Archive pour janvier, 2009

Guglielmo di Saint-Thierry : « Vedrete il cielo aperto »

dal sito:

http://www.vangelodelgiorno.org/www/main.php?language=IT&localTime=01/05/2009#

Guglielmo di Saint-Thierry (circa 1085-1148), monaco benedettino poi cistercense
Meditativae orationes, VI, 5-7 ; SC 324, 109

« Vedrete il cielo aperto »
Se basta che due o tre siano riuniti nel tuo nome per vedere te in mezzo a loro (Mt 18,20)…, cosa dire di quel luogo dove hai riunito tutti i santi che « hanno sancito con te l’alleanza offrendo un sacrificio », e sono divenuti come « il cielo che annunzia la tua giustizia » ? (Sal 49, 5-6)

Il discepolo che tu amavi non è stato l’unico a trovare il cammino che sale al cielo ; non a lui solo è stata mostrata una porta aperta nel cielo (Ap 4,1). Infatti, con la tu stessa bocca hai dichiarato a tutti : « Io sono la porta : se uno entra attraverso di me, sarà salvo » (Gv 10,9). Sei dunque tu la porta, e secondo quello che hai aggiunto, apri a chiunque vuole entrare.

A noi però che siamo sulla terra, a cosa giova vedere una porta aperta nel cielo, se non abbiamo il mezzo per salirvi ? Risponde San Paolo : «  Colui che discese è lo stesso che anche ascese » (Ef 4,9). Chi è costui ? L’amore. Infatti, Signore, dai nostri cuori l’amore ascende verso di te, perché l’amore è disceso da te verso di noi. Perché ci hai amati, sei disceso fino a noi ; amandoti potremo ascendere fino a te. Tu che hai detto : « Sono la porta », ti prego, in nome tuo, apriti davanti a noi ! Vedremo allora più chiaramente di quale dimora sei la porta, e quando e a chi tu apri.

Dai « Discorsi » di Sant’Agostino : Epifania del Signore

dal sito:

http://www.augustinus.it/varie/natale/natale_epifania.htm

Dai « Discorsi » di Sant’Agostino Vescovo (Sermo 199, 1.1-2)

Epifania del Signore 

« Entrati nella casa,
(i Magi) videro il Bambino con Maria sua madre,
e prostratisi lo adorarono ».
(Mt 2, 11)

I Magi, simbolo di coloro che camminano nella fede e desiderano la visione

Non molto tempo fa abbiamo celebrato il giorno in cui il Signore è nato dai Giudei; oggi celebriamo il giorno in cui è stato adorato dai pagani. Poiché la salvezza viene dai Giudei (Gv 4, 22); ma questa salvezza (sarà portata) fino agli estremi confini del mondo (Is 49, 6). In quel giorno lo adorarono i pastori, oggi i magi; a quelli lo annunciarono gli angeli, a questi una stella. Tutti e due l’appresero per intervento celeste, quando videro in terra il re del cielo, perché ci fosse gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà (Lc 2, 14). Egli infatti è la nostra pace, colui che ha unito i due in un popolo solo (Ef 2, 14). Già, fin da quando il bambino è nato e annunziato, si presenta come pietra angolare (Cf. Mt 21, 42), tale si manifesta già nello stesso momento della nascita. Già cominciò a congiungere in sé le due pareti poste in diverse direzioni, chiamando i pastori dalla Giudea, i magi dall’Oriente: Per creare in se stesso dei due un solo uomo nuovo e ristabilire la pace; pace tanto a quelli che erano lontani tanto a quelli che erano vicini (Ef 2, 15.17). I pastori accorrendo da vicino lo stesso giorno della nascita, i magi arrivando oggi da lontano hanno consegnato ai posteri due giorni diversi da celebrare, pur avendo ambedue contemplato la medesima luce del mondo.

Oggi bisogna parlare dei magi che la fede ha condotto a Cristo da terre lontane. Vennero e lo cercarono dicendo: Dov’è il Re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto la sua stella in Oriente e siamo venuti ad adorarlo (Mt 2, 2). Annunziano e chiedono, credono e cercano, come per simboleggiare coloro che camminano nella fede e desiderano la visione (Cf. 2 Cor 5, 7). Non erano già nati tante volte in Giudea altri re dei Giudei? Come mai questo viene conosciuto da stranieri attraverso segni celesti e viene cercato in terra, risplende nell’alto del cielo e si nasconde umilmente? I magi vedono la stella in Oriente e capiscono che in Giudea è nato un re. Chi è questo re tanto piccolo e tanto grande, che in terra non parla ancora e in cielo già dà ordini? Proprio per noi – perché volle farsi conoscere da noi tramite le sue sante Scritture – volle che anche i magi credessero in lui attraverso i suoi profeti, pur avendo dato ad essi un segno così chiaro in cielo e pur avendo rivelato ai loro cuori di essere nato in Giudea. Nel cercare la città nella quale era nato colui che desideravano vedere e adorare, fu per essi necessario informarsi presso i capi dei Giudei. E questi, attingendo dalla sacra Scrittura che avevano sulle labbra ma non nel cuore, presentarono, da infedeli a persone divenute credenti, la grazia della fede, menzogneri nel loro cuore, veritieri a loro proprio danno. Quanto sarebbe stato meglio infatti se si fossero uniti a quelli che cercavano il Cristo, dopo aver sentito dire da essi che, veduta la sua stella, erano venuti desiderosi di adorarlo? se li avessero accompagnati essi stessi a Betlemme di Giuda, la città che avevano ad essi indicato seguendo le indicazioni dei Libri divini? se insieme ad essi avessero veduto, avessero compreso, avessero adorato? Invece, mentre hanno indicato ad altri la fonte della vita, essi ora sono morti di sete.

G. Ravasi: »E voi chi dite che io sia? » : fin dall’infanzia un volto comincia a svelarsi

dal sito:
http://www.vatican.va/jubilee_2000/magazine/documents/ju_mag_01071997_p-12_it.html

« E VOI, CHI DITE CHE IO SIA? »

FIN DALL’INFANZIA UN VOLTO COMINCIA A SVELARSI

Gianfranco Ravasi

«Il Cristo ci ha collocati di fronte al mistero, ci ha posti definitivamente nella situazione dei suoi discepoli di fronte alla domanda: Ma voi, chi dite che io sia?». Queste parole, che raffigurano in modo limpido e immediato ogni esperienza di incontro e di scontro con Cristo, sono di uno scrittore che ho avuto la fortuna di conoscere personalmente, Mario Pomilio, che le ha poste all’interno del suo Quinto evangelio. Ebbene, quella domanda affiorata sulle labbra di Gesù a Cesarea di Filippo non attraversa solo i secoli ma riecheggia nell’intimità di ogni persona. E la risposta è data in mille forme, talora sorprendenti, altre volte sconcertanti. A me ha sempre fatto impressione quella che Kafka ha offerto all’amico Gustav Janouch: «Cristo è un abisso di luce. Bisogna chiudere gli occhi per non precipitarvi».

Modesta e marginale, la mia testimonianza – come per quella di altri – può risultare impacciata proprio perché la domanda artiglia la coscienza nel suo segreto e « pesca » in quella profondità dove domina il silenzio personale, l’intimità, forse anche l’inesprimibile. Due considerazioni sono, però, possibili e immediate. Innanzitutto la mia esperienza è quella di un credente e di un sacerdote, cioè di una persona che ha pur sempre coinvolto se stessa, la sua identità, la sua vicenda umana intrecciandola con quella di Gesù Cristo. In questa dimensione l’elemento fondamentale è paradossalmente esterno all’ « io » del testimone. È illuminante in questo senso Paolo quando descrive la sua « via di Damasco » usando due verbi di rivelazione e uno di lotta: «Cristo è apparso anche a me (…) Dio si degnò di rivelarmi suo Figlio (… )Sono stato afferrato da Cristo Gesù» (Corinzi 15,8; Galati 1,16; Filippesi 3,12).

Detto in altri termini, all’inizio dell’incontro con Cristo c’è « un’epifania », cioè non la mia ricerca ma il suo apparire. Per questo un filosofo credente come Soeren Kierkegaard alla data 16 agosto 1839 del suo Diario invocava: «Gesù, vieni in cerca di me sui sentieri dei miei travisamenti ove io mi nascondo a te e agli uomini!». Nella mia esperienza interiore c’è proprio questo svelarsi del divino non tanto su una via folgorata dalla voce celeste, come per Paolo, quanto piuttosto in una serie di pacate e delicate « epifanie » che affiorano fin dall’infanzia. E curiosamente esse si insediano in uno spirito che portava con sé – allora in forma intuitiva ed esile – già un senso intenso della fragilità della vita e delle cose, del fluire del tempo e dell’inconsistenza della realtà.

Davanti a un frutto che si decomponeva, al fischio di un treno che lacerava la notte e si spegneva, al primo incontro con la morte, alle sofferenze della guerra, al padre assente perché perseguitato politico, nel mio animo infantile non cresceva la desolazione o la tristezza naturale ma lentamente si configurava quell’ « epifania » inattesa e ancora informe. È stato ancora Paolo a farmi capire in seguito questo contrasto e la sua pacificazione quando, stupendosi lui stesso delle parole di Isaia (« il profeta osa dire ») scriveva questa « confessione » divina: «Io, il Signore, mi sono fatto trovare anche da quelli che non mi cercavano, mi sono rivelato anche a quelli che non si rivolgevano a me!» (Romani 10,20). Prima della risposta alla domanda « Ma voi, chi dite che io sia? », Cristo aveva per me (e per tutti) già detto chi egli realmente fosse.

In principio c’è, dunque, la sua parola che ti scuote e sconcerta. Certo è sempre possibile rivolgere altrove lo sguardo e ostruire l’orecchio con altre voci e suoni e questa è pure una storia mia e un po’ di tutti nell’itinerario degli anni, nei percorsi non sempre lineari della vita. Per questo ritengo altrettanto capitale un’altra domanda di Gesù, quella di Cafarnao. Essa è diventata il titolo di una « vita di Cristo » di un altro scrittore a me particolarmente caro, Luigi Santucci: Volete andarvene anche voi? E’ un interrogativo che viene fatto serpeggiare tra i discepoli proprio dopo una grande « epifania », quella della continua presenza di Cristo sotto il segno del pane e del vino eucaristici. Un interrogativo che non sempre ha la pronta replica di Pietro: «Da chi mai andremo? Tu solo hai parole di vita eterna!». Tuttavia anche se si va altrove, Cristo non cessa di seguirci, con discrezione o con insistenza. Quando in seguito mi dedicai allo studio teologico, mi fece impressione una frase di Dietrich Bonhoeffer, il teologo ucciso dai nazisti, che nella sua Cristologia annotava: «Cristo non è tale in quanto Cristo-per sé, ma nel suo riferimento a me. Il suo esser-Cristo è il suo esser-per me».

Nella mia storia personale c’è, però, una seconda dimensione che devo mettere in luce ed è quello dell’essere stato un esegeta, cioè uno studioso delle Scritture Sacre e quindi delle parole evangeliche di Cristo. Già da ragazzo – avevo cominciato a studiare il greco da solo subito dopo le scuole elementari – mi avevano affascinato quelle 64327 parole greche che compongono i quattro Vangeli. In seguito quei versetti furono da me sempre più approfonditi; scoprivo nuove iridescenze in ogni termine e lentamente si configurava un profilo di Cristo che coniugava in sé due fisionomie. Da un lato, c’era la figura di Gesù di Nazareth, il rabbì ambulante le cui labbra dicevano cose sorprendenti ma in una lingua « barbarica » e concreta, le cui mani compivano gesti straordinari ma non « pubblicitari », i cui piedi seguivano una meta grandiosa e celeste ma calpestavano le polverose strade della Palestina, i cui interlocutori erano spesso un’accolta di miserabili o di altezzosi burocrati del sacro e della legge e persino dei traditori. Mi ha a lungo interessato – per usare una terminologia più « tecnica » – il Gesù storico, così come è rintracciabile attraverso l’analisi critica dei testi evangelici.

D’altro lato, però, c’è la figura di Cristo, Figlio di Dio, che offre un volto illuminato dallo splendore della Pasqua. I Vangeli sono innanzitutto un canto al risorto che sboccia dall’incontro con lui, dalla fede e dall’annuncio gioioso. Mi sono, perciò, impegnato nel sottolineare, anche attraverso i miei scritti, le conferenze e una quasi decennale presenza televisiva, questo aspetto che in passato era talmente dominante da diventare esclusivo, così da cancellare il volto storico di Cristo, ma che in questi ultimi tempi è stato quasi messo tra parentesi. Prima una certa visione « sociologica », poi una concezione storicistica e apologetica si è protesa a dimostrare il Gesù storico, nella convinzione che solo così si fondasse la vera Cristologia. Ebbene, Gesù Cristo è uno ma in due nature; ogni divisione lo impoverisce e lo allontana. Egli è uno di noi e con noi ma è anche oltre noi e sopra di noi. E’ per usare il vocabolario di Giovanni, Logos, « parola » perfetta e suprema divina, ed è sarx, « carne » e storia. Conservare l’unità di Gesù Cristo, senza scindere la sua persona in un Gesù nazaretano e in un Cristo pasquale è un compito importante di chi annunzia il Vangelo con fedeltà.

Lo studio esegetico, perciò, non è un freddo esercizio filologico (anche se suppone uno scavo nel testo con rigore e finezza). E’ anche un’avventura del nostro spirito che è invitato a rispondere alla domanda di Cesarea da cui siamo partiti. Mi è sempre piaciuta una frase del Tractatus logico-philosophicus di Ludwig Wittgenstein: «Ho voluto indagare i contorni di un’isola; ma ciò che ho scoperto sono i confini dell’Oceano». Si comincia conoscendo un linguaggio concreto, una figura datata e circoscritta a quell’antica provincia dell’Impero romano, eventi e dati storici, ma alla fine ci si accorge che quella persona è immersa nell’Oceano della divinità, è appunto « il Cristo, il Figlio del Dio vivente », come rispose in quel giorno Pietro, figlio di Giona.

(Cenni biografici – Gianfranco Ravasi, nato nel 1942, sacerdote della diocesi di Milano dal 1966, è Prefetto della Biblioteca Ambrosiana, docente di esegesi Biblica alla facoltà Teologica dell’Italia settentrionale e membro della Pontificia Commissione Biblica. Scrittore prolifico, è autore di numerosissimi libri e di trasmissioni televisive. cura la rubrica « Mattutino » nella prima pagina del quotidiano Avvenire).

ora non più

DOMENICA 4 GENNAIO 2009 – II DOMENICA DOPO NATALE

DOMENICA 4 GENNAIO 2009 - II DOMENICA DOPO NATALE dans EAQ - (dal sito francese) - 16%20IN%20PRINCIPIO

Joh-01,01_Logos made flesh_Logos fait chair

http://www.artbible.net/3JC/-Joh-01,01_Logos%20made%20flesh_Logos%20fait%20chair/index2.html

DOMENICA 4 GENNAIO 2009

II DOMENICA DOPO NATALE

MESSA DEL GIORNO

Seconda Lettura  Ef 1, 3-6. 15-18
Mediante Gesù, Dio ci ha predestinati a essere suoi figli adottivi.
 
Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesini.
Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità, predestinandoci a essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo, secondo il disegno d’amore della sua volontà, a lode dello splendore della sua grazia, di cui ci ha gratificati nel Figlio amato.
Perciò anch’io [Paolo], avendo avuto notizia della vostra fede nel Signore Gesù e dell’amore che avete verso tutti i santi, continuamente rendo grazie per voi ricordandovi nelle mie preghiere, affinché il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di lui; illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi.

DAL SITO FRANCESE EAQ:

http://www.vangelodelgiorno.org/www/main.php?language=IT&ordo=&localTime=01/04/2009#

Beato Guerrico d’Igny (circa 1080-1157), abate cistercense
Discorsi per il giorno di Natale, 5, 1-2 ; SC 166, 223-226

« Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi, e noi vedemmo la sua gloria »
Siamo tutti riuniti, fratelli, per ascoltare la Parola di Dio. Eppure Dio ci ha preparato qualcosa di migliore : ci viene donato oggi, non soltanto di ascoltare, ma pure di vedere il Verbo di Dio, purché noi « andiamo fino a Betlemme e vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere » (Lc 2,15)…

Se è vero che « la fede dipende di ciò che ascoltiamo » (Rm 10,17), Dio sa che essa dipende più direttamente e più rapidamente da ciò che vediamo, come ce lo insegna l’esempio di Tommaso… Dio, volendo accondiscendere alla nostra ottusità, oggi ha reso visibile per noi il suo Verbo, che aveva prima reso udibile. Anzi, l’ha reso palpabile, al punto che alcuni tra noi hanno potuto dire : « Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita » (1 Gv 1,1)…

Se quindi si trova fra di noi un fratello che soffre di languore spirituale, non voglio che i suoi orecchi si affatichino più a lungo nell’ascoltare la mia povera parola. Che si rechi a Betlemme, e là, contempli colui « nel quale gli angeli desiderano fissare lo sguardo » (1 Pt 1,12), che contempli colui « che il Signore ci ha fatto conoscere » (Lc 2,15). Che si rappresenti nella mente come la « Parola di Dio, viva e efficace » (Eb 4,12) giace lì, in una mangiatoia.

UFFICIO DELLE LETTURE

Prima Lettura
Dalla lettera ai Colossesi di san Paolo, apostolo 2, 16 – 3, 4

La vita nuova in Cristo
Fratelli, nessuno vi condanni più in fatto di cibo o di bevanda, o riguardo a feste, a noviluni e a sabati: tutte cose queste che sono ombra delle future; ma la realtà invece è Cristo! Nessuno v’impedisca di conseguire il premio, compiacendosi in pratiche di poco conto e nella venerazione degli angeli, seguendo le proprie pretese visioni, gonfio di vano orgoglio nella sua mente carnale, senza essere stretto invece al capo, dal quale tutto il corpo riceve sostentamento e coesione per mezzo di giunture e legami, realizzando così la crescita secondo il volere di Dio.
Se pertanto siete morti con Cristo agli elementi del mondo, perché lasciarvi imporre, come se viveste ancora nel mondo, dei precetti quali «Non prendere, non gustare, non toccare»? Tutte cose destinate a scomparire con l’uso: sono infatti prescrizioni e insegnamenti di uomini! Queste cose hanno una parvenza di sapienza, con la loro affettata religiosità e umiltà e austerità riguardo al corpo, ma in realtà non servono che per soddisfare la carne.
Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio; pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra. Voi infatti siete morti e la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio! Quando si manifesterà Cristo, la vostra vita, allora anche voi sarete manifestati con lui nella gloria.

Responsorio   Col 3, 1-2; Lc 12, 34
R. Se siete risorti con Cristo, cercate i beni di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio; * pensate ai beni di lassù, non a quelli della terra.
V. Dove è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore.
R. Pensate ai beni di lassù, non a quelli della terra.

Seconda Lettura
Dal trattato «Sullo Spirito Santo» di san Basilio, vescovo
(Cap. 26, 61. 64; PG 32, 179-182. 186)

Il Signore vivifica il suo Corpo nello Spirito
Colui che ormai non vive più secondo la carne ma è guidato dallo Spirito di Dio, poiché prende il nome di figlio di Dio e diviene conforme all’immagine del Figlio unigenito, viene detto spirituale.
Come in un occhio sano vi è la capacità di vedere, così nell’anima che ha questa purezza vi è la forza operante dello Spirito. Come il pensiero della nostra mente ora resta inespresso nell’intimo del cuore, ora invece si esprime con la parola, così lo Spirito Santo ora attesta nell’intimo al nostro spirito e grida nei nostri cuori: «Abbà, Padre» (Gal 4, 6), ora invece parla per noi, come dice la Scrittura: Non siete voi che parlate, ma parla in voi lo Spirito del Padre (cfr. Mt 10, 20). Inoltre lo Spirito distribuendo a tutti i suoi carismi è il Tutto che si trova in tutte le parti. Tutti infatti siamo membra gli uni degli altri, e abbiamo doni diversi secondo la grazia di Dio comunicata a noi. Per questo «non può l’occhio dire alla mano: Non ho bisogno di te; né la testa ai piedi: Non ho bisogno di voi» (1 Cor 12, 21). Tutte le membra insieme completano il corpo di Cristo nell’unità dello Spirito e secondo i carismi si rendono, come è necessario, utili le une alle altre. Dio infatti ha disposto le membra nel corpo, ciascuna di esse secondo il suo volere. Le parti dunque sono piene di sollecitudine vicendevole, secondo la spirituale comunione dell’amore. Perciò «se un membro soffre, tutte le altre membra soffrono insieme; e, se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui» (1 Cor 12, 26). E come le parti sono nel tutto, così noi siamo ognuno nello Spirito, poiché tutti in un solo corpo siamo stati battezzati nell’unico Spirito.
Come il Padre si rende visibile nel Figlio, così il Figlio si rende presente nello Spirito. Perciò l’adorazione nello Spirito indica un’attività del nostro animo, svolta in piena luce. Lo si apprende dalle parole dette alla Samaritana. Essa infatti, secondo la concezione errata del suo popolo, pensava che si dovesse adorare in un luogo particolare, ma il Signore, facendole mutare idea, le disse: Bisogna adorare nello Spirito e nella Verità (cfr. Gv 4, 23), chiaramente definendo se stesso «la Verità».
Dunque nel modo come intendiamo adorazione nel Figlio, come adorazione cioè nell’immagine di colui che è Dio e Padre, così anche dobbiamo intendere adorazione nello Spirito, come adorazione a colui che esprime in se stesso la divina essenza del Signore Dio.
Giustamente, dunque, nello Spirito che ci illumina noi vediamo lo splendore della gloria di Dio. Per mezzo dell’impronta risaliamo al sigillo e a colui al quale appartiene l’impronta e il sigillo e al quale l’una e l’altra cosa sono perfettamente uguali.

Responsorio   1 Cor 2, 12. 10; Ef 3, 5
R. Non abbiamo ricevuto lo spirito di questo mondo, ma lo Spirito di Dio, per conoscere tutto ciò che Dio ci ha donato: * lo Spirito scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio.

SABATO 3 GENNAIO 2009 – PRIMA DELL’EPIFANIA

SABATO 3 GENNAIO 2009 – PRIMA DELL’EPIFANIA

UFFICIO DELLE LETTURE

Seconda Lettura

Dall’opera sul «Vangelo eterno» di san Bernardino da  Siena

(Sermone 49, art. 1 – Opera Omnia, IV, pp. 495 ss).

Grande fondamento della fede è il nome di Gesù
per il quale siamo fatti figli di Dio
Il Nome santissimo dagli antichi Patriarchi e Padri fu desiderato, con tanta ansietà aspettato, con tanti sospiri, con tante lagrime invocato, ma nel tempo della grazia misericordiosamente è stato donato. Scompaia il nome dell’umana sapienza, non si senta nome della vendetta, rimanga il nome della giustizia. Donaci il nome della misericordia, risuoni il nome di Gesù nelle mie orecchie, poiché allora veramente la tua voce è dolce e grazioso il tuo volto.

Grande fondamento della fede pertanto è il Nome di Gesù, per il quale siamo fatti figli di Dio. La fede della religione cattolica consiste nella conoscenza e nella luce di Gesù Cristo; che è illuminazione dell’uomo, porta della vita, fondamento della salute eterna. Se qualcuno non lo ha o lo ha abbandonato, è come se camminasse senza luce nelle tenebre e per luoghi pericolosi ad occhi chiusi; e sebbene splenda il lume della ragione, segue una guida cieca quando segue il proprio intelletto per capire i segreti celesti, come colui che intraprenda la costruzione della casa senza curarsi del fondamento, oppure, non avendo costruita la porta, cerca poi di entrare per il tetto.
Questo fondamento è Gesù, porta e luce che, mostrandosi agli erranti, indicò a tutti la luce della fede per la quale è possibile ricercare il Dio sconosciuto, e ricercandolo credere, e credendo trovarlo. Questo fondamento sostiene la Chiesa fondata nel Nome di Gesù.

Il Nome di Gesù è luce ai predicatori, poiché fa luminosamente risplendere, annunciare e udire la sua parola. Da dove credi che provenga tanta improvvisa e fervida luce di fede in tutta la terra, se non dalla predicazione del Nome di Gesù? Forse che Dio non ci ha chiamati all’ammirabile sua luce attraverso la luce e la dolcezza di questo Nome? A coloro che sono illuminati e che vedono in questa luce, giustamente l’Apostolo dice: «Una volta eravate tenebre, ora siete luce nel Signore: camminate dunque quali figli della luce».

O nome glorioso, o nome grazioso, o nome amoroso e virtuoso! Per mezzo tuo vengono perdonate le colpe, per mezzo tuo vengono sconfitti i nemici, per te i malati vengono liberati, per te coloro che soffrono sono irrobustiti e gioiscono! Tu onore dei credenti, maestro dei predicatori, forza di coloro che operano, tu sostegno dei deboli! I desideri si accendono per il tuo calore e ardore di fuoco, si inebriano le anime contemplative e per te le anime trionfanti sono glorificate nel cielo: con le quali, o dolcissimo Gesù, per questo tuo santissimo Nome, fa’ che possiamo anche noi regnare. Amen!

LO SPIRITO SANTO NEL MISTERO DEL NATALE

dal sito:

http://www.vatican.va/jubilee_2000/magazine/documents/ju_mag_01121997_vol-vi-index_it.html

« TERTIUM MILLENNIUM »

N. 6 Dicembre 1997
L’ANNO DELLO SPIRITO SANTO

Liturgia

LO SPIRITO SANTO NEL MISTERO DEL NATALE

Mathias Augé

Con l’Avvento abbiamo iniziato la celebrazione del secondo anno del triennio preparatorio al Grande Giubileo del 2000, anno dedicato in modo particolare «allo Spirito Santo e alla sua presenza santificatrice all’interno della Comunità dei discepoli di Cristo» (TMA 44). La celebrazione liturgica è il luogo privilegiato dove l’opera della salvezza, compiuta in Cristo, si realizza. Essendo la liturgia vera storia della salvezza celebrata e perennizzata (cfr. SC 6), è anche spazio adeguato della presenza e dell’azione dello Spirito Santo. Dal giorno dell’Incarnazione ogni presenza di Cristo è in relazione inscindibile con l’azione dello Spirito. Ecco perché Cristo, presente nelle azioni liturgiche, «esercita ininterrottamente il suo ufficio sacerdotale in nostro favore per mezzo del suo Spirito» (PO 5): il mistero di Cristo diventa presenza e azione santificatrice e cultuale per mezzo dello Spirito Santo. Nell’azione liturgica, la presenza dello Spirito è incessante affinché la memoria del mistero di Cristo sia vitale e la partecipazione al mistero sia fruttuosa e pregnante. Non sempre noi cristiani siamo consapevoli di questa realtà. Qui vorrei illustrare brevemente come i testi della liturgia romana, noti per la loro classica sobrietà, mettono in evidenza la presenza e l’azione dello Spirito nella celebrazione del mistero natalizio.

La presenza e l’azione dello Spirito Santo sono particolarmente intense nei misteri del concepimento e della nascita di Gesù. Nella celebrazione di questi misteri nel ciclo dell’anno liturgico è guida insostituibile la lettura e meditazione dei primi capitoli del vangelo di san Luca, ripresi e proclamati dalla liturgia natalizia. San Luca legge questi eventi e li racconta alla luce della risurrezione di Cristo. Ciò emerge dai temi contenuti nelle parole dell’angelo a Maria: «Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio» (Lc 1,35). Il concepimento per opera dello Spirito Santo sottolinea che il mistero della persona di Cristo va al di là di ciò che appare all’esterno. Quella gloria divina, che si manifesterà in modo nuovo alla fine della vita terrena di Cristo nella sua risurrezione e pienamente alla fine dei tempi «quando verrà nella sua gloria» (Mt 25,31), è già adesso realmente presente in lui, anche se ancora nascosta. Anticipando all’Annunciazione i temi della potenza, della nube, della gloria e della filiazione divina, Luca intende affermare che la gloria di Cristo non è specifica né degli ultimi tempi né della risurrezione, ma che essa è già presente in Gesù fin dall’inizio della sua esistenza terrena. Il Gesù «nato dalla stirpe di Davide secondo la carne», è lo stesso che è stato «costituito Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito di santificazione mediante la risurrezione dai morti» (cfr. Rm 1,1-7). La filiazione divina di Gesù proclamata nel mistero dell’Incarnazione è la stessa del Cristo risorto, tuttavia non più nella condizione di debolezza della carne ma nella forza e nella potenza dello Spirito. In questo modo, pur essendo Figlio prima della risurrezione, può dirsi che Gesù è stato «costituito Figlio di Dio con potenza» dopo di essa.

Coerenti con l’impostazione lucana, i testi della liturgia ci invitano a celebrare il Natale nella luce e nella realtà della Pasqua. La teologia dell’Incarnazione presente nei testi dell’ufficio e delle Messe natalizie si può riassumere così: il Figlio di Dio è venuto sulla terra e ha assunto la nostra natura per portar a termine la nostra salvezza nel mistero della sua morte e risurrezione. Nell’inno dei Vespri del tempo di Natale cantiamo: «Nel gaudio del Natale ti salutiamo, Cristo, redentore del mondo». E l’orazione sulle offerte della Messa vespertina della vigilia presenta il Natale come il «grande giorno che ha dato inizio alla nostra redenzione». Il Natale è già l’inizio della redenzione nella assunzione della natura umana da parte del Figlio nella quale potrà consumare la sua passione e si renderà efficace e perpetua, sempre per opera dello Spirito, la risurrezione secondo la carne. Nel ritornello del salmo responsoriale della Messa del giorno di Natale, ispirato al Sal. 97, ripetiamo: «Tutta la terra ha veduto la salvezza del Signore». Nel bambino di Betlemme questa salvezza si è manifestata, e tutti gli uomini della terra sono invitati a contemplarla e ad accoglierla. È lo Spirito che ci rende capaci di contemplare ed accogliere questa salvezza. Perché è lui che attualizza e compie dal di dentro l’opera salvifica di Cristo (cfr. AG 4). Come dice Pio XII nella Mystici Corporis, «senza lo Spirito non si può produrre neppure un minimo atto che conduca alla salvezza».

Il brano di Is. 62,1-5, letto nella medesima Messa della vigilia di Natale, illustra il tema dell’unione sponsale tra Dio e Gerusalemme, che è figura della Chiesa. Questa unione ha la sua prima grande manifestazione nel mistero dell’Incarnazione: l’eterno Figlio di Dio appare nel tempo, indissolubilmente unito alla natura umana, nella persona di Gesù Cristo. Così pure l’antifona al Magnificat dei Vespri della solennità natalizia riprende il tema sponsale: «[...] come lo sposo dalla stanza nuziale egli viene dal Padre». Artefice di questa unione sponsale è lo Spirito Santo. San Francesco di Sales afferma in una delle sue lettere che «siamo sposi, quando per lo Spirito Santo l’anima del fedele si unisce a Gesù Cristo». Il Cristo sposa la Chiesa nello Spirito, nel bacio divino del Padre e del Figlio, nella loro donazione di amore. Il Figlio sposando la Chiesa la porterà nella casa del Padre per farle godere la vita propria delle tre Persone divine. Come dice San Paolo, «l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm 5,5). E San Pietro aggiunge: così siamo fatti «partecipi della natura divina» (2 Pt 1,4). Questo mistero iniziato nell’Incarnazione, partecipato da noi nei sacramenti del battesimo-confermazione, trova piena realizzazione nell’Eucaristia. La preghiera dopo la comunione della Messa del giorno di Natale afferma che il Salvatore nel mistero della sua nascita ci ha rigenerati come figli di Dio e «ci ha comunicato il dono della sua vita immortale». La stessa tematica la ritroviamo nel Prefazio III del tempo natalizio. Di questa vita immortale, lo Spirito è la primizia e la caparra (cfr. Ef 1,14; 2 Cor 1,22; 5,5).

Le due prime letture bibliche della Messa della domenica II dopo Natale mettono in rilievo il tema della Sapienza divina che «fissa la tenda in Giacobbe» (Sir 24,8) e quello della nostra predestinazione a figli di Dio per mezzo di Gesù Cristo (cfr. Ef. 1,3-6). È lo Spirito Santo che ci guida a scoprire i misteri della Sapienza di Dio e ci rende conformi all’immagine del Figlio (cfr. Ef. 1,17). Is. 63,14 attribuisce allo Spirito la funzione che nella storia del popolo d’Israele è stata esercitata dalla nube luminosa del deserto: «lo Spirito del Signore li guidava al riposo». E quello che nel libro di Isaia è attribuito allo Spirito di Dio, l’autore del libro della Sapienza lo attribuisce alla Sapienza di Dio (cfr. Sap. 10,15-21). Gesù si congeda dei suoi discepoli con questa promessa: «Quando verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve l’annunzierà» (Gv 16,13-14; cfr. 14,26). È lo Spirito che ci dà la comprensione del mistero del Figlio di Dio fatto uomo. Come dice San Paolo, noi abbiamo ricevuto «lo Spirito di Dio per conoscere tutto ciò che Dio ci ha donato» (1Cor 2,12). Il dono supremo che il Padre ha fatto al mondo è il suo Figlio incarnato.

Riprendendo il tema della gloria sopra accennato, possiamo affermare che il Natale è la festa della gloria di Dio. Riecheggiando le parole dell’angelo di Betlemme, la Chiesa proclama: «gloria a Dio nel più alto dei cieli» (Lc 2,14). Ma la gloria di Dio, segno della sua presenza, è ormai sulla terra: il Natale è la manifestazione della gloria di Dio. L’antifona d’ingresso della Messa della vigilia annuncia: «Oggi sapete che il Signore viene a salvarci: domani vedrete la sua gloria». In modo simile si esprime l’antifona alla comunione della stessa Messa. Questa gloria del Signore la contempliamo nel Verbo incarnato (cfr. Gv 1,14). La gloria però che il Padre ha dato al Figlio, e che si manifesta già nel mistero dell’Incarnazione, ci viene data affinché noi diventiamo una sola cosa con il Padre per opera dello Spirito (cfr. Gv 17,20). Il dono dello Spirito è la presenza in noi della gloria del Signore che ci trasforma a sua immagine (cfr. 2 Cor 3,18).

Il Dio della creazione e dell’alleanza ha inviato nella pienezza dei tempi il Figlio suo e poi, perché ne venisse proseguita l’opera, ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del Figlio (cfr. Gal 4,4-6). Se eliminiamo lo Spirito Santo, Cristo è ridotto al rango di un maestro buono e sfortunato, il cui ricordo sbiadisce sempre più col tempo. Infatti, colui per il quale Gesù è il vivente in mezzo a noi è lo Spirito. L’evento dello Spirito non prescinde mai dall’evento-Cristo, ne è anzi la ripresentazione, l’attualizzazione nella varietà della vicenda umana. Per la presenza dello Spirito la Chiesa è una comunità viva e varia, che pur fissa nella parola del suo capo, Cristo, e protesa verso l’unica sua meta, il Regno, si muove nella storia con un dinamismo ricco di forme diverse e sempre nuove. La liturgia della Chiesa ci può guidare a riscoprire e vivere questa presenza vivificante dello Spirito Santo.

San Giovanni Crisostomo : « Ecco l’Agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo »

dal sito:

http://www.levangileauquotidien.org/www/main.php?language=FR&localTime=01/03/2009#

San Giovanni Crisostomo (circa 345-407), vescovo d’Antiochia poi di Costantinopoli, dottore della Chiesa
Commento sul vangelo di Giovanni, 18

« Ecco l’Agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo »
«Ecco l’Agnello di Dio» disse Giovanni, non parla Gesù Cristo; è Giovanni Battista a dire tutto. Lo sposo è solito agire in questo modo; non dice ancora nulla alla sposa, ma sta alla sua presenza in silenzio. Altri lo annunziano e gli presentano la sposa. Quando lei compare, lo sposo non la prende, bensì la riceve dalle mani di un altro. Ma dopo averla ricevuta, si lega tanto strettamente a lei, che lei non ricorda più coloro che ha dovuto lasciare per seguirlo.

Così successe a Gesù Cristo. È venuto per sposare l’unmanità. Lui non ha detto nulla, non ha fatto nulla se non presentarsi. È Giovanni, l’amico dello Sposo, ad aver messo nella sua mano quella della Sposa – in altri termini, il cuore degli uomini che aveva convinti con la sua predicazione. Allora Gesù Cristo li ha ricevuti e colmati di beni tanto numerosi, che non sono più tornati da colui che li aveva condotti a lui…

È Giovanni, l’amico dello Sposo, l’unico ad essere stato presente al suo sposalizio. Ha fatto tutto ; vedendo Gesù venire verso di lui disse : « Ecco l’Agnello di Dio ». Così facendo, rendeva testimonianza allo Sposo non soltanto con la voce, ma anche con gli occhi. Egli ammirava Cristo e, contemplandolo, il suo cuore trasaliva di gioia. Se non predica, ammira colui che è presente e fa conoscere il dono che Gesù è venuto a portare. Insegna a prepararsi per riceverlo. « Ecco l’Agnello di Dio ! » Ecco colui, disse, che toglie il peccato del mondo. Lo fa incessantemente. Anche se offre una sola volta il suo sacrificio per i peccati del mondo, questo unico sacrificio ha un effetto perpetuo.

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