Seconda Lettura

questa è la seconda lettura della memoria di San Basilio;

Dai «Discorsi» di san Gregorio Nazianzeno, vescovo.
(Disc. 43, 15. 16-17. 19-21; PG 36, 514-523)

Una sola anima in due corpi
Eravamo ad Atene, partiti dalla stessa patria, divisi, come il corso di un fiume, in diverse regioni per brama d’imparare, e di nuovo insieme, come per on accordo, ma in realtà per disposizione divina.
Allora non solo io mi sentivo preso da venerazione verso il mio grande Basilio per la serietà dei suoi costumi e per la maturità e saggezza dei suoi discorsi inducevo a fare altrettanto anche altri che ancora non lo conoscevano. Molti però già lo stimavano grandemente, avendolo ben conosciuto e ascoltato in precedenza.
Che cosa ne seguiva? Che quasi lui solo, fra tutti coloro che per studio arrivavano ad Atene, era considerato fuori dell’ordine comune, avendo raggiunto una stima che lo metteva ben al di sopra dei semplici discepoli. Questo l’inizio della nostra amicizia; di qui l’incentivo al nostro stretto rapporto; così ci sentimmo presi da mutuo affetto.
Quando, con il passare del tempo, ci manifestammo vicendevolmente le nostre intenzioni e capimmo che l’amore della sapienza era ciò che ambedue cercavamo, allora diventammo tutti e due l’uno per l’altro: compagni, commensali, fratelli. Aspiravamo a un medesimo bene e coltivavamo ogni giorno più fervidamente e intimamente il nostro comune ideale.
Ci guidava la stessa ansia di sapere, cosa fra tutte eccitatrice d’invidia; eppure fra noi nessuna invidia, si apprezzava invece l’emulazione. Questa era la nostra gara: non chi fosse il primo, ma chi permettesse all’altro di esserlo.
Sembrava che avessimo un’unica anima in due corpi. Se non si deve assolutamente prestar fede a coloro che affermano che tutto è in tutti, a noi si deve credere senza esitazione, perché realmente l’uno era nell’altro e con l’altro.
L’occupazione e la brama unica per ambedue era la virtù, e vivere tesi alle future speranze e comportarci come se fossimo esuli da questo mondo, prima ancora d’essere usciti dalla presente vita. Tale era il nostro sogno. Ecco perché indirizzavamo la nostra vita e la nostra condotta sulla via dei comandamenti divini e ci animavamo a vicenda all’amore della virtù. E non ci si addebiti a presunzione se dico che eravamo l’uno all’altro norma e regola per distinguere il bene dal male.
E mentre altri ricevono i loro titoli dai genitori, o se li procurano essi stessi dalle attività e imprese della loro vita, per noi invece era grande realtà e grande onore essere e chiamarci cristiani.

Responsorio    Dn 2, 21-22; 1 Cor 12, 11
 R. Dio concede la sapienza ai saggi, agli intelligenti il sapere; rivela cose profonde e occulte: * da lui viene la luce.
V. Tutto questo è frutto dell’unico Spirito, che distribuisce a ciascuno i suoi doni come vuole:
R. da lui viene la luce.

metto anche la lettura della « feria di Natale del 2 gennaio » si tratta di uno stralcio dal trattato sullo Spirito Santo di San Basilio, in questo testo ci sono diversi riferimenti a San Paolo;

Dal trattato « Su lo Spirito Santo » di san Basilio, vescovo

(Cap. 26, 61. 64; PG 32, 179-182. 186)


Il Signore vivifica il suo Corpo nello Spirito

Colui che ormai non vive più secondo la carne ma è guidato dallo Spirito di Dio, poiché prende il nome di figlio di Dio e diviene conforme all’immagine del Figlio unigenito, viene detto spirituale. Come in un occhio sano vi è la capacità di vedere, così nell’anima che ha questa purezza vi è la forza operante dello Spirito. Come il pensiero della nostra mente ora resta inespresso nell’intimo del cuore, ora invece si esprime con la parola, così lo Spirito Santo ora attesta nell’intimo al nostro spirito e grida nei nostri cuori: « Abbà, Padre» (Gal 4, 6), ora invece parla per noi, come dice la Scrittura: Non siete voi che parlate, ma parla in voi lo Spirito del Padre (cfr. Mt 10, 20). Inoltre lo Spirito distribuendo a tutti i suoi carismi è il Tutto che si trova in tutte le parti. Tutti infatti siamo membra gli uni degli altri, e abbiamo doni diversi secondo la grazia di Dio comunicata a noi. Per questo « non può l’occhio dire alla mano: Non ho bisogno di te; né la testa ai piedi: Non ho bisogno di voi» (1 Cor 12, 21). Tutte le membra insieme completano il corpo di Cristo nell’unità dello Spirito e secondo i carismi si rendono, come è necessario, utili le une alle altre.  Dio infatti ha disposto le membra nel corpo, ciascuna di esse secondo il suo volere. Le parti dunque sono piene di sollecitudine vicendevole, secondo la spirituale comunione dell’amore. Perciò «se un membro soffre, tutte le altre membra soffrano insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui » (1 Cor 12, 26). E come le parti sono nel tutto, così noi siamo ognuno nello Spirito, poiché tutti in un solo corpo siamo stati battezzati nell’unico Spirito.  Come il Padre si rende visibile nel Figlio, così il Figlio si rende presente nello Spirito. Perciò l’adorazione nello Spirito indica un’attività del nostro animo, svolta in piena luce. Lo si apprende dalle parole dette alla Samaritana. Essa infatti, secondo la concezione errata del suo popolo, pensava che si dovesse adorare in un luogo particolare, ma il Signore, facendole mutare idea, le disse: Bisogna adorare nello Spirito e nella Verità (cfr. Gv 4, 23), chiaramente definendo se stesso « la Verità ». Dunque nel modo come intendiamo adorazione nel Figlio, come adorazione cioè nell’immagine di colui che è Dio e Padre, così anche dobbiamo intendere adorazione nello Spirito, come adorazione a colui che esprime in se stesso la divina essenza del Signore Dio. Giustamente, dunque, nello Spirito che ci illumina noi vediamo lo splendore della gloria di Dio. Per mezzo dell’impronta risaliamo al sigillo e a colui al quale appartiene l’impronta e il sigillo e al quale l’una e l’altra cosa sono perfettamente uguali.

San Basilio Magno Vescovo e dottore della Chiesa – biografia

dal sito:

http://santiebeati.it/dettaglio/22200

San Basilio Magno Vescovo e dottore della Chiesa

2 gennaio
 
Cesarea di Cappadocia, attuale Kaysery, Turchia, 330 – 1 gennaio 379

Nato intorno al 330 in Cappadocia, a Cesarea, oggi la città turca di Kaysery, Basilio proveniva da una famiglia dalla profonda spiritualità. Oltre ai genitori anche tre dei suoi nove fratelli sono annoverati tra i santi. Prima di essere vescovo nella sua terra natale, aveva vissuto in Palestina e Egitto. Vi era stato attratto dal richiamo del deserto e della vita monastica. Fu in solitudine che, insieme con Gregorio di Nazianzo conosciuto durante gli studi ad Atene, elaborò la regola per i monaci basiliani, che sarà imitata anche in Occidente. Visse appena 49 anni ma la sua intensa e profonda attività di predicatore gli valsero il titolo di «Magno». Ricevette l’ordinazione sacerdotale verso il 364 da Eusebio di Cesarea cui successe sulla cattedra vescovile nel 370. Durante il servizio episcopale si impegnò attivamente contro l’eresia ariana. Morì l’1 gennaio 379 a Cesarea dove fu sepolto. Tra le sue opere dottrinali si ricorda soprattutto il celebre trattato teologico sullo Spirito Santo. (Avvenire)

Etimologia: Basilio = re, regale, dal greco

Emblema: Bastone pastorale

Martirologio Romano: Memoria dei santi Basilio Magno e Gregorio Nazianzeno, vescovi e dottori della Chiesa. Basilio, vescovo di Cesarea in Cappadocia, detto Magno per dottrina e sapienza, insegnò ai suoi monaci la meditazione delle Scritture e il lavoro nell’obbedienza e nella carità fraterna e ne disciplinò la vita con regole da lui stesso composte; istruì i fedeli con insigni scritti e rifulse per la cura pastorale dei poveri e dei malati; morì il primo di gennaio. Gregorio, suo amico, vescovo di Sásima, quindi di Costantinopoli e infine di Nazianzo, difese con grande ardore la divinità del Verbo e per questo motivo fu chiamato anche il Teologo. Si rallegra la Chiesa nella comune memoria di così grandi dottori.
(1 gennaio: A Cesarea in Cappadocia, nell’odierna Turchia, deposizione di san Basilio, vescovo, la cui memoria si celebra domani).
 

Il calendario liturgico latino fa oggi memoria di due Padri e Dottori della Chiesa, San Gregorio Nazianzeno e San Basilio Magno, intimi amici, che parteciparono alla medesima ansia di santità, ebbero un’analoga formazione culturale e nutrirono entrambi l’aspirazione alla vita monastica.
La presente scheda agiografica vuole soffermarsi in particolar modo sul secondo, San Basilio. Questi nacque a Cesarea di Cappadocia, attuale Kaysery in Turchia, verso il 330 da un ricco rètore e avvocato. La sua famiglia era intrisa di santità: suo nonno morì martire nella persecuzione di Diocleziano e sua nonna, Santa Macrina, fu discepola di San Gregorio Taumaturgo nel Ponto. Santi furono i suoi genitori Basilio ed Emmelia, che ebbere oltre a Basilio altri cinque figli tra cui San Gregorio, poi vescovo di Nissa, e San Pietro, vescovo di Sebaste, e cinque figlie. La primogenita, Santa Macrina, omonima della nonna, visse nella sua proprietà di Annesi che aveva trasformata in monastero.
Il padre di Basilio, che pare si fosse trasferito a Neocesarea, fu primo maestro del figlio, che continuò poi i suoi studi a Cesarea, a Costantinopoli ed infine ad Atene, capitale culturale del mondo ellenico e pagano, dove legò un’intima amicizia con il suo conterraneo San Gregorio Nazianzeno. Ritornato in patria verso il 356, insegnò retorica e coltivò sogni di gloria, ma infine cedette alle esortazioni della sorella e si diede alla vita ascetica. Secondo gli usi del tempo ricevette finalmente il battesimo ed intraprese la visita dei grandi asceti dell’Egitto, della Palestina e della Mesopotamia, al fine di farsi un’idea circa il loro stile di vita. Quando fece ritorno in patria non esitò a distribuire parte dei suoi beni ai poveri ed a ritirarsi in solitudine sulle rive dell’Iris, di fronte ad Annosi, presso Neocesarea. Ai suoi seguaci, presenti con lui nel cenobio, diede una solida formazione morale e ascetica, prima con le Grandi Regole e poi con le Piccole Regole, concernenti i doveri e le virtù dei monaci, che gli valsero l’appellativo di “legislatore del monachesimo orientale”.
Basilio restò per cinque anni nella solitudine, finché il suo vescovo Eusebio, eletto ancora catecumeno, gli conferì l’ordinazione sacerdotale perché potesse coadiuvarlo nel difficile ministero. Preferì tuttavia ritornare ben presto alla vita solitaria, non appena si accorse di avere suscitato con il suo prestigio la gelosia del poco istruito pastore. Quando sotto l’imperatore ariano Valente l’ortodossia si vide minacciata, l’intercessione di San Gregorio Nazianzeno ottenne il ritorno dell’amico a Cesarea, che poté così lavorare proficuamente per il mantenimento della fede, il regolamento della liturgia ed il rimedio ai danni cagionati da una spaventosa carestia. Nel 370 successe ad Eusebio, divenuto ormai celebre per la sua “Storia ecclesiastica” in dieci volumi, nella sede metropolitana di Cesarea, che contava una cinquantina di diocesi suffraganee suddivise in undici province. Malgrado la breve durata del suo episcopato, l’azione pastorale di San Basilio fu così molteplice e feconda da meritargli dai contemporanei il titolo di “Magno”, che come è ben noto è stato riservato nel corso della storia a ben pochi personaggi su scala mondiale, quali il re macedone Alessandro, gli imperatori romani Costantino e Teodosio, il primo sacro romano imperatore Carlo ed i papi Leone I, Gregorio I e Giovanni Paolo II.
A quel tempo infuriava la lotta a favore dell’eresiarca Ario. Valente tornò a Cesarea nel 371 e tentò ripetutamente di indurre Basilio a concessioni, ma non osò ricorrere alla violenza contro di lui. Per diminuirne però l’influenza, divise in due parti la Cappadocia. Per difendere i diritti della sua sede Basilio creò allora alcune diocesi e consacrò l’amico Gregorio a vescovo di Sàsima, borgo importante per le comunicazioni, ma costui assai riluttante anziché prenderne possesso preferì fuggire nella solitudine.
Basilio si rivelò abile amministratore del suo territorio: con mano ferma seppe correggere abusi e bizzarrie, trasformare preti e monaci in modelli di santità, difendere le immunità ecclesiastiche di fronte al potere civile e proteggere i poveri e gli indifesi. Manifestò particolarmente il suo zelo ed il suo genio nell’organizzazione delle attività caritatevoli. In ogni circoscrizione amministrata da un corepiscopo, previde l’istituzione di un ospizio. A Cesarea costruì addirittura una cittadella della carità, quasi un “Cottolengo” d’altri tempi, con funzioni di locanda, ospizio, ospedale e lebbrosario, soprannominata dal popolo “Basiliadc”. Nonostante questa fondazione godesse di diffidenza da parte del potere civile, il santo vescovo acquistò un tale ascendente che, lasciando da parte i loro dissensi religiosi, Valente lo incaricò di ristabilire in Armenia la concordia tra i vescovi e provvedere alle sedi vacanti.
Parecchi vescovi suffraganei, tuttavia, invidiosi della sua elevazione, si sottrassero al suo influsso ed insinuarono persino dubbi sulla sua ortodossia. Basilio scrisse allora il trattato sullo Spirito Santo, per dimostrare contro gli ariani che ad egli è dovuto lo stesso onore che al Padre e al Figlio. A più riprese dal 371 al 376 intrattenne una fitta corrispondenza con il papa San Damaso e con altri vescovi occidentali per implorare il loro intervento, desolato per la diffusione dell’eresia e per la competizione di Melezio e di Paolino riguardo alla sede patriarcale di Antiochia. A Roma però si sosteneva Paolino, mentre i più illustri vescovi orientali erano partigiani dichiarati di Melezio e Basilio se ne lamentò fortemente.
L’ora della distensione, tanto sospirata dal santo, arrivò con la morte di Valente, caduto nel 378 in lotta contro i Goti. Il suo successore, San Teodosio I il Grande, ristabilì la libertà religiosa e pose sulla sede di Costantinopoli San Gregorio Nazianzeno, su proposta della Chiesa latina e con l’appoggio di San Basilio. Fu questo l’ultimo atto ufficiale del grande uomo di azione e di pensiero poiché, sfinito dalle preoccupazioni, dalle austerità e dalle malattie, morì il 1° gennaio 379. I suoi funerali, officiati a Cesarea di Cappadocia, furono un vero trionfo.
San Gregorio Nazianzeno dipinge l’amico dal volto sempre pallido, dall’espressione pensosa, resa ancor più tale dalla barba di monaco e filosofo. Di grandissimo interesse è l’Epistolario di Basilio che consta di ben 365 lettere, preziose per un’approfondita conoscenza della sua dottrina, della sua vita e della storia della Chiesa di quel tempo. Dal punto di vista teologico fu suo grande merito aver definitivamente formulato il dogma trinitario con la celebre espressione: “Una sola essenza in tre ipostasi”. Dal punto di vista letterario Basilio è indubbiamente il più classico tra i Padri greci, benché le sue opere siano state composta anzitutto per soddisfare necessità pratiche immediate. Anche dai suoi discorsi emerge costantemente la figura del pastore attento ai bisogni delle anime e presenta nella forma più adatta al grande pubblico la dottrina e la morale cristiana, avvalendosi della sua vasta cultura e dell’accurata formazione retorica.
San Basilio Magno è commemorato dal Martyrologium Romanum al 1° gennaio, anniversario della sua nascita al cielo, mentre il giorno seguente si celebre la sua memoria liturgica comunemente con il suo amico San Gregorio Nazianzeno. 

San Gregorio Nazianzeno Vescovo e dottore della Chiesa – biografia

dal sito:

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San Gregorio Nazianzeno Vescovo e dottore della Chiesa

2 gennaio (e 25 gennaio)
 
Nazianzo, attuale Nemisi in Turchia, 330 – 25 gennaio 389/390

Condivise con l’amico Basilio la formazione culturale e il fervore mistico. Fu eletto patriarca di Costantinopoli nel 381. Temperamento di teologo e uomo di governo, rivelò nelle sue opere oratorie e poetiche l’intelligenza e l’esperienza del Cristo vivente e operante nei santi misteri. (Mess. Rom.)

Patronato: Poeti

Etimologia: Gregorio = colui che risveglia, dal greco

Emblema: Bastone pastorale

Martirologio Romano: Memoria dei santi Basilio Magno e Gregorio Nazianzeno, vescovi e dottori della Chiesa. Basilio, vescovo di Cesarea in Cappadocia, detto Magno per dottrina e sapienza, insegnò ai suoi monaci la meditazione delle Scritture e il lavoro nell’obbedienza e nella carità fraterna e ne disciplinò la vita con regole da lui stesso composte; istruì i fedeli con insigni scritti e rifulse per la cura pastorale dei poveri e dei malati; morì il primo di gennaio. Gregorio, suo amico, vescovo di Sásima, quindi di Costantinopoli e infine di Nazianzo, difese con grande ardore la divinità del Verbo e per questo motivo fu chiamato anche il Teologo. Si rallegra la Chiesa nella comune memoria di così grandi dottori.
(25 gennaio: A Nazianzo in Cappadocia, nell’odierna Turchia, anniversario della morte di san Gregorio, vescovo, la cui memoria si celebra il 2 gennaio).
 

Il calendario liturgico latino fa oggi memoria di due Padri e Dottori della Chiesa, San Basilio Magno e San Gregorio Nazianzeno, intimi amici, che parteciparono alla medesima ansia di santità, ebbero un’analoga formazione culturale e nutrirono entrambi l’aspirazione alla vita monastica.
La presente scheda agiografica vuole soffermarsi in particolar modo sul secondo, San Gregorio. Questi fa parte del celebre manipolo dei “luminari di Cappadocia” insieme con Sant’Anfìlochio d’Iconio, suo cugino, San Basilio Magno e San Gregorio di Nissa, fratello di quest’ultimo. Gregorio “Nazianzeno” nacque verso il 330 ad Arianzo, borgata nei pressi di Nazianzo, dal cui nome deriva il celebre appellativo del santo. Fu consacrato a Dio sin dalla più tenera infanzia dalla sua piissima madre, Santa Nonna, ed entrambi i genitori gli impartirono un’ottima educazione. Fu inviato a scuola presso Cesarea di Palestina, poi ad Alessandria d’Egitto ed infine ad Atene, dove legò un’intima amicizia con il suo conterraneo San Basilio Magno.
Gregorio rimase per dieci anni nella capitale ellenica, allora centro della cultura pagana, dove pare diede anche lezioni di eloquenza. Fece ritorno verso il 359 in Cappadocia e ricevette il battesimo, come consuetudine a quel tempo, all’età di trent’anni. Da quel giorno divise i suoi giorni tra l’ascesi e lo studio in compagnia dell’amico Basilio nella solitudine della valle dell’Iris, presso Neocesarea. Ben presto però, in seguito alle numerose richieste dei fedeli, fu suo malgrado richiamato per ricevere l’ordinazione presbiterale direttamente dalle mani di suo padre, San Gregorio di Nazianzo il Vecchio, che nel frattempo si era convertito dalla setta giudeo-pagana degli adoratori di Zeus Hypsistos al cristianesimo ed era stato insediato sulla sede episcopale di Nazianzo. Turbato per la pressione subita ed innamorato sempre più della vita solitaria, il giovane sacerdote tornò con San Basilio nella regione del Ponto. Dovette tuttavia accorrere nuovamente a Nazianzo per aiutare suo padre nel governo della diocesi e domarvi uno scisma imperversante. Il vecchio pastore aveva sottoscritto, per debolezza o per inavvertenza, la formula semiariana coniata dal concilio di Rimini, e parte dei fedeli si era ribellata. San Gregorio seppe sapientemente persuadere allora suo padre a fare una solenne professione di fede cattolica, facendo così rifiorire la calma e la concordia.
Nel 371, in seguito alla divisione della Cappadocia in due province ecclesiastiche, San Basilio, volendo creare un nuovo vescovado a Sàsima per opporsi alle intrusioni di Antimo, arcivescovo di Tiana, capitale della Seconda Cappadocia, fece appello al suo amico nominandolo a tale sede. Questo triste borgo, polveroso e chiassoso, edificato attorno ad una stazione postale sulla via di Cilicia, non poteva certo essere l’ambiente adatto per una vita da filosofo e da teologo. San Gregorio, dopo essersi lasciato imporre le mani di malavoglia, anziché prendere possesso della sua diocesi, fuggì segretamente nella solitudine. Fece poi ritorno a Nazianzo soltanto in seguito alle suppliche del vecchio padre, che in età avanzata non riusciva più a portare tutto il peso della sua carica. Quando nel 374 morì, col cuore affranto e la salute malferma il figlio si rifugiò non appena possibile nel monastero di Santa Teda, a Seleucia, nell’Isauria.
Era però volontà divina che non potesse nuovamente godere del sospirato riposo. All’inizio del 379, infatti, i cattolici di Costantinopoli, ai quali l’imperatore Valente aveva sottratto tutte le chiese, approfittarono dell’avvento al trono di San Teodosio I il Grande per convincerlo a ristabilire la fede nicena nella capitale dell’oriente, nominando Gregorio quale nuovo patriarca, con il naturale appoggio dell’amico San Basilio. A Gregorio non restò che accettare di trasferirsi nella metropoli constantinopolitana, ove aprì nella casa di un suo parente una cappella che denominò “Anàstasis” (cioè Risurrezione) e con la sua eloquenza riuscì a raccogliere attorno a sé i pochi ortodossi superstiti e senza pastore. Ebbe così occasione di pronunciare le sue più celebri omelie, i cinque Discorsi sulla Trinità che gli valsero la fama di teologo. Accorse dalla Siria ad ascoltare le sue parole perfino San Girolamo, che divenne suo discepolo.
Il compito del nuovo pastore si rivelò presto assai difficoltoso, non solo a causa degli ariani, ma ancor di più quando un certo Massimo, figura equivoca di filosofo cinico e di asceta, forte dell’appoggio di Pietro, vescovo di Alessandria, tentò di farsi proclamare vescovo di Costantinopoli. Tra cotante insidie e violenze, tra cui il rischio di lapidazione, San Gregorio avrebbe preferito ancora una volta tornare a vita solitaria, se non fosse stato tormentato dal bizzarro pensiero che “insieme con lui sarebbe partita da Costantinopoli anche la Trinità”. Nel mese di novembre del 380, con l’ingresso dell’imperatore Teodosio nella capitale, le chiese furono finalmente sottratte agli ariani e riconsegnate ai legittimi detentori.
San Gregorio, dietro all’imperatore e scortato dall’esercito, fu condotto in processione nella celeberrima cattedrale di Santa Sofia ed acclamato dal clero e dal popolo vescovo della città. Il saggio pastore non si accontentò però di quella intronizzazione e preferì farsi anche riconoscere nel maggio 381 dal V concilio ecumenico aperto a Costantinopoli sotto la presidenza di Melezio, vescovo di Antiochia. Questi però morì e Gregorio fu chiamato a presiedere l’assemblea al suo posto. Propose allora di nominare a successore del defunto nella sede antiochiena Paolino, che era stato vescovo di quella città durante lo scisma, ma i meleziani, che formavano la maggioranza, gli contrapposero Flaviano. Quando poi al concilio giunsero i vescovi egiziani e macedoni, presero a contestare l’elezione di Gregorio, perché in qualità di vescovo di Sàsima, in forza del canone di Antiochia, non avrebbe potuto essere trasferito ad altra sede. Il santo patriarca, che in realtà non aveva mai preso possesso della diocesi suddetta, amareggiato da tante ambizioni e intrighi, con pronta decisione rinunciò alla chiesa di Costantinopoli che governava da appena un biennio, stanco dei “più giovani che cinguettavano come uno stormo di gazze e si accanivano come uno sciame di vespe”, mentre “i vecchi si guardavano bene dal moderare gli altri”. Si ritirò allora nuovamente nella nativa Nazianzo, che nel frattempo era rimasta priva di pastore, ed amministro tale Chiesa locale per altri due anni, quando riuscì a far eleggere in sua sostituzione a vescovo della diocesi suo cugino Eulalio. Fatto ciò, si ritirò nella sua proprietà di Arianzo, dove morì il 25 gennaio del 389 o del 390, dopo sei anni dedicati alla contemplazione ed a studi ininterrotti.
San Gregorio, di costituzione debole e di delicata sensibilità, nella sua vita non fu mai un uomo d’azione, quanto piuttosto di meditazione, e neppure un teologo speculativo, semmai un mistico. E’ unanimemente considerato un buon testimone della tradizione della Chiesa nelle questioni trinitarie e cristologiche. Durante la sua vita si sentì talvolta condannato piuttosto che chiamato all’attività apostolica. Tuttavia, quando non poté fuggire dall’azione, si dedicò sempre al bene delle anime affidate alla sua cura con grandissimo senso di responsabilità. Oratore perfetto, fu a buon ragione soprannominato il “Demostene cristiano”. Ci sono pervenuti ben 45 suoi discorsi, 244 lettere e molte poesie teologiche e storiche, scritte in una lingua ricca, armoniosa e pura.
San Gregorio Nazianzeno è commemorato dal Martyrologium Romanum al 25 gennaio, anniversario della sua nascita al cielo, mentre il giorno seguente si celebre la sua memoria liturgica comunemente con il suo amico San Basilio Magno.

Autore: Fabio Arduino 

Sant’Agostino, Discorso 293, per la Natività di Giovanni Battista : « Io sono voce di uno che grida nel deserto »

dal sito:

http://www.levangileauquotidien.org/www/main.php?language=FR&ordo=&localTime=01/02/2009#

Sant’Agostino (354-430), vescovo d’Ippona (Africa del Nord) e dottore della Chiesa
Discorso 293, per la Natività di Giovanni Battista

« Io sono voce di uno che grida nel deserto »
Giovanni è la voce, il Signore, invece, «in principio era il Verbo» (Gv 1,1). Giovanni voce nel tempo, Cristo in principio Parola eterna. Togli la parola, che cos’è la voce? Non ha nulla di intellegibile, è strepito a vuoto. La voce, senza la parola, colpisce l’orecchio, non apporta nulla alla mente. Nondimeno, proprio nell’edificazione della nostra mente, ci rendiamo conto dell’ordine delle cose. Se penso a quel che dirò, la parola è già dentro di me; ma, volendo parlare a te, cerco in qual modo sia anche nella tua mente ciò che è già nella mia. Cercando come possa arrivare a te e trovar posto nella tua mente la parola che occupa già la mia, mi servo della voce e, mediante la voce, ti parlo. Il suono della voce ti reca l’intelligenza della parola; appena il suono della voce ti ha recato l’intelligenza della parola, il suono stesso passa oltre; ma la parola, a te recata dal suono, è ormai nella tua mente e non si è allontanata dalla mia.

Perciò il suono, proprio il suono, quando la parola è penetrata in te, non ti sembra dire: «Egli deve crescere ed io, invece, diminuire» (Gv 3,30)? La sonorità della voce ha vibrato nel far servizio, quindi si è allontanata, come per dire: «Questa mia gioia è completa» (v. 29). Conserviamo la parola, badiamo a non perdere la parola concepita nel profondo dell’essere.

GIOVEDÌ 1 GENNAIO 2009 – MARIA SS. MADRE DI DIO (solennità)

GIOVEDÌ 1 GENNAIO 2009 - MARIA SS. MADRE DI DIO  (solennità) dans Card. Gianfranco Ravasi icon4

http://www.santamariadegliangeliroma.it/dettagliofotosing.html?chiave=1253&lingua=ITALIANO&ramo_home=Photo_Gallery&codice_url=angeli

Icone Russa
Tav 4
Madre di Dio « Hortus Conclusus ». 1660-1670, Tret’Jakov Gallery, Mosca.

Chiesa S. Maria degli Angeli e dei Martiri – Roma

GIOVEDÌ 1 GENNAIO 2009

MARIA SS. MADRE DI DIO  – Solennità

MESSA DEL GIORNO

Seconda Lettura   Gal 4,4-7

Fratelli, quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l’adozione a figli.
E che voi siete figli lo prova il fatto che Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, il quale grida: Abbà! Padre! Quindi non sei più schiavo, ma figlio e, se figlio, sei anche erede per grazia di Dio.

DAL SITO FRANCESE EAQ:

http://www.vangelodelgiorno.org/www/main.php?language=IT&localTime=01/01/2009#

San Massimiliano Kolbe (1894-1941), francescano, martire
Conferenza del 26/11/1938

« Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna » (Gal 4,4)
Quando guardiamo l’Immacolata, proviamo nel cuore il bisogno di avvicinarci a lei… Coloro che la amano e coloro che scrivono a suo proposito si fermano per vedere chi lei sia, anche se non la conoscono in profondità. Chi è lei nei confronti di Dio Padre? Egli è il suo creatore, certo; lei stessa dichiara: «Sono la serva del Signore» (Lc 1,38). Ma oltre a questo chi è lei ancora? È la prediletta del Padre eterno. Non possiamo concepire questo; le parole umane non riescono a esprimere questo.

Il Padre celeste ha voluto che la seconda persona della Trinità, il Figlio suo, abbia per madre, nel tempo, l’Immacolata. Lei è veramente la Madre del Figlio di Dio: cosa difficile da capire! Dobbiamo essere unitissimi alla Madre di Dio per capire più profondamente questo mistero. La Vergine Maria non può essere paragonata agli altri santi, essendo Madre del Figlio di Dio, veramente Madre di Dio… Essere creati da Dio, essere figli adottivi; questo possiamo capirlo. Ma essere veramente la Madre di Dio supera ogni nostra intelligenza… È una verità di fede che l’Immacolata è veramente Madre di Dio e non soltanto la madre dell’umanità di Gesù.

Riguardo allo Spirito Santo, lei è la sua Sposa. Neanche questo è possibile concepire! Il Santo Spirito si è talmente unito all’Immacolata da formare con lei come una sola cosa… In tutto questo, la nostra intelligenza non è sufficiente, perché la Trinità è infinita. E anche se avessimo una conoscenza perfetta, c’è una distanza infinita tra ciò che sappiamo della Santa Trinità e ciò che è in realtà. In cielo, dopo, scopriremo molto meglio questo mistero. Anche dopo miliardi e miliardi di anni, questa conoscenza rimarrà sempre limitata, sicché ci vorrà l’eternità per giungere a una conoscenza perfetta.

sull’Osservatore Romano di oggi, 1 gennaio,  c’è un bellissimo articolo di Mons. Ravasi che vi voglio segnalare:

Maria Santissima Madre di Dio 

Il mistero di una madre
che allatta il suo Creatore :

http://www.vatican.va/news_services/or/or_quo/text.html#10

PRIMI VESPRI

Lettura Breve   Gal 4, 4-5
Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l’adozione a figli.

UFFICIO DELLE LETTURE

Prima Lettura
Dalla lettera agli Ebrei 2, 9-17

Cristo si è fatto in tutto simile ai fratelli
 Fratelli, quel Gesù, che fu fatto di poco inferiore agli angeli (Sal 8, 6), lo vediamo ora coronato di gloria e di onore a causa della morte che ha sofferto, perché per la grazia di Dio egli provasse la morte a vantaggio di tutti.
Ed era ben giusto che colui, per il quale e del quale sono tutte le cose, volendo portare molti figli alla gloria, rendesse perfetto mediante la sofferenza il capo che li ha guidati alla salvezza. Infatti, colui che santifica e coloro che sono santificati provengono tutti da una stessa origine; per questo non si vergogna di chiamarli fratelli, dicendo: Annunzierò il tuo nome ai miei fratelli, in mezzo all’assemblea canterò le tue lodi (Sal 21, 23); e ancora: Io metterò la mia fiducia in lui (Sal 17, 3); e inoltre: Eccoci, io e i figli che Dio mi ha dato (Is 8, 18).
Poiché dunque i figli hanno in comune il sangue e la carne, anch’egli ne è divenuto partecipe, per ridurre all’impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, e liberare così quelli che per timore della morte erano soggetti a schiavitù per tutta la vita. Egli infatti non si prende cura degli angeli, ma della stirpe di Abramo si prende cura (Is 41, 8. 9). Perciò doveva rendersi in tutto simile ai fratelli, per diventare un sommo sacerdote misericordioso e fedele nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di espiare i peccati del popolo.

Seconda Lettura
Dalle «Lettere» di sant’Atanasio, vescovo
(Ad Epitetto 5-9; PG 26, 1058. 1062-1066)

Il Verbo ha assunto da Maria la natura umana
Il Verbo di Dio, come dice l’Apostolo, «della stirpe di Abramo si prende cura. Perciò doveva rendersi in tutto simile ai fratelli» (Eb 2, 16. 17) e prendere un corpo simile al nostro. Per questo Maria ebbe la sua esistenza nel mondo, perché da lei Cristo prendesse questo corpo e lo offrisse, in quanto suo, per noi.
Perciò la Scrittura quando parla della nascita del Cristo dice: «Lo avvolse in fasce» (Lc 2, 7). Per questo fu detto beato il seno da cui prese il latte. Quando la madre diede alla luce il Salvatore, egli fu offerto in sacrificio.
Gabriele aveva dato l’annunzio a Maria con cautela e delicatezza. Però non le disse semplicemente «colui che nascerà in te», perché non si pensasse a un corpo estraneo a lei, ma: «da te» (cfr. Lc 1, 35), perché si sapesse che colui che ella dava al mondo aveva origine proprio da lei.
Il Verbo, assunto in sé ciò che era nostro, lo offrì in sacrificio e lo distrusse con la morte. Poi rivestì noi della sua condizione, secondo quanto dice l’Apostolo: «Bisogna che questo corpo corruttibile si vesta di incorruttibilità e che questo corpo mortale si vesta di immortalità» (cfr. 1 Cor 15, 53).
Tuttavia ciò non è certo un mito, come alcuni vanno dicendo. Lungi da noi un tale pensiero. Il nostro Salvatore fu veramente uomo e da ciò venne la salvezza di tutta l’umanità. In nessuna maniera la nostra salvezza si può dire fittizia. Egli salvò tutto l’uomo, corpo e anima. La salvezza si è realizzata nello stesso Verbo.
Veramente umana era la natura che nacque da Maria, secondo le Scritture, e reale, cioè umano, era il corpo del Signore; vero, perché del tutto identico al nostro; infatti Maria è nostra sorella poiché tutti abbiamo origine in Adamo.
Ciò che leggiamo in Giovanni «il Verbo si fece carne» (Gv 1, 14), ha dunque questo significato, poiché si interpreta come altre parole simili.
Sta scritto infatti in Paolo: «Cristo per noi divenne lui stesso maledizione» (cfr. Gal 3, 13). L’uomo in questa intima unione del Verbo ricevette una ricchezza enorme: dalla condizione di mortalità divenne immortale; mentre era legato alla vita fisica, divenne partecipe dello Spirito; anche se fatto di terra, è entrato nel regno del cielo.
Benché il Verbo abbia preso un corpo mortale da Maria, la Trinità è rimasta in se stessa qual era, senza sorta di aggiunte o sottrazioni. E’ rimasta assoluta perfezione: Trinità e unica divinità. E così nella Chiesa si proclama un solo Dio nel Padre e nel Verbo.

SECONDI VESPRI

Lettura breve  Gal 4, 4-5
Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l’adozione a figli.

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