Archive pour janvier, 2009

LE RADICI EBRAICHE DEL PADRE NOSTRO

dal sito:

http://www.nostreradici.it/

LE RADICI EBRAICHE DEL PADRE NOSTRO
 

Dietro ogni invocazione del Padre Nostro, sono riconoscibili espressioni di preghiere ebraiche o dell’Antico Testamento

Eccone alcune, di cui è possibile assaporare la ricchezza. Queste antiche formule ci invitano a scoprire ed a gustare un nuovo senso di parole divenute troppo comuni e il cui spessore infinito può venire soffocato dalla coltre dell’abitudine 

Padre nostro

Facci tornare, Padre nostro, alla tua Torah… Perdonaci, Padre nostro…
(5a e 6a benedizione);

tu hai avuto pietà di noi, nostro Padre, nostro Re…
Padre nostro, Padre di misericordia, il Misericordioso, abbi pietà di noi!
(2a preghiera prima dello Shema « Ahavah rabbah »).

Nel testo biblico, ai ripetuti inviti al pentimento Israele risponde: Tu sei il nostro Padre Abìnu attà.
Is 63, 16: « . . . poiché tu sei nostro padre, anche se Abramo non ci conosceva e Israele ci ignorava, Tu, o Eterno sei nostro padre, nostro redentore, da sempre questo è il tuo nome . . . »
Is 64, 7-8: «Non c’è alcuno che invochi il tuo nome, che si scuota per afferrarsi a te, perché tu ci hai nascosto la tua faccia e ci lasci consumare in balia delle nostre iniquità.
Tuttavia, o Eterno, tu sei nostro Padre, noi siamo l’argilla e tu colui che ci formi; noi tutti siamo opera delle tue mani».
Che sei nei cieli

Che le preghiere e le suppliche di tutto Israele siano accolte dal loro Padre che è nei cieli (Qaddish)

Sia santificato il tuo Nome

Santificherò il mio Nome grande (Ez 36,23) – Santo e terribile è il suo Nome (Sal 110,9)

Santo sei tu e terribile è il tuo Nome (qedusha ha-Shem:  lui solo è eccelso e santo: n.18)
(Semoneh-esre)

Tu sei Santo e il tuo Nome è santo, e i santi ogni giorno ti loderanno. Benedetto sei tu, Signore, il Dio Santo! Noi santificheremo il tuo Nome nel mondo, come lo si santifica nelle altezze celesti
(3a benedizione)

Sia magnificato e santificato il suo Nome grande nel mondo che egli ha creato secondo la sua volontà
(Qaddish)

Venga il tuo Regno

Egli stabilisca il suo regno nella vostra vita e nei vostri giorni, e nella vita di tutta la stirpe d’Israele, ora e sempre
(Qaddish).

Dalla tua Dimora, Padre nostro, risplendi e regna su di noi, perché noi attendiamo che tu regni in Sion
(3a benedizione di Shabbat)

Allora il tuo regno si manifesterà ad ogni creatura (Assunzione di Mosè, 10,1)

Ristabilisci i nostri Giudici… e regna su di noi, Tu solo Signore, con amore e misericordia… Benedetto sei tu Signore, Re, che ami la giustizia e il diritto
(11a benedizione)

Sia fatta la tua Volontà come in Cielo così in terra

Dio è in cielo e tu sei sulla terra (Qo 5,1) – Avverrà quel che in cielo si vuole (1Mac 3,60)

Fa’ la tua volontà, in cielo, in alto, e dona un coraggio tranquillo a coloro che ti temono sulla terra (R. Eliezer)

Tale possa essere la tua Volontà, Signore… guidare i nostri passi nella Torah e farci aderire ai tuoi comandamenti 
(Preghiera del mattino)

Il nostro pane quotidiano donaci oggi

Non darmi né povertà né ricchezza, ma fammi avere il cibo necessario (Pr 30,8)

Tu nutri ogni vivente per amore, per la tua grande misericordia risusciti i morti, sostieni coloro che cadono, guarisci i malati e liberi i prigionieri. Chi è come te, Maestro delle potenze?
(2a benedizione)

Benedici per noi questo pane,  nostro Dio (Birkat ha-Shenim)

Dio sia benedetto ogni giorno, per il pane quotidiano che ci dona (R. Eliezer)

Benedici per noi, Signore Dio nostro, questo anno e tutti i suoi raccolti, per il bene. Saziaci della tua bontà.
(9a benedizione)

E perdona a noi i nostri debiti come noi abbiamo perdonato ai nostri debitori

Perdona l’offesa al tuo prossimo e allora per la tua preghiera ti saranno rimessi i peccati (Sir 28,2)

Perdonaci, Padre nostro, perché abbiamo peccato; facci grazie, nostro Re, perché abbiamo fallito, perché tu sei colui che rendi grazie e perdoni. Benedetto sei tu, Signore, che rendi grazia e moltiplichi il perdono
(6a benedizione)

Padre nostro, nostro re, perdona e rimetti tutte le nostre colpe, allontana e cancella i nostri peccati davanti ai tuoi occhi (Abînu Mal-kènu)

Perdonaci, nostro padre, perché abbiamo peccato contro di te. Cancella i nostri peccati davanti ai tuoi occhi, perché sei buono e perdoni (Selishah: n.21)

Perdona i nostri peccati come noi li perdoniamo a tutti coloro che ci hanno fatto soffrire
(Liturgia dello Yom Kippour)

Non ci indurre in tentazione

Non ci abbandonare nel potere del peccato, della trasgressione, dell’errore, della tentazione né della vergogna. Non lasciar prevalere in noi l’inclinazione al male
(Preghiera del mattino) 

Liberaci dal male

Guarda la nostra miseria e guida la nostra lotta. Liberaci sena tardare per il tuo Nome, perché tu sei il Liberatore potente. Benedetto sei tu, Signore, Liberatore d’Israele
(7a benedizione)

Guarda la nostra afflizione e sostieni la nostra causa e liberaci per il tuo Nome (Ghe’ullah: n.22)

Salvaci dagli impudenti e dall’impudenza, dall’uomo malvagio, dal cattivo incontro, dalla forza cattiva, dal cattivo compagno, dal cattivo vicino, da Satana il  corruttore, dal tuo giudizio rigoroso, da un cattivo avversario in tribunale. (Berakhoth)

Ricordiamo altre due antiche preghiere nelle quali Dio è invocato come Padre d’Israele.. In queste preghiere della liturgia sinagogale e quindi comunitaria non individuale, Dio è chiamato « re » e « padre ». Nostro Padre! Nostro re!

Per i nostri padri che hanno avuto fede in te e ai quali hai insegnato la legge della vita, abbi pietà di noi e insegnaci. Padre nostro! Padre di misericordia, il Misericordioso! Abbi pietà di noi! 
(Preghiera Ahavah rabba, anteriore all’epoca di Cristo)

Nostro Padre! nostro Re!

Non abbiamo altro Re che te, nostro Padre, nostro Re, per te stesso, abbi pietà di noi
(Invocazione della litania per il Nuovo Anno, 1° secolo dell’era cristiana)

Possiamo quindi constatare che, oltre che nell’Antico Testamento, tutti gli elementi del Padre nostro si ritrovano nelle preghiere ebraiche, alcune di poco posteriori all’epoca di Gesù. Preghiera ebraica divenuta anche cristiana, essa permette sia agli ebrei che ai cristiani di ritrovare le loro radici comuni.

È una preghiera così misteriosamente semplice, sublime, completa. È alla portata intellettuale di tutti, ma supera l’intelligenza di tutti, tanto che sono insondabili le sue abissali profondità. Abbraccia, nella sua concisione, l’universo: è preghiera dell’uomo che dà voce al creato, al cosmo.

Abbiamo visto come essa è intessuta di realtà bibliche (i »cieli »; il « regno »; la « volontà » di Dio; il « pane »; i « debiti »; la « tentazione »; il « male »…), ma ne esce, le supera. Non ci rivolgiamo a « Colui che è », all’ »Onnipotente », all’ »Altissimo », ma al « Padre », che è la fonte della vita, il Dio di tutti gli esseri viventi. Non è difficile rendersi conto che il « Padre nostro » può stare sulle labbra dei membri di ogni chiesa cristiana (è preghiera ecumenica); non solo: può essere recitato dai membri di qualsiasi religione; nulla in esso offende le « credenze » di qualsiasi fede religiosa. Eppure questo Dio non è astratto, impersonale…È Padre, ma è anche Uno, è « Colui che è », è l’ »Altissimo », l’ « Onnipotente ». È Tutto.

Il testo del « Padre nostro » ci è giunto in greco: quindi, oltre e conoscerne le risonanze ebraiche ed aramaiche, che ci veicolano tutta la ricchezza e lo spessore della tradizione che ha nutrito la spiritualità di Gesù, bisogna ricorrere anche al greco per una sua giusta lettura. 

L’osservazione più immediata in questa lettura è che le richieste del « Padre nostro » sono tutte all’imperativo (« Sia santificato »; « venga »; « sia fatta »; « dacci oggi »; « rimetti »; « non ci indurre »; « liberaci »).

Dobbiamo osservare che la lingua greca usa oltre all »imperativo anche il modo « ottativo », che indica l’espressione di un desiderio; l’imperativo, invece indica un comando. Ebbene il testo greco del « Padre nostro » ha nelle forme verbali l’imperativo, non l’ottativo. Dunque chi ce ne ha tramandato il testo ha colto senz’altro in modo inequivocabile il pensiero di Cristo. La forma imperativa, dunque, viene da Cristo. Nel « Padre nostro » è Dio che prega in noi. Lo Spirito Santo grida in noi con gemiti inesprimibili « Abbà! »; « Padre! ». È Dio che ci « comanda » che cosa dobbiamo chiedergli come figli; e i figli « pretendono » ciò che è loro necessario da chi li ha generati.

Il pane che ci viene fatto chiedere non è certamente il solo pane materiale, ma il pane « quotidiano », quello di cui abbiamo bisogno ogni giorno per vivere, il pane « sopra-sostanziale » (così traducevano i Padri della Chiesa), quello che nutre non solo il corpo, ma lo spirito, il pane « necessario », quello di cui Gesù ha detto « Chi mangia di questo pane vivrà in eterno »; è il pane che si identifica con Cristo stesso (Parola ed Eucaristia): « Io sono il Pane vivo disceso dal cielo ».

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[Tra le fonti: Enzo Lodi, La Liturgia della Chiesa, Edizioni Dehoniane, Bologna] 

Publié dans:EBRAISMO |on 8 janvier, 2009 |Pas de commentaires »

San Giovanni della Croce : « E’ ormai tardi… Tutti mangiarono e si sfamarono »

dal sito:

http://www.vangelodelgiorno.org/www/main.php?language=IT&localTime=01/08/2009#

San Giovanni della Croce (1542-1591), carmelitano, dottore della Chiesa
Cantico spirituale, 2

« E’ ormai tardi… Tutti mangiarono e si sfamarono »
L’Amato,
la quiete della notte
vicina allo spuntar dell’aurora,
musica silenziosa,
solitudin sonora,
cena che ristora e innamora.

Nelle Sante Scritture, il riposo della sera designa la visione di Dio. Come dunque la cena corona i lavori del giorno e apre al riposo della notte, così l’anima assapora nella conoscenza pacevole di cui parliamo, un assaggio della fine delle sue fatiche e la sicurezza dei beni che aspetta. Anche in questo il suo amore per Dio cresce molto. È dunque veramente per essa «la cena che ristora», annunciandole la fine della sue fatiche, e che «innamora», assicurandole il possesso di tutti i beni.

Per fare capire meglio quanto sia deliziosa all’anima questa cena, poiché come abbiamo detto questa cena non è altro che l’amato in persona, ricordiamo le parole dello Sposo nell’Apocalisse: «Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (Ap 3,20). In questo ci fa capire che porta con lui la cena, cioè il sapore e le delizie di cui lui stesso si ciba e che comunica all’anima quando egli si unisce a lei, affinché anche lei se ne cibi. Tale è il senso di queste parole: «Cenerò con lui ed egli con me» e tale è l’effetto prodotto dall’unione dell’anima con Dio: i beni stessi di Dio diventano comuni tra lui e l’anima sposa, perché glieli comunica gratuitamente e con una sovrana liberalità. Dio è dunque in persona questa «cena che ristora e innamora». Ristora la sua sposa con la sua liberalità, l’innamora con la benevolenza che le testimonia.

sull’Inno alla carità, una serie di riflessioni (1Cor 13, 1-8)

Dal sito QUMRAN. NET:

http://www.qumran2.net/indice.pax?parole=anno%20paolino&id=51

Una serie di riflessioni accompagnate da preghiere di santi e Padri della Chiesa sul celebre brano di San Paolo (1Cor 13,1-8 ), che ci aiuta capire il modo di vivere in Cristo, vero modello di carità, parole chiave: ANNO PAOLINO
autore: Luigi Basile –


LA CARITA’ È MAGNANIMA
1. « La carità è magnanima  » (1 Cr 13, 4). È questa la prima qualità che S. Paolo le attribuisce. La carità rende l’animo grande, generoso, libero dai calcoli e dalle piccinerie dell’egoismo.
Quando Pietro ha domandato, se bastava perdonare al prossimo sette volte – e forse ciò gli sembrava il massimo possibile – si è sentito rispondere:  » Ti dico: non fino a sette volte, ma settanta volte sette  » (Mt 18,22). È quanto dire sempre senza mettere alcun limite, proprio come fa  » il nostro Dio che è magnanimo nel perdono  » (1s 55,7), Tutta la vita dell’uomo è sostanziata dal perdono di Dio. Appena la creatura apre gli occhi all’esistenza, Dio rigenerandola nella grazia, l’accoglie nel suo perdono col quale la riscatta dal peccato di origine. E poi, dal primo uso della ragione fino alla morte, è un continuo susseguirsi del perdono divino. Come potrebbe il cristiano vivere in grazia, perseverare e crescere nell’amicizia con Dio, nutrirsi del Corpo di Cristo senza il continuo, rinnovato perdono del Padre celeste? Ed ecco che la magnanimità del Padre deve divenire la norma della magnanimità dei figli;  » Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro  » (Lc 6,36), Pietro, dopo aver sperimentato la longanimità del perdono del Maestro da lui rinnegato, non ha avuto più bisogno di fare calcoli per sapere quante volte dovesse perdonare al suo prossimo. E forse ripensava al perdono sceso su di lui, con tanta abbondanza, quando scriveva che chi non ha amore fraterno,  » è cieco e di vista corta, dimentico di essere stato mondato dai suoi antichi peccati  » (2 Pt 1,9). Proprio perché il cristiano vive del perdono di Dio, deve saper perdonare i fratelli. L’abbraccio del perdono che Dio gli dona e ridona con instancabile magnanimità, non deve fermarsi a lui; è suo dovere trasmetterlo al prossimo. Ciò è tanto importante agli occhi di Dio che, in definitiva, egli inverte le parti e misura la larghezza del suo perdono sulla generosità di ognuno nel perdonare agli altri.  » Perdonate e vi sarà perdonato… con la misura con la quale misurerete sarà misurato a voi  » (Lc 6, 37-38 ).

2. La carità è magnanima verso gli altri perché  » non tiene conto del male ricevuto  » (1 Cr 13,5). Ciò che raffredda l’amore fraterno è il pensiero dei torti ricevuti, che molto difficilmente l’uomo sa dimenticare. Il perdono di Dio non solo condona i debiti contratti, ma li distrugge fino ad annullarne la memoria.  » Tutte le trasgressioni, che [l'uomo] avrà compiute, non saranno più ricordate per lui  » (Ez 18,22), dice la Scrittura. E di più Dio col perdono ridona intatta la sua amicizia. Il perdono del cristiano non è completo se non mira a questo: dimenticare il male ricevuto al punto di trattare con cuore e con gesto d’amico l’offensore.  » Siate benevoli gli uni verso gli altri – insiste S. Paolo -, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo  » (Ef 4,32). Se il proposito del perdono non è vissuto con generosità e costanza, quando il cristiano si presenta al Padre celeste per la preghiera, pronuncia la sua condanna:  » E rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori  » (Mt 6, 12). Che cosa può essere dell’uomo se Dio diventa, come lui, avaro del suo perdono? Forse la mediocrità di tanti, un tempo ferventi e generosi nel servizio di Dio, si spiega con la grettezza del loro perdono che ha paralizzato la loro vita spirituale.  » Chi semina scarsamente, scarsamente raccoglierà  » (2Cr 9,6). Chi semina un perdono scarso e avaro non può pretendere da Dio un perdono largo, magnanimo, e neppure abbondanza di grazia e di amore.
 » Date e vi sarà dato – ripete il Signore -; una misura buona, pigiata, scossa e traboccante vi sarà versata in grembo  » (Lc 6,38). La carità non è piena se non è magnanima in ogni suo aspetto. Tutti gli uomini vivono dei doni di Dio e tutti devono scambiarsi i doni ricevuti. I doni spirituali dell’amore, della benevolenza, del perdono, e i doni materiali necessari alla vita;  » Se il tuo nemico ha fame, sfamalo; se ha sete, dagli da bere « (Pr 25, 21).
 » Ma se uno ha dei beni di questo mondo, e vedendo il suo fratello in necessità gli chiude le proprie viscere, come dimora in lui l’amore di Dio? Figlioletti, non amiamo a parole ne con la lingua, ma a fatti e nella verità  » (1 Gv3, 17-18).
PREGHIERE: Perdonaci Signore. Che io possa, come la peccatrice, udire dalla tua bocca le dolci e consolanti parole:  » Le sono rimessi molti peccati, perché ha amato molto; quegli a cui più si perdona più ama e quegli a cui meno si perdona meno ama « . Sono parole tue, o Verità eterna. Perdonami dunque e fa’ che ti ami quanto ho di bisogno del tuo perdono…
E affinché nulla manchi alla carità perfetta, ecco ancora l’amore fraterno. Nessuna cosa deve impedire la unione con i nostri, fratelli, se non la possono impedire neppure le offese. Noi le perdoniamo, Signore, così come vogliamo ottenere, il perdono per noi, con la stessa sincerità. Non conserviamo alcun risentimento, come desideriamo che non ne conservi tu. Restituiamo loro il nostro amore, come vogliamo che tu ci renda il tuo.
J. B. BOSSUET, Meditazioni sul Vangelo III,51,v 1,p 235
Chi è o Signore, che non sia debitore verso di te se non chi vada esente da ogni: colpa? Chi è che non abbia per debitore qualche fratello se non chi non sia mai stato offeso da nessuno? …Ogni uomo è debitore e tuttavia ha, a sua volta; qualche debitore. Perciò, o Signore, nella tua giustizia tu hai stabilito che tua regola di condotta verso di me, tuo debitore, fosse quella seguita da me con chi è debitore a mio riguardo.
Due sono infatti le opere di misericordia che ci liberano e che tu stesso hai fatto registrare brevemente nel tuo Vangelo: Perdonate e vi sarà perdonato; date e vi sarà dato… lo voglio essere perdonato del mio peccato, Signore, perciò ho qualcuno cui poter perdonare… Accatta da me il povero, e io sono tuo mendicante, Signore. Infatti quando preghiamo, siamo tutti tuoi mendicanti: stiamo davanti alla porta del grande padre di famiglia, anzi ci prostriamo supplicando con gemiti per la brama di ricevere qualcosa, e questo qualcosa sei tu, o Signore! Che cosa chiede a me il povero? Il pane. E io che cosa chiedo a te se non te stesso che hai detto: Io sono il pane vivo disceso dal cielo? Per ottenere perdono perdonerò; rimetterò ad altri e sarà rimesso a me; volendo ricevere darò, e mi sarà dato.
S. AGOSTINO, Sermo 83;2


LA CARITA’ È BENIGNA

1. La benignità è frutto del cuore buono, benevolo, che a imitazione di Dio vuole e cerca solo il bene dei fratelli:  » cercate sempre il bene, tra voi e con tutti « , esorta S. Paolo (1 Ts 5, 15). Se il cuore è buono, sono buoni anche i pensieri, sono benevoli anche i giudizi.

 » E perché guardi la pagliuzza nell’occhio del tuo fratello mentre non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio?  » (Mt 7,3 ). Quanto più l’uomo è povero di virtù, tanto più i suoi difetti gli sembrano lievi e gravi invece quelli degli altri, particolarmente se urtano la sua sensibilità. È perciò tentato di erigersi a giudice del prossimo, condotta che denuncia la pochezza del suo amore. È troppo facile che una certa dose di questo spirito critico si annidi anche in coloro che si danno alla pietà e forse vivono all’ombra del santuario. Ma ciò mina in radice la vita spirituale perché ferisce la carità che ne è il fondamento. Se dove regnano la carità e l’amore là Dio è presente, dove la carità e l’amore scarseggiano Dio non dimora volentieri, nulla o quasi è la comunione con lui e della vita di pietà resta solo l’impalcatura esterna.
Il giudizio spetta a Dio solo, perché lui solo scruta i cuori.  » L’uomo guarda l’apparenza, il Signore guarda il cuore  » ( 1 Sam 16, 7). Non conoscendo le intenzioni e le circostanze dell’agire altrui, il giudizio dell’uomo – a meno che non vi sia tenuto per ufficio – è sempre temerario e usurpa i diritti di Dio. » E chi sei tu – grida S. Paolo – che giudichi l’altrui servo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone  » (Rm 14,4), Il padrone è Dio, al tribunale del quale tutti ci presenteremo:  » ciascuno di noi renderà conto a Dio di se stesso  » (ivi 12), Il giudizio intransigente è condannato da Gesù, che applica ad esso la norma data per il perdono:  » Non giudicate per non essere giudicati; perché col giudizio col quale giudicate sarete giudicati  » (Mt 7, 1-2). Invece di giudicare il prossimo la carità nutre per lui sentimenti di misericordia, preoccupandosi di scusare piuttosto che di condannare.
 
 
2.  Agli, operai della prima ora che mormoravano perché quelli dell’ultima erano trattati alla loro stregua, il padrone della vigna diceva:  » non posso fare, delle cose mie quello che voglio? o il tuo occhio è cattivo perché io sono buono?  » (Mt 20, 15). Se l’occhio è maligno, il cuore non è benevolo verso il prossimo; di conseguenza il bene degli altri suscita scontento, gelosia, invidia. La carità, al contrario,  » non è invidiosa  » (1 Cr 13,4), anzi gode del bene altrui, lo favorisce, lo procura, anche se facendo questo dovesse scapitarne personalmente,  » Rallegrati del bene degli altri come se fosse tuo – dice S. Giovanni della Croce – cerando sinceramente che questi siano preferiti a te in tutte le cose… Cerca di fare ciò specialmente con coloro che ti sono meno simpatici  » (Ct 13 ).

La condotta del cristiano verso il prossimo deve riflettere la benignità e l’amore di Dio, per la bontà del quale siamo stati salvati (Tt 3, 4). Benignità nei sentimenti, nei pensieri, nelle parole, nelle azioni, come continuamente inculca la Sacra Scrittura. S. Pietro esorta a deporre  » le invidie e ogni maldicenza  » ( 1 Pt 2, 1 ). S. Giacomo raccomanda:  » Non sparlate gli uni degli altri, o fratelli. Chi sparla del fratello, o giudica il fratello, parla contro la legge  » ( Gc 4, 11 ). La legge della carità che Cristo ha lasciato ai suoi discepoli, è lesa da simili comportamenti; di conseguenza l’amicizia con Cristo viene diminuita, raffreddata. Come dimenticare le sue parole:  » Voi siete miei amici, se farete quello che io vi comando  » (Gv 15, 14)? E il suo comandamento più caro è appunto quello dell’amore scambievole. Anche S. Paolo insiste:  » Agite senza mormorazioni e critiche, affinché siate irreprensibili e semplici, figli di Dio immacolati  » (Fl 2, 14-15). Immacolati nella pratica di una carità benevola e pura che cerca il bene altrui e non l’appagamento del proprio cuore o il proprio tornaconto.
La carità infine è benigna nei modi affabili e cortesi, è benigna nel seminare bontà dovunque, anche dove sembra che questa manchi. In ogni uomo, fosse pure malvagio, c’è del bene, è l’orma di Dio che l’ha creato. È compito della bontà scoprire e far riaffiorare questo bene. La bontà del cristiano deve essere simile a quella di Dio che crea il bene in quelli che ama.
 
 
PREGHIERE: Aiutami, Signore, a non vedere nel mio prossimo nient’altro che le virtù e le buone opere, e a coprirne i difetti con la considerazione dei miei peccati. In tal modo, mi condurrai a poco a poco a una grande virtù, a quella cioè di considerare gli altri migliori di me: virtù che comincia sempre da qui, ma per questo ho bisogno del tuo aiuto, Signore, senza del quale non posso far nulla, tanto mi è necessario. Aiutami a fare il possibile per meritarla, allora tu che non ti rifiuti a nessuno, me la darai senza dubbio.
cf  S. TERESA DI GESÙ, Vita 13, 10
 
 
O Signore, per rendermi favorevole il tuo giudizio, o piuttosto per non essere giudicata affatto, voglio avere sempre pensieri caritatevoli, perché tu hai detto:  » Non giudicate e non sarete giudicati « . Quando il demonio cerca di mettermi davanti agli occhi dell’anima i difetti di qualche sorella…, aiutami a cercare subito le sue virtù, i suoi buoni desideri… Se l’ho vista cadere una volta, ella può ben aver riportato un gran numero di vittorie che nasconde per umiltà, e perfino ciò che mi pare un errore può benissimo essere, a causa dell’intenzione, un atto di virtù.

S. TERESA DI GESU’  B., Scritto Autobiografico C 291. 290
 
 
Fare del bene significa rappresentare perfettamente te, o Gesù, Figlio di Dio, Figlio di Maria, Maestro universale e Salvatore del mondo. Non c’è scienza, non c’è ricchezza, non c’è forza umana che uguagli il valore della bontà: dolce, amabile, paziente. Può subire mortificazioni o contrasti l’esercizio della bontà, ma finisce sempre col vincere, perché la bontà è amore, e l’amore tutto vince… Fa’, o Signore, che non cada nell’errore di credere la bontà, l’affabilità, una piccola virtù. Essa è una grande virtù perché è dominio di se, è disinteresse personale, ricerca fervorosa di giustizia, espressione e splendore di fraterna carità; nella tua grazia, o Gesù, è il tocco dell’umana e divina perfezione.
 
cf GIOVANNI XXIII, Breviario p 373

LA CARITÀ NON SI VANTA
 
1.   » ….la carità non si vanta, non si gonfia  » (1 Cr 13, 4). È la vanagloria che cerca il proprio vanto, mentre la carità agisce  » non per piacere agli uomini, ma a Dio  » ( 1 Ts 2, 4). La vanagloria mette l’io al centro della vita; la carità vi mette Dio e il prossimo. La vanagloria si gonfia di quel poco che ha; la carità si vuota di quanto ha per darlo agli altri. La vanagloria: è ricerca di se, la carità è dedizione di se a Dio e ai fratelli. Carità e vanagloria vanno in direzione opposta e si elidono a vicenda,  » L’anima innamorata -dice San Giovanni della Croce – è un’anima dolce, mite, umile  » (Par 1, 27).
Quanto più la carità è profonda, tanto più il cristiano si dona agli altri, serve il prossimo, dà a chi è nel bisogno con semplicità e delicatezza, senza far valere le sue prestazioni; anzi cerca di farle passare inosservate.  » Guardatevi dall’ostentare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro « , ha detto Gesù (Mt 6, 1 ), La carità non suona la tromba per annunciare le sue opere buone.  » Quando fai l’elemosina non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, perché la tua elemosina resti nel segreto; e il Padre tuo che vede nel segreto, ti ricompenserà  » (ivi 3-4 ). La carità non dona con alterigia, ma si mette alla pari. Il fratello dona al fratello, godendo di dividere con lui quello che possiede e non fa pesare la sua superiorità perché è convinto di non averne;  » Se uno pensa di essere qualcosa mentre non è nulla, inganna se stesso  » (Gl 6, 3). La carità viene da Dio e Dio è verità, perciò dove c’è carità sincera non può esserci inganno di vanagloria.
 » Chi si gloria, si glori nel Signore « , dice S. Paolo (2 Cr 10, 17). La gloria del cristiano è amare e beneficare il prossimo, ma non se ne gonfia; è invece grato al prossimo che gliene dà l’occasione e a Dio che con la sua grazia lo sostiene nel bene.
 
 
2.  » Non cerchiamo la vanagloria, provocandoci gli uni con gli altri, invidiandoci gli uni gli altri  » (Gl 5, 26). Chi è ambizioso non ha riguardo per gli altri, si antepone a tutti, vuol primeggiare e farsi valere. La sua condotta indispone e provoca il prossimo che si vede leso nei suoi diritti; di qui le divisioni, le invidie, gli antagonismi. La carità, al contrario, –  » non manca di rispetto « ,(1Cor 13, 5) ad alcuno, e piuttosto che rivaleggiare con gli altri o preferirsi ad uno solo, sceglie per se l’ultimo posto. La carità ispira sentimenti delicati verso il prossimo, non disprezza nessuno, rispetta e onora tutti.  » Amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, prevenitevi a vicenda nel rendervi onore « , scrive s. Paolo ai Romani (12,10); e ai Filippesi raccomanda:  » ognuno per umiltà consideri gli altri superiori a se  » (2, 3). Invece di lotte meschine per scavalcarsi a vicenda, i cristiani, da veri fratelli, fanno a gara per cedersi onori e vantaggi.

Per incoraggiare all’umiltà nei rapporti scambievoli, S. Paolo pone sotto gli occhi dei fedeli il sublime esempio di Cristo:  » Abbiate in voi i sentimenti che furono in Cristo Gesù: lui di natura divina, non tenne per se gelosamente l’essere pari a Dio; ma annientò se stesso prendendo la natura di schiavo  » (Fl (2,5-7). Il Figlio di Dio ha amato e salvato gli uomini facendosi simile a loro, uno di loro. Egli addita la strada: per amare efficacemente il prossimo, il cristiano, deposta ogni ambizione, deve farsi piccolo e umile, mettersi alla pari di tutti perché tutti lo sentano fratello. Questa è l’unica via non solo della carità fraterna: ma anche di ogni apostolato.  » Il rispetto e l’amore – insegna il Vaticano II – deve estendersi anche a coloro che pensano o agiscono diversamente da noi nelle cose sociali,  politiche o anche religiose, poiche con quanta maggiore umanità e amore penetreremo nei loro modi di sentire, tanto più facilmente potremo con essi iniziare un colloquio  » ( GS 28 ). Ma non può illudersi di saper amare e rispettare i lontani, chi non ama e rispetta i vicini con i quali convive.
 
PREGHIERE:  » Se la coscienza non ci rimorde, noi abbiamo piena fiducia in Dio  » … Fa, o Signore, che la coscienza mi risponda in tutta verità che io amo i fratelli, che in me c’è l’amore fraterno, non finto ma sincero, quello che ricerca il bene del fratello, senza aspettare da lui nessuna ricompensa ma solo la sua salvezza.
 » Noi abbiamo piena fiducia in Dio; qualunque cosa domanderemo l’avremo da lui, perché ne osserviamo i comandamenti « . O Signore, fa’ che io faccia questo non davanti agli uomini, ma là dove tu mi vedi cioè nel cuore… Quali sono i tuoi comandamenti? … » Vi do un comandamento nuovo, che vi amiate l’un l’altro « . È proprio la carità il comandamento di cui parli e che tanto ci raccomandi. Dammi, o Signore, la carità fraterna e ciò davanti a te, là dove tu vedi; fa’ che interrogando il mio cuore con retto giudizio mi senta rispondere che la radice della carità fraterna, da cui nascono frutti di bontà, è in me; allora avrò fiducia in te e tu mi accorderai tutto ciò che ti domanderò, perché osservo i tuoi comandamenti.

S. AGOSTINO, In 1 Io 6, 4
 
 
O Dio, Creatore nostro, tu disponi le cose in modo che chi potrebbe insuperbire del dono che ha, si umili per quello che non ha; mentre sollevi uno concedendogli una grazia, lo sottometti ad un altro in cosa diversa… Tu disponi le cose in modo tale che ognuna sia di tutti, e per esigenza di carità, tutte siano di ognuno, e ciascuno possieda in un altro ciò che non ha ricevuto direttamente, ed egli umilmente dia in possesso agli altri quello che ha ricevuto da te. O Signore, fa’ che amministriamo bene la tua grazia multiforme, cioè che siamo convinti che i doni dati a noi sono degli altri, perché ci sono dati a vantaggio loro… Fa’ che ci serviamo a vicenda per mezzo della carità. Infatti la carità ci libera dal giogo della colpa quando vicendevolmente ci sottomette a servirci per amore, e così riteniamo che i doni altrui siano anche nostri e agli altri offriamo i nostri come se fossero cosa loro.

S. GREGORIO MAGNO, Moralia XXVIII, 22


LA CARITÀ NON È EGOISTA
 
 
1. La carità  » non cerca il suo interesse  » (1 Cr 13, 5). Essere sensibili alle necessità altrui, essere pronti a rispettare e a servire il prossimo non giustifica la pretesa di volere il contraccambio. La carità si dona con generosità agli altri, ma non reclama nulla per se.  » Fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e il vostro premio sarà grande e sarete figli dell’Altissimo; perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi  » (Lc 6, 35). La carità non è un dare per avere, ma un dare senza calcolo e interesse, che si ritiene sommamente ripagato dall’onore di poter servire e amare Dio nel prossimo. Chi ha il cuore pieno di carità ama, serve, si prodiga per il gusto di amare e servire Dio nelle sue creature, per la gioia d’imitare la sua prodigalità infinita e di sentirsi suo figlio. Quale ricompensa maggiore che condividere con Gesù il titolo di  » figlio dell’Altissimo  » (Lc 1, 32)?

Per avere quest’unica ricompensa, il cristiano sfugge ogni ricompensa terrena e mira a beneficare soprattutto quelli dai quali non può sperare nessun ricambio.  » Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici, né i tuoi fratelli…, né i vicini ricchi, perché non avvenga che anch’essi invitino te e ti venga reso il contraccambio. Ma quando fai un convito, invita poveri, storpi, zoppi e ciechi; e sarai beato perché non hanno da contraccambiarti  » (Lc 14,12-14). La logica del Vangelo è immensamente distante da quella del calcolo; ma sono ben pochi quelli che hanno il coraggio di seguirla integralmente.

 » La vostra condotta sia senza avarizia  » esorta l’ Apostolo (Eb 13, 5), e raccomanda di vivere nella carità  » senza cercare i propri interessi, ma ciascuno quello degli altri » (FiI 2, 4). È sempre il germe dell’egoismo che rende avari e interessati perfino nel compiere il bene; esso si nasconde e fa strage anche nel cuore delle persone devote: isterilisce la carità, indura gli animi, spegne la compassione per i bisogni e le sofferenze altrui. Può allora ripetersi il fatto del levita e del sacerdote che, senza alcun pensiero per il ferito incontrato lungo la strada, tirano dritto andandosene per i fatti loro. 
 
 
2.  » Mediante la carità fatevi servi gli uni degli altri  » (Gl 5,13 ). Mentre l’egoismo rinchiude l’uomo in se stesso e nella stretta cerchia dei suoi interessi, la carità lo spinge a dimenticarsi per aprirsi: alle necessità del prossimo e mettersi a sua disposizione. La carità libera l’uomo dalla schiavitù dell’egoismo per impegnarlo in un generoso servizio del prossimo. È Gesù che ha dato al mondo l’esempio supremo del servizio; lui che essendo Dio si è fatto servo e ha detto:  » Io sto in mezzo a voi come uno che serve  » (Lc 22,27). E insieme ne ha dato anche il comando:  » Chi vorrà diventare grande tra voi, si farà vostro servo… Così come il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire, e dare la sua vita in riscatto per molti  » (Mt 20,27-28 ). Il servizio non è un elemento secondario o facoltativo della sequela di Cristo, ma essenziale; tanto essenziale che, secondo la parola del Signore, la grandezza del cristiano sarà proporzionata alla generosità del suo  » farsi servo « . Non è un servizio che avvilisce, ma che nobilita perché frutto dell’amore e perché l’uomo non può realizzarsi pienamente  » se non attraverso un dono sincero di sé  » (GS 24 ); È un servizio che innalza il cristiano fino ad assimilarlo a Cristo, conducendolo ad una dedizione simile alla sua.

La prestazione disinteressata dei credenti deve testimoniare al mondo il valore della carità cristiana e portare a ogni uomo un’eco dell’amore di Cristo, dell’amore dèl Padre celeste;  » La presenza dei cristiani nei gruppi umani – afferma il Vaticano II -, deve essere animata da quella carità, con la quale Dio ci ha amati: egli vuole appunto che anche noi reciprocamente ci amiamo con la stessa carità. Ed effettivamente la carità cristiana si estende a tutti… senza prospettive di guadagno o di gratitudine. Come Dio ci ha amati di amore gratuito, così anche i fedeli con la loro carità devono preoccuparsi dell’uomo, amandolo con lo stesso sentimento, con cui Dio ha cercato l’uomo  » (AG 12).
 
PREGHIERE: O Dio, la tua bontà e la tua eterna volontà non cerca né vuole altro che la nostra santificazione, e permette che il demonio ci faccia tribolare e perseguitare dagli uomini solo perché in noi si provi la virtù dell’amore e della vera sapienza, e perché l’amore imperfetto venga a perfezione.

Insegnaci,o Dio, ad amare te per te stesso, in quanto tu sei somma ed eterna bontà e degno di essere amato, e il prossimo per te e non per propria utilità, né per diletto, né per piacere che si trovi in lui, ma in quanto è  creatura amata e creata da te, somma eterna bontà, e servire lui e sovvenirlo di quello che a te non può servire. Onde, poiché a te non possiamo fare utilità, insegnaci a farla al prossimo nostro.
Dacci la perfezione dell’amore! E quando l’amore è così perfetto, non lascia di amare né di servire, né per ingiuria né per dispiacere che gli sia fatto, né perché non trovi diletto e piacere nel prossimo, poiché attende solo di piacere a te.

cf S.CATERINA DA SIENA, Epistolario 151, v 2, p 373.
 
 
Come tu, Signore, ci hai sempre preferito a te stesso, e lo fai ancora ogni volta che ti dai a noi nel santo Sacramento facendoti nostro cibo, così vuoi che noi abbiamo gli uni per gli altri un amore tanto grande che preferiamo sempre il prossimo a noi stessi. E come tu hai fatto tutto quello che potevi per noi, eccetto il peccato – poiché non lo dovevi né potevi fare – così vuoi che noi facciamo tutto quello che possiamo gli uni per gli altri, eccetto il peccato. Fa’ dunque, o Signore, che esclusa ogni tua offesa, il mio amore fraterno sia così fermo, cordiale e solido che non tralasci mai di fare o di soffrire qualsiasi cosa per il prossimo.
 
Insegnami a testimoniare il mio amore con i fatti, procurando al prossimo tutto quel bene che posso, pregando per lui e servendolo in ogni occasione: Rendimi pronto a spendere la vita per i fratelli, a impegnarmi per loro senza alcuna riserva. Non solo, ma a lasciarmi impegnare secondo il volere degli altri, per amore, poiché questo ci hai insegnato tu, benignissimo Salvatore, morendo sulla croce.
 
cf S. FRANCESCO DI SALES, Trattenimenti 4, 2. 9

LA CARITÀ NON SI ADIRA

1. Quando Giacomo e Giovanni, sdegnati contro i Samaritani che non avevano accolto il Maestro, dissero:  » Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi? « , egli  » si voltò e li rimproverò  » (Lc 9, 54- 55). Venuto a salvare e non a perdere, venuto a guarire i malati nell’anima e nel corpo e a redimere i peccatori, Gesù non usa mezzi violenti, ma si presenta al mondo vero  » Servo di Jahvé  » che non grida, non spezza la canna già rotta, né spegne il lucignolo fumigante (Mt 12,19-20).
Con dolcezza infinita s’insinua nei cuori, istruisce, ammonisce, addita la via della salvezza e a tutti quelli che lo seguono ripete:  » Il mio giogo è dolce, e il mio carico leggero  » (Mt 11,30).

La dolcezza è il fiore della carità; è una partecipazione della soavità infinita con cui Dio guida e governa tutte le cose. Nessuno vuole il bene dell’uomo con tanta forza come Dio, e tuttavia egli non lo vuole con durezza, rigidità o violenza, ma con soavità, rispettando la libertà della sua creatura, sostenendo i suoi sforzi, attendendo con longanimità infinita la sua adesione alla grazia. Gesù ne ha dato al mondo l’esempio più convincente, particolarmente nella sua passione quando  » oltraggiato non rispondeva con oltraggi, soffrendo non minacciava  » ( 1 Pt 2, 23 ). Pietro, il quale ne era Stato testimone oculare e al momento della cattura del Maestro si era sentito dire:  » Rimetti la spada al suo posto  » (Mt 26,52), ne è rimasto così colpito da vincere per sempre la sua indole focosa. Lo attestano le sue frequenti esortazioni alla mitezza evangelica. Ai domestici raccomanda di stare soggetti ai padroni  » non solo a quelli buoni e miti, ma anche a quelli intrattabili  » ( 1 Pt 2, 18). Alle donne di stare sottomesse ai loro mariti con  » uno spirito di mitezza e di pace, che è prezioso agli occhi di Dio  » (ivi 3,4); a tutti di rispondere  » con mansuetudine e rispetto  » (ivi 16 ), anche a chi tormenta ingiustamente. S. Giacomo gli fa eco:  » La sapienza che viene dall’alto… è pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia  » ( Gc 3, 17 ). I due apostoli avevano imparato da Cristo lo stile della carità.


2. La carità  » non si adira  » (1 Cor, 13,5), perciò S. Paolo raccomanda:  » Scompaia da voi ogni asprezza, sdegno, ira, clamore e maldicenza con ogni sorta di malizia  » (Ef 4, 31 ). Tutti vizi opposti alla carità, che provengono dalle passioni non domate, le quali sotto l’urto delle contrarietà rompono i freni. L’ira non contenuta è fonte di parole e atti inconsulti, violenti che turbano fortemente i rapporti fraterni. Chi ama il prossimo preferisce fare violenza a se stesso per vincere l’ira nascente; piuttosto che ferire gli altri con l’asprezza e la violenza;
Tuttavia la carità non esclude, anzi talvolta esige una giusta fermezza, quando è necessario correggere o reprimere il male, soprattutto se sono in gioco i diritti di Dio o quelli dei piccoli e dei deboli. Anche Gesù s’indignò contro i profanatori del tempio e lanciò dure invettive contro i farisei che cori la loro ipocrisia e falsa interpretazione della legge opprimevano e ingannavano il popolo. Ma mentre in Cristo lo sdegno era perfettamente dominato dalla ragione e dalla volontà, nell’uomo, a motivo del disordine portato dal peccato, non è così; perciò è sempre pericoloso dar campo all’ira.  » Adiratevi, ma non peccate – dice l’Apostolo -; non tramonti il sole sopra la vostra ira, e non date occasione al diavolo  » (Ef 26-27 ). Se per la fragilità umana qualche scintilla si accende, bisogna affrettarsi a spegnerla per impedire che faccia rovine nel cuore proprio e altrui, dando occasione al peccato. Il diavolo si serve dell’ira per suscitare rancori e discordie che rompono la carità. Nel libro dei Proverbi si legge:  » Una parola gentile calma l’ira; una parola pungente eccita la collera. – L’uomo collerico suscita litigi; quello longarine seda una contesa. – Favo di miele sono le parole gentili, dolcezza per l’anima e refrigerio per il corpo  » (15, 1.18; 16,24). La meditazione di queste sentenze, piene di sapienza perché ispirate dallo Spirito santo, è molto utile per imparare a frenare se stessi e a conformarsi alla mitezza di Cristo che ha detto:  » Imparate da me, che sono mite ed umile di cuore  » (Mt 11, 29).
 
 
PREGHIERE: O carità ineffabile del Dio nostro! …E che m’hai tu insegnato, Carità increata? m’hai insegnato che io, come agnello, pazientemente sostenga non solamente le parole aspre, ma anche le percosse dure e aspre, le ingiurie ei danni. E con questo vuoi ch’io sia innocente e immacolata, cioè senza nuocere a nessuno dei prossimi e fratelli miei; non solamente a quelli che non ci perseguitano ma a coloro che ci fanno ingiuria: e vuoi che per loro preghiamo come per speciali amici che ci danno buono e grande guadagno. E non solo nelle ingiurie e danni temporali vuoi che io sia paziente e mansueta, ma generalmente in ogni cosa la quale sia contro la mia volontà: come tu non volevi che in veruna cosa fosse fatta la tua volontà ma quella del Padre tuo…
O dolcissimo amore Gesù, fa’ che sempre s’adempia in noi la volontà tua, come sempre si fa in cielo dagli Angeli e Santi tuoi.

S.CATERINA DA SIENA, Epistolario 132, v 2, p 299-300
 
 
O carità, tu non cerchi il tuo interesse, non ti adiri… e in cambio del male ricevuto colmi di bene.. O carità che tutto sopporti, tu dissimuli, aspetti, non lasci cadere chi sbaglia; o carità, perchè benigna, attiri, conquisti, ti muovi dall’errore. O carità benigna, tu ami anche coloro che devi sopportare e li ami ardentemente. Sì, tu piangi ma di amore, non già di dolore; piangi di desiderio, piangi con coloro che piangono.
O carità, madre buona, sia che tu sostenga i deboli, sia che stimoli i provetti, sia che riprenda gli inquieti, pur mostrandoti diversa con persone diverse, ami tutti come figli! Quando riprendi sei mite, quando accarezzi sei semplice; sei solita incrudelire con pietà, placare senza inganno, sai adirarti con pazienza, indignarti con umiltà; provocata non ti lasci offendere, disprezzata, richiami. Proprio tu; infatti, sei la madre degli uomini e degli angeli. Tu hai pacificato non solo le cose della terra ma anche quelle del cielo. Sei tu che placando Dio verso l’uomo, hai riconciliato l’uomo con Dio.

ANONIMO (sec. XIII), De Charitate 5, 26-7.

CARITÀ E GIUSTIZIA

1. La carità non solo  » non gode dell’ingiustizia  » (1 Cr 13,6), ma ne soffre e fa tutto il possibile per difendere e promuovere la giustizia. Gesù ha presentato la sua missione come un’opera di salvezza e di giustizia soprattutto in favore dei poveri, dei prigionieri, degli oppressi, liberandoli dalla schiavitù e dalla cecità del peccato, e anche dalla prepotenza dei grandi e dei superbi (Mt 12, 18-20). Egli è venuto a instaurare il regno dell’amore e della giustizia, aperto a tutti, senza alcuna distinzione; e se c’è una preferenza è proprio per gli umili, gli indigenti, i tribolati. La Chiesa segue la stessa condotta:  » fondata nell’amore del Redentore, contribuisce ad estendere il raggio d’azione della giustizia e dell’amore  » in tutto il mondo (GS76); e si preoccupa di  » istruire i fedeli all’amore di tutto il Corpo mistico di Cristo, specialmente delle membra povere, sofferenti e di quelle che sono perseguitate a causa della giustizia  » (LG23).

Senza giustizia non vi può essere né carità, né vera vita cristiana. S. Giacomo riprendeva fortemente i fedeli che nelle loro adunanze riserbavano un posto distinto ai ricchi, trascurando i poveri.  » Dio non ha forse scelto quelli che sono poveri nel mondo per farli ricchi con la fede ed eredi del Regno che ha promesso a coloro che lo amano ? Voi invece avete disprezzato il povero! …Se fate distinzione di persone, commettete un peccato  » (Gc 2,5-9). È il peccato dell’ingiustizia di cui la carità cristiana non deve mai macchiarsi.  » Chi opprime il povero offende il Creatore « , dice il libro dei Proverbi (14,31). II Concilio Vaticano II ha inculcato con molta insistenza questi principi e vuole che essi penetrino  » l’intera vita dei credenti, anche quella profana, col muoverli alla giustizia e all’amore specialmente verso i bisognosi  » (GS 21). Ciò era molto sentito nella Chiesa primitiva, nella quale i fedeli, per spontaneo impulso di carità, mettevano, in comune i loro beni, al punto che  » nessuno tra loro era bisognoso  » (At 4, 34 ). San Paolo nella lettera agli Ebrei raccomanda di perseverare in questo spirito:  » Non scordatevi della beneficenza e della comunione dei beni, perchè il Signore si compiace di tali sacrifici  » (13,16).


2. Ai farisei che avevano ridotto la religione a osservanze materiali, come la purificazione delle stoviglie, Gesù diceva:  » Piuttosto date in elemosina quel che c’è dentro, ed ecco, tutto sarà puro per voi  » (Lc 11,41). Poco o nulla valgono gli atti di culto se non sono accompagnati dalla carità e dalla giustizia, poiche solo queste virtù purificano il cuore dell’uomo dall’egoismo e dalla cupidigia, lo inclinano ad onorare Dio con sincerità e ad amare il prossimo non a parole, ma con i fatti.  » Se un fratello o una sorella sono nudi e privi del cibo quotidiano, e uno di voi dice loro: « Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi » ,senza dare loro il necessario per il corpo, che giova?  » (Gc 2,15-16). Senza le opere, religione e carità sono vane.
Il soccorso ai poverì non deve essere considerato solo come un atto di carità più o meno facoltativo, ma anche come uno stretto dovere di giustizia.  » Dio – dice il Concilio – ha destinato la terra e tutto ciò che essa contiene all’uso di tutti gli uomini e popoli… Perciò l’uomo, usando di questi beni, deve considerare le cose esteriori che legittimamente possiede, non solo come proprie, ma anche come comuni, nel senso che possano giovare non unicamente a lui, ma anche agli altri  » (GS 69). È quello che S. Paolo proponeva alla Chiesa di Corinto, invitandola ad aiutare quella di Gerusalemme:  » Non si tratta invero di disagiare voi per sollevare gli altri, ma perchè vi sia eguaglianza; nel momento attuale la vostra abbondanza scenda sulla loro indigenza  » (2 Cr 8, 13-14). Se tutti gli uomini sono fratelli, perchè tutti figli di Dio, la loro stessa fraternità esige che mentre alcuni nuotano nell’abbondanza, altri non periscano nella miseria. Perciò la Chiesa insegna  » che gli uomini hanno l’obbligo di aiutare i poveri e non soltanto con il loro superfluo… Spetta a tutto il popolo di Dio, dietro la parola e l’esempio dei Vescovi, di sollevare, nella misura delle proprie forze, la miseria di questi tempi, dando, secondo l’uso antico della Chiesa, non solo del superfluo, ma anche del necessario  » (GS 69.88). I doni offerti ai poveri  » sono un sacrificio accetto e grladito a Dio  » (Fl 4, 18 ).
 
 
PREGHIERE: O carità, tu dilati il cuore nell’amore di Dio e dilezione del prossimo tuo… Tu sei benevola, pacifica e non iraconda; tu cerchi le cose giuste e sante e non le ingiuste; e come le cerchi, così le serbi in te, perciò riluce nel petto tuo la margarita della giustizia…

O carità, tu ami tutti caritativamente come figlioli… Sei una inadre che concepisci nell’anima i figlioli della virtù e li partorisci per onore di Dio nel prossimo tuo…
Col lume di discrezione, sai dare ad ognuno secondo ch’è atto a ricevere; caritativamente correggi facendoti inferma con gli infermi, insieme lusingando e correggendo secondo che vuole la giustizia e la misericordia.

s. CATERINA DA SIENA, Epistolario 33,v 1, p 150-1 .153
 
 
 » Ebbi fame e mi deste da mangiare « . O Signore, tu ci dai qui il vero motivo dell’elemosina, il più forte di tutti. Ce ne sono altri: bisogna dare per obbedire al tuo ordine tante volte ripetuto; bisogna obbedire per imitare te che dai così generosamente…; bisogna dare perchè il tuo amore ci obbliga a riversare l’amore che abbiamo verso di te sugli uomini, tuoi figlioli amatissimi; bisogna dare per bontà, unicamente per praticare, coltivare questa virtù che dev’essere amata in se stessa, in quanto è uno dei tuoi attributi una delle tue divine bellezze, una delle tue perfezioni e per conseguenza, te stesso, o mio Dio.
Ma tra tutti i motivi che abbiamo per dare, quello che più ci spinge, quello che… ci infiamma sopra ogni cosa, è che tutto ciò che facciamo al prossimo lo facciamo a te, o Gesù: è quanto basta per mutare, riformare tutta la nostra vita, orientare tutte le nostre azioni, le nostre parole, i nostri pensieri. Tutto quello che facciamo al prossimo, lo facciamo a te, o Gesù!

C. DE. FOUCAULD, Meditazioni sul Vangelo, Op: sp. p 186

CARITÀ E  VERITÀ
 
1. La carità  » non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità  » (1 Cr 13,6). Ecco due qualità chei non si possono separare perchè la giustizia suppone la verità e viceversa, mentre, dove c’è l’ingiustizia c’è l’inganno, la frode o almeno l’illusione di essere nel vero.
 
In Dio carità è verità si identifìcano nel modo più assoluto perché in lui tutto è amore, tutto è verità. Il Verbo è presentato da Giovanni come  » la luce vera che illumina ogni uomo  » (1,9); non luce fredda, ma luce che è fiamma di carità, perchè « Dio è amore  » (l Gv 4,16). E la luce vera, ossia la verità divina, il Figlio di Dio l’ha, portata nel mondo attraverso il ministero del suo amore.
Dio, poiché ama l’uomo, lo mette nella verità e lo conduce al bene. L’amore e la bontà verso il prossimo  » non devono in alcun modo renderci indifferenti verso la verità e il bene. Anzi, lo stesso amore spinge i discepoli di Cristo ad annunziare a tutti gli uomini la verità che salva  » (GS 28 ). Questo insegnamento del Vaticano II mette a fuoco il dovere di non tradire mai la verità, sotto pretesto di carità. Del resto non sarebbe vero amore quello che non porta alla verità. Ma nello stesso tempo non si può imporre la verità con la forza; bisogna piuttosto pazientare con carità longanime e a poco a poco, attraverso l’amore, aprire un varco alla luce. Bisogna anche  » distinguere tra l’errore, che deve essere sempre rifiutato, e l’errante, che conserva sempre la dignità di persona, anche quando è inquinato da false e meno accurate nozioni religiose  » (ivi).
 
S. Paolo esorta a professare  » la verità nella carità  » (Ef 4, 15); la difesa della verità non deve mai andare a scapito della carità. Anche nella disparità dei pareri, i fedeli devono sempre cercare  » di illuminarsi vicendevolmente in un dialogo sincero, mantenendo sempre tra loro la carità e avendo cura in primo luogo del bene comune  » (GS 43). Armonizzare carità e verità non è sempre facile alla limitatezza umana, ma è una meta cui bisogna tendere con lo sguardo fisso a Dio, il quale è verità e amore, e per mezzo dell’amore conduce l’uomo alla verità e al bene.


2.  » Deponendo la menzogna, dite ciascuno la verità al prossimo; perchè siete membra gli uni degli altri  » (Ef 4, 25). La menzogna è peccato non solo contro la giustizia, ma anche contro la carità, perchè essendo membra di uno stesso corpo, ed, essendo fratelli, i cristiani sono in debito della verità l’uno verso l’altro. La menzogna non favorisce l’unione fraterna, ma la ferisce e la distrugge; chi si sente ingannato non può pensare di essere amato. Anche S. Pietro raccomanda ai fedeli di deporre  » ogni malizia, ogni frode e finzione  » ( 1 Pt 2, 1 ). Ed è sintomatico che tanto lui come S. Paolo presentano la rinuncia ad ogni genere di falsità come la caratteristica del cristiano rigenerato in Cristo a vita nuova, il quale deve essere come un bambino appena nato (ivi 2) e deve  » rivestire l’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella santità della verità  » (Ef 4, 24 ). Tutto ciò che esce dalle mani di Dio ha lo splendore della verità e il calore della carità. Menzogna e vita cristiana sono contraddittorie, come lo sono menzogna e carità.
 » La carità non abbia finzioni: fuggite il male, aderite al bene  » (Rm 12, 9). La carità non può battere vie tortuose che in apparenza tendono al bene, ma nascostamente perseguono il male. Cortesie, complimenti, favori prodigati per raggiungere mire ambiziose o di guadagno, parole che simulano affetto e stima ma celano secondi fini e presto si mutano in mormorazioni o calunnie sono azioni indegne del cristiano, la cui condotta deve essere tutta limpidezza e sincerità.
La carità deve essere così amante della verità che, esigendolo le circostanze, sappia anche scoprire e denunciare il male per difendere dall’inganno i deboli e i semplici che possono rimanerne vittime. S. Paolo indica la professione della verità nella carità, come il grande mezzo per crescere  » in lui che è il capo, Cristo  » (Ef 4, 15). Il cristiano infatti, membro di Cristo, non può vivere e non può crescere in lui se non partecipando alla sua stessa vita, vita di verità e di amore, vita che testimonia e attua la verità con le opere della carità.
 
 
PREGHIERE: O Signore, quando vedessi peccare il prossimo, scuserò in lui l’intenzione la quale è nascosta e non si può vedere, e se anche vedessi apertamente questa intenzione essere storta e cattiva, fa’ che sappia scusare la tentazione dalla quale nessun mortale è escluso.
E quando qualcuno mi verrà a dire i difetti del prossimo mio, io, Signor mio, non lo voglio udire, e gli risponderò che faccia orazione per lui e preghi il Signore che prima io emendi me stessa. E, più facilmente voglio dire il difetto al prossimo che sbaglia che parlarne con altri, perché invece di rimediarvi se ne commettono molti altri e molto più gravi di quelli di cui si parli!

S. M. MADDALENA DE’ PAZZI, Probatione, Op. v 5, p 237

Signore, fa’ che io ami e compatisca il peccatore non già amando in lui il peccato, ma perseguitando il peccato per amor suo. Quando amo un infermo, ne combatto la febbre, perchè risparmiando la febbre non amerei l’infermo.
Dirò dunque al mio fratello la verità senza reticenze. Sì, con franca schiettezza gli dirò ciò che è vero; ma fino alla correzione pazienterò con lui. Il giusto, mentre riprende il peccatore, ne tollera caritatevolmente i peccati, poiche la carità tutto sopporta (Sr 4,20).

Riprenderò, Signore, sì riprenderò; ma mentre per la carità userò rigore, non si diparta dal mio cuore la mitezza. Chi più pietoso del medico che usa il ferro? Piange per dover tagliare e taglia, piange per dover bruciare e brucia. Non è crudeltà questa. È senza pietà con la piaga perché la persona guarisca, poiche accarezzando la piaga si perde la persona. Concedi anche a me, o Signore, di amare in ogni modo il fratello che ha peccato, di non allontanare dal mio cuore la carità verso di lui e nello stesso tempo, se è necessario, di saperlo correggere (Sr 83,8).

cf s. AGOSTINO


LA CARITÀ TUTTO SCUSA

1.  » Soprattutto siate saldi in una carità vicendevole, perchè la carità copre una moltitudine di peccati  » (1 Pt 4,8). La carità ripara e copre i peccati propri e anche i peccati altrui. Nel libro dei Proverbi si legge:  » L’amore ricopre ogni colpa  » (10, 12). Della donna peccatrice Gesù ha detto:  » Le sono perdonati i suoi molti peccati, poiché ha amato molto  » (Lc 7, 47). Qualche cosa di simile la carità opera anche per i peccati del prossimo. Anzitutto la carità cerca, per quanto possibile, di scusare i falli altrui, come una madre cerca di scusare gli errori dei figli.  » Padre, perdonali perché non sanno quello che fanno « (Lc 23, 34), implorava Gesù sulla croce per tutti quelli che avevano collaborato alla sua passione. Non erano esclusi da questa preghiera l’apostolo traditore che, vissuto nella sua intimità, ne conosceva troppo bene la bontà e la grandezza, i giudici che l’avevano condannato pur essendo convinti della sua innocenza, il popolo che dopo aver ascoltato i suoi insegnamenti e goduto dei suoi miracoli, aveva voluto la sua morte. Invece di calcare la mano sulle responsabilità altrui la carità rende solleciti e industriosi nel cercarne le attenuanti. Quella cura che ognuno spontaneamente usa per scusare i propri errori, la carità insegna ad usarla anche per gli errori altrui.
Ricoprire le colpe o i difetti del prossimo vuol dire anche non parlarne senza necessità, non attirare su di essi l’attenzione degli altri, non essere curiosi di saperne la storia.  » Non ascoltare il racconto delle debolezze altrui – dice S. Giovanni della Croce – e se qualche persona si lamenterà con te di un’altra, potrai pregarla con umiltà di non dirti niente  » (Par 2, 68).
Ma la carità non si accontenta di questo; vuol fare qualche cosa di più positivo; riparare, espiare a imitazione di Cristo  » che prese su di se i nostri peccati per portarli sul legno della croce  » (1 Pt 2,23). Addossarsi le colpe dei fratelli come se fossero proprie per espiarle in sé con la preghiera e la penitenza è l’impegno di chi vuol vivere la carità del Salvatore fino ad associarsi alla sua espiazione vicaria. Con lui, allora, potrà dire a buon diritto:  » Padre, perdona loro « .


2.  » Se il tuo fratello commette una colpa, vai e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà avrai guadagnato il tuo fratello  » (Mt 18, 15). La carità non è connivenza col male; scusare i falli altrui non significa tacita condiscendenza; tacito lasciar fare per amore del quieto vivere o per pusillanimità. Ci sono dei casi – colpe che possono incidere sul bene comune e indurre altri al male – in cui la carità impone il dovere della correzione fraterna. Si tratta, come dice il Vangelo, di guadagnare il fratello; perciò bisogna agire in modo che egli, più che umiliato e rimproverato, si senta amato e quindi ammonito per il suo bene. La correzione fraterna è e deve mostrarsi un vero atto di carità.  » Fratelli – avvisa S. Paolo – qualora uno venisse sorpreso in qualche colpa, voi che avete lo Spirito correggetelo con dolcezza  » (Gl 6, 1). Come sono riprovevoli quelli che per viltà trascurano il dovere della correzione fraterna, lo sono pure quelli che si lasciano trasportare da zelo indiscreto, aspro, pungente.  » Vigila su te stesso – dice l’apostolo – per non cadere anche tu in tentazione  » (ivi 2). Chi ammonisce non deve farlo dall’alto, ma mettendosi sullo stesso piano del colpevole nell’umile consapevolezza della propria fragilità, perchè la tentazione potrebbe sorprenderlo da un momento all’altro e senza il soccorso della grazia potrebbe finire più in basso del fratello.  » Chi crede di star dritto, guardi di non cadere  » (1 Cr 10,12).
La carità  » tutto scusa, tutto crede, tutto spera  » (ivi 13,7). Nel campo della correzione fraterna ciò significa dar fiducia al colpevole, credere alla sua volontà di emendarsi, non inasprirsi per le sue ricadute, non stancarsi di tendergli la mano con fraterna bontà. E se per la sua pertinacia nel male il fratello, come allude il Vangelo, dovesse essere allontanato, la carità non cesserà di seguirlo con cure benevole sempre operando e attendendo un segno di ravvedimento.  » Vivete in pace tra voi « , dice S. Paolo. E aggiunge immediatamente:  » Vi esortiamo, o fratelli: correggete gli sregolati, confortate i pusillanimi, sostenete i deboli, siate longanimi con tutti  » (1 Ts 5, 13). La pace tra fratelli non contraddice al dovere della correzione fraterna ma l’una e l’altra sono frutto della carità evangelica.
 
 
PREGHIERA.  » Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate l’un l’altro « … Questo tuo comandamento, o Cristo, si chiama amore e in virtù di questo amore vengono eliminati i peccati… O Signore, riempimi di carità in tale pienezza che sia pronto non solo a non odiare il fratello ma a morire per lui.. Tu hai dato l’esempio di questa carità, morendo per tutti e pregando per quelli che ti crocifiggevano col dire:  » Padre, perdona loro perchè non sanno quello che fanno « … Questa è la carità perfetta… Questa carità è forse già perfetta al momento in cui nasce ? Essa incomincia ad esistere ma le occorre un perfezionamento; perciò, o Signore,  nutrila, in me, irrobustiscila finché raggiunga la perfezione.

O Signore, fa’ che io ami, allora non potrò che fare del bene. Dovrò forse riprendere qualcuno? Sarà l’amore a operare in me, non il risentimento. Dovrò dargli una punizione corporale? Sarà per educarlo. L’amore della carità non mi consentirà di trascurare chi è indisciplinato… Insegnami, Signore, a non badare alle parole di chi blandisce e all’apparente severità di chi rimprovera; fa’ che sappia guardare alla sorgente, che sappia cercare la radice da cui proviene quell’atteggiamento. Quello blandisce per ingannare, questo rimprovera per correggere…

O carità, la tua regola, la tua forza, i tuoi fiori, i tuoi frutti, la tua bellezza, la tua attrattiva, il tuo alimento, la tua bevanda, il tuo cibo, il tuo abbraccio, non conoscono sazietà. Se ci riempi di diletto mentre ancora siamo, pellegrini, quale sarà la nostra gioia in patria?
 
S. AGOSTINO, In 1 Io 5,2.4; 10; 7

LA CARITA TUTTO SOPPORTA

1.  » Portate i pesi gli uni degli altri, e adempirete così la legge di Cristo  » ( Gl 6, 2). Ogni uomo ha il suo peso da portare: debolezze fisiche e morali, doveri, responsabilità, fatiche, sofferenze che gravano sulle sue spalle; ed ognuno sente il bisogno di una mano amica che lo aiuti a sostenere il suo fardello. La  » legge di Cristo « , che è la legge dell’amore fraterno, esige questo soccorso scambievole per cui il cristiano ha il cuore sempre aperto agli altri, pronto a dimenticarsi per offrire ai fratelli un po’ di aiuto e di conforto.  » Godete con chi è nella gioia – dice S. Paolo -, piangete con chi è nel pianto  » (Rm 12, 15).

La carità porta a farsi  » tutto a tutti  » (1 Cr 9, 22) per adeguarsi non solo alle necessità dei fratelli, ma anche alla mentalità al carattere, ai gusti, alla personalità di ognuno. Amare il prossimo a motivo di Dio, riconoscendo in ogni uomo l’immagine, la creatura, il figlio del Padre celeste, non significa disincarnare la carità riducendola a una forma di amore freddo, stereotipato che abbraccia tutti in massa senza tener conto delle singole persone. E certo che Gesù ha amato tutti gli uomini con amore divino; tuttavia attraverso le pagine del Vangelo si può cogliere che il suo amore assumeva sfumature e modi diversi secondo le persone a cui si rivolgeva. Non era un amore standardizzato il suo e neppure indifferente alle particolari esigenze di ciascuno. Si pensi, ad esempio, alla diversità del suo comportamento verso ogni discepolo, oppure verso gli amici di Betania: non trattava Pietro come Giovanni, o Marta come Maria.
La carità rende attenti a trattare ogni fratello secondo la concretezza della sua situazione individuale – temperamento, sensibilità, qualità, limiti – per fargli sentire il calore di un affetto che si industria di adeguarsi alla sua persona e di alleggerire i suoi pesi.  » Il Dio della fortezza e del conforfo – scrive S. Paolo – vi conceda di avere a vicenda tra voi i sentimenti di Cristo Gesù… Accoglietevi dunque a vicenda, come Cristo accolse voi per la gloria di Dio  » (Rm 15,5-7).


2. La carità  » tutto sopporta  » (1 Cr 13, 7). I difetti, le debolezze, le lacune, il temperamento più o meno felice o simpatico di ognuno possono essere, soprattutto nella convivenza, un vero peso scambievole che bisogna impegnarsi di portare con amore. Data la limitatezza di ogni uomo, è impossibile vivere insieme senza essere gli uni di peso agli altri, anche in modo del tutto involontario. È questa una condizione alla quale nessuno può sfuggire e che va risolta sopportandosi « a vicenda nella carità  » (Ef 4,2), con l’umile consapevolezza che se ognuno ha qualche cosa da soffrire è, nello stesso tempo, causa di sofferenza agli altri. Chi è forte metterà a disagio il debole, chi è attivo l’indolente, chi è coraggioso il timido e viceversa. D’altra parte chi ha maggiori risorse è maggiormente tenuto a frenarsi, a compatire, ad adattarsi.  » Noi che siamo forti – dice S. Paolo – abbiamo il dovere di sopportare la debolezza dei deboli, senza compiacere noi stessi. Ciascuno cerchi di compiacere il prossimo nel bene, al fine di edificare. Cristo non compiacque se stesso  » (Rm 15,1-3). Come Cristo si è adattato all’uomo fino a farsi uomo, così il cristiano si studia di adattarsi agli altri, rinunciando a se stesso.

Negli ultimi mesi della sua vita, S. Teresa di Gesù Bambino, scriveva:  » Capisco ora che la carità perfetta consiste nel sopportare i difetti degli altri, non stupirsi delle loro debolezze  » (MC 289). Se all’inizio si sopporterà fremendo e a denti stretti, un po’ alla volta la carità insegnerà a sopportare con benevolenza, con comprensione, come una madre sopporta amabilmente i malestri del figlio. La carità insegna a curvare volentieri le spalle per prendere su di se il peso dei difetti altrui, non sfuggendo neppure le persone importune.  » Se uno ti costringe a fare un miglio con lui, tu fanne due con lui, dà a chi ti domanda, e a chi desidera da te un prestito non voltare le spalle!  » (Mt 5, 41-42). Il Vangelo inculca una generosa rinuncia alle proprie esigenze e anche ai propri diritti per assecondare il prossimo con una carità piena di dedizione.
 
PREGHIERE O Signore, quanto sono ancora lontano dalla vera carità e umiltà! …Tu m’insegni che non è gran cosa l’andare d’accordo con gli uomini mansueti e buoni; ciò naturalmente piace a tutti e ognuno sta volentieri in pace e ama di più coloro che pensano come lui. Ma invece è grazia grande, virtù maschia e degna di molte lodi il saper vivere in pace con gli ostinati, i perversi, gli indisciplinati e con quelli che ci sono contrari.

Se tutti fossero perfetti, che ci resterebbe a patire dagli altri per amore tuo, o mio Dio? Ma tu hai così disposto affinché ciascuno impari a  » sopportare il peso dell’altro »; poiché nessuno è senza il suo peso, nessuno può bastare a se stesso, nessuno è abbastanza saggio per se, ma occorre che ci sopportiamo reciprocamente, ci confortiamo, ci aiutiamo, ci ammoniamo e ammaestriamo a vicenda.

Imitazione di Cristo II, 3, 2; I, 16, 3-4
 
 
O Signore, se dividerò volentieri con i miei fratelli i doni da te ricevuti, se mi mostrerò con tutti servizievole, benigno, riconoscente, affabile e umile potrò spandere dovunque il profumo della misericordia. Fa’ dunque che io sappia non solo sopportare pazientemente le debolezze fisiche e morali dei miei fratelli, ma che inoltre, nel limite del possibile, rechi ad essi il sollievo dei miei servizi, il conforto della mia parola e dei buoni consigli.

Dammi viscere di misericordia perchè sia liberale e generoso non soltanto con i miei parenti e amici, con quelli che mi fanno del bene e dai quali mi aspetto qualche bene, ma con tutti al punto di non rifiutare mai per amor tuo, neppure al nemico, la carità dell’aiuto materiale o spirituale. Allora abbonderò di quest’ottimo profumo e lo verserò non solo sul tuo capo e sui tuoi piedi, ma su tutto il tuo corpo che è la Chiesa.

cf S. BERNARDO, In Cantica Cant. 12,5 .7


Con questa meditazione termino il mio lavoro.
Possa il Signore farci comprendere il vero valore della CARITA’ affinchè tutti impariamo a vivere e a conformarci sempre più a Cristo, VERO MODELLO DI CARITA’.   Amen

Dai “Discorsi” di san Pietro Crisologo, vescovo: Sii sacrificio e sacerdote di Dio (Rm 12, 1)

dal sito:

http://www.collevalenza.it/riviste/2004/Riv0504/Riv0504_03.htm

Dai “Discorsi” di san Pietro Crisologo, vescovo
(Disc. 108; PL 52, 499-500) 

Sii sacrificio e sacerdote di Dio (Rm 12, 1)

«Vi prego per la misericordia di Dio» (Rm 12, 1). E’ Paolo che chiede, anzi è Dio per mezzo di Paolo che chiede, perché vuole essere più amato che temuto. Dio chiede perché vuol essere non tanto Signore, quanto il Padre. Il Signore chiede per misericordia, per non punire nel rigore.

Ascolta il Signore che chiede: vedete, vedete in me il vostro corpo, le vostre membra, il vostro cuore, le vostre ossa, il vostro sangue. E se temete ciò che è di Dio, perché non amate almeno ciò che è vostro? Se rifuggite dal padrone, perché non ricorrete al congiunto?
Ma forse vi copre di confusione la gravità della passione che mi avete inflitto. Non abbiate timore. Questa croce non è un pungiglione per me, ma per la morte. Questi chiodi non mi procurano tanto dolore, quanto imprimono più profondamente in me l’amore verso di voi. Queste ferite non mi fanno gemere, ma piuttosto introducono voi nel mio interno. Il mio corpo disteso anziché accrescere la pena, allarga gli spazi del cuore per accogliervi. Il mio sangue non è perduto per me, ma è donato in riscatto per voi.
Venite, dunque, ritornate. Sperimentate almeno la mia tenerezza paterna, che ricambia il male col bene, le ingiurie con l’amore, ferite tanto grandi con una carità così immensa.
Ma ascoltiamo adesso l’Apostolo: «Vi esorto», dice, «ad offrire i vostri corpi» (Rm 12, 1). L’Apostolo così vede tutti gli uomini innalzati alla dignità sacerdotale per offrire i propri corpi come sacrificio vivente.

O immensa dignità del sacerdozio cristiano! L’uomo è divenuto vittima e sacerdote per se stesso. L’uomo non cerca fuori di sé ciò che deve immolare a Dio, ma porta con sé e in sé ciò che sacrifica a Dio per sé. La vittima permane, senza mutarsi, e rimane uguale a se stesso il sacerdote, poiché la vittima viene immolata ma vive, e il sacerdote non può dare la morte a chi compie il sacrificio.

Mirabile sacrificio, quello dove si offre il corpo senza ferimento del corpo e il sangue senza versamento di sangue. «Vi esorto per la misericordia di Dio ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente».

Fratelli, questo sacrificio è modellato su quello di Cristo e risponde al disegno che egli si prefisse, perché, per dare vita al mondo, egli immolò e rese vivo il suo corpo; e davvero egli fece il suo corpo ostia viva perché, ucciso, esso vive. In questa vittima, dunque, è corrisposto alla morte il suo prezzo. Ma la vittima rimane, la vittima vive e la morte è punita. Da qui viene che i martiri nascono quando muoiono, cominciano a vivere con la fine, vivono quando sono uccisi, brillano nel cielo essi che sulla terra erano creduti estinti.

«Vi esorto, dice, o fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo». Questo è quanto il profeta ha predetto: Non hai voluto sacrificio né offerta, ma mi hai dato un corpo (cfr. Sal 39, 7 volg.) . Sii, o uomo, sii sacrificio e sacerdote di Dio; non perdere ciò che la divina volontà ti ha dato e concesso. Rivesti la stola della santità. Cingi la fascia della castità. Cristo sia la protezione del tuo capo. La croce permanga a difesa della tua fronte. Accosta al tuo petto il sacramento della scienza divina. Fà salire sempre l’incenso della preghiera, come odore soave. Afferra la spada dello spirito, fà del tuo cuore un altare, e così presenta con ferma fiducia il tuo corpo quale vittima a Dio.

Dio cerca la fede, non la morte. Ha sete della tua preghiera, non del tuo sangue. Viene placato dalla volontà, non dalla morte.

Papa Benedetto : omelia per la solennità dell’Epifania (Col, Ef, 1Cor)

dal sito:

http://www.zenit.org/article-16696?l=italian

Benedetto XVI: l’Epifania è “un mistero multiforme”

CITTA’ DEL VATICANO, martedì, 6 gennaio 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato questo martedì da Benedetto XVI nel celebrare nella Basilica di San Pietro la Messa per la Solennità dell’Epifania del Signore.

Cari fratelli e sorelle!

L’Epifania, la « manifestazione » del nostro Signore Gesù Cristo, è un mistero multiforme. La tradizione latina lo identifica con la visita dei Magi al Bambino Gesù a Betlemme, e dunque lo interpreta soprattutto come rivelazione del Messia d’Israele ai popoli pagani. La tradizione orientale, invece, privilegia il momento del battesimo di Gesù nel fiume Giordano, quando egli si manifestò quale Figlio Unigenito del Padre celeste, consacrato dallo Spirito Santo. Ma il Vangelo di Giovanni invita a considerare « epifania » anche le nozze di Cana, dove Gesù, mutando l’acqua in vino, « manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui » (Gv 2,11). E che dovremmo dire noi, cari fratelli, specialmente noi sacerdoti della nuova Alleanza, che ogni giorno siamo testimoni e ministri dell’ »epifania » di Gesù Cristo nella santa Eucaristia? Tutti i misteri del Signore la Chiesa li celebra in questo santissimo e umilissimo Sacramento, nel quale egli al tempo stesso rivela e nasconde la sua gloria. « Adoro te devote, latens Deitas » – adorando, preghiamo così con san Tommaso d’Aquino. In questo anno 2009, che, nel 4° centenario delle prime osservazioni di Galileo Galilei al telescopio, è stato dedicato in modo speciale all’astronomia, non possiamo non prestare particolare attenzione al simbolo della stella, tanto importante nel racconto evangelico dei Magi (cfr Mt 2,1-12). Essi erano con tutta probabilità degli astronomi. Dal loro punto di osservazione, posto ad oriente rispetto alla Palestina, forse in Mesopotamia, avevano notato l’apparire di un nuovo astro, ed avevano interpretato questo fenomeno celeste come annuncio della nascita di un re, precisamente, secondo le Sacre Scritture, del re dei Giudei (cfr Nm 24,17). I Padri della Chiesa hanno visto in questo singolare episodio narrato da san Matteo anche una sorta di « rivoluzione » cosmologica, causata dall’ingresso nel mondo del Figlio di Dio. Ad esempio, san Giovanni Crisostomo scrive: « Quando la stella giunse sopra il bambino, si fermò, e ciò poteva farlo soltanto una potenza che gli astri non hanno: prima, cioè, nascondersi, poi apparire di nuovo, e infine arrestarsi » (Omelie sul Vangelo di Matteo, 7, 3). San Gregorio di Nazianzo afferma che la nascita di Cristo impresse nuove orbite agli astri (cfr Poemi dogmatici, V, 53-64: PG 37, 428-429). Il che è chiaramente da intendersi in senso simbolico e teologico. In effetti, mentre la teologia pagana divinizzava gli elementi e le forze del cosmo, la fede cristiana, portando a compimento la rivelazione biblica, contempla un unico Dio, Creatore e Signore dell’intero universo. E’ l’amore divino, incarnato in Cristo, la legge fondamentale e universale del creato. Ciò va inteso invece in senso non poetico, ma reale. Così lo intendeva del resto lo stesso Dante, quando, nel verso sublime che conclude il Paradiso e l’intera Divina Commedia, definisce Dio « l’amor che move il sole e l’altre stelle » (Paradiso, XXXIII, 145). Questo significa che le stelle, i pianeti, l’universo intero non sono governati da una forza cieca, non obbediscono alle dinamiche della sola materia. Non sono, dunque, gli elementi cosmici che vanno divinizzati, bensì, al contrario, in tutto e al di sopra di tutto vi è una volontà personale, lo Spirito di Dio, che in Cristo si è rivelato come Amore (cfr Enc. Spe salvi, 5). Se è così, allora gli uomini – come scrive san Paolo ai Colossesi – non sono schiavi degli « elementi del cosmo » (cfr Col 2,8), ma sono liberi, capaci cioè di relazionarsi alla libertà creatrice di Dio. Egli è all’origine di tutto e tutto governa non alla maniera di un freddo ed anonimo motore, ma quale Padre, Sposo, Amico, Fratello, quale Logos, « Parola-Ragione » che si è unita alla nostra carne mortale una volta per sempre ed ha condiviso pienamente la nostra condizione, manifestando la sovrabbondante potenza della sua grazia. C’è dunque nel cristianesimo una peculiare concezione cosmologica, che ha trovato nella filosofia e nella teologia medievali delle altissime espressioni. Essa, anche nella nostra epoca, dà segni interessanti di una nuova fioritura, grazie alla passione e alla fede di non pochi scienziati, i quali – sulle orme di Galileo – non rinunciano né alla ragione né alla fede, anzi, le valorizzano entrambe fino in fondo, nella loro reciproca fecondità. Il pensiero cristiano paragona il cosmo ad un « libro » – così diceva anche lo stesso Galileo –, considerandolo come l’opera di un Autore che si esprime mediante la « sinfonia » del creato. All’interno di questa sinfonia si trova, a un certo punto, quello che si direbbe in linguaggio musicale un « assolo », un tema affidato ad un singolo strumento o ad una voce; ed è così importante che da esso dipende il significato dell’intera opera. Questo « assolo » è Gesù, a cui corrisponde, appunto, un segno regale: l’apparire di una nuova stella nel firmamento. Gesù è paragonato dagli antichi scrittori cristiani ad un nuovo sole. Secondo le attuali conoscenze astrofisiche, noi lo dovremmo paragonare ad una stella ancora più centrale, non solo per il sistema solare, ma per l’intero universo conosciuto. In questo misterioso disegno, al tempo stesso fisico e metafisico, che ha portato alla comparsa dell’essere umano quale coronamento degli elementi del creato, è venuto al mondo Gesù: « nato da donna » (Gal 4,4), come scrive san Paolo. Il Figlio dell’uomo riassume in sé la terra e il cielo, il creato e il Creatore, la carne e lo Spirito. E’ il centro del cosmo e della storia, perché in Lui si uniscono senza confondersi l’Autore e la sua opera. Nel Gesù terreno si trova il culmine della creazione e della storia, ma nel Cristo risorto si va oltre: il passaggio, attraverso la morte, alla vita eterna anticipa il punto della « ricapitolazione » di tutto in Cristo (cfr Ef 1,10). Tutte le cose, infatti – scrive l’Apostolo –, « sono state create per mezzo di lui e in vista di lui » (Col 1,16). E proprio con la risurrezione dai morti Egli ha ottenuto « il primato su tutte le cose » (Col 1,18). Lo afferma Gesù stesso apparendo ai discepoli dopo la risurrezione: « A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra » (Mt 28,18). Questa consapevolezza sostiene il cammino della Chiesa, Corpo di Cristo, lungo i sentieri della storia. Non c’è ombra, per quanto tenebrosa, che possa oscurare la luce di Cristo. Per questo nei credenti in Cristo non viene mai meno la speranza, anche oggi, dinanzi alla grande crisi sociale ed economica che travaglia l’umanità, davanti all’odio e alla violenza distruttrice che non cessano di insanguinare molte regioni della terra, dinanzi all’egoismo e alla pretesa dell’uomo di ergersi come dio di se stesso, che conduce talora a pericolosi stravolgimenti del disegno divino circa la vita e la dignità dell’essere umano, circa la famiglia e l’armonia del creato. Il nostro sforzo di liberare la vita umana e il mondo dagli avvelenamenti e dagli inquinamenti che potrebbero distruggere il presente e il futuro, conserva il suo valore e il suo senso – ho annotato nella già citata Enciclica Spe salvi – anche se apparentemente non abbiamo successo o sembriamo impotenti di fronte al sopravvento di forze ostili, perchè « è la grande speranza poggiante sulle promesse di Dio che, nei momenti buoni come in quelli cattivi, ci dà coraggio e orienta il nostro agire » (n. 35). La signoria universale di Cristo si esercita in modo speciale sulla Chiesa. « Tutto infatti – si legge nella Lettera agli Efesini – [Dio] ha messo sotto i suoi piedi / e lo ha dato alla Chiesa come capo su tutte le cose: essa è il corpo di lui, / la pienezza di colui che è il perfetto compimento di tutte le cose » (Ef 1,22-23). L’Epifania è la manifestazione del Signore, e di riflesso è la manifestazione della Chiesa, perché il Corpo non è separabile dal Capo. La prima lettura odierna, tratta dal cosiddetto Terzo Isaia, ci offre la prospettiva precisa per comprendere la realtà della Chiesa, quale mistero di luce riflessa: « Alzati, rivestiti di luce – dice il profeta rivolgendosi a Gerusalemme – perché viene la tua luce, / la gloria del Signore brilla sopra di te » (Is 60,1). La Chiesa è umanità illuminata, « battezzata » nella gloria di Dio, cioè nel suo amore, nella sua bellezza, nella sua signoria. La Chiesa sa che la propria umanità, con i suoi limiti e le sue miserie, pone in maggiore risalto l’opera dello Spirito Santo. Essa non può vantarsi di nulla se non nel suo Signore: non da lei proviene la luce, non è sua la gloria. Ma proprio questa è la sua gioia, che nessuno potrà toglierle: essere « segno e strumento » di Colui che è « lumen gentium », luce dei popoli (cfr Conc. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium, 1). Cari amici, in questo anno paolino, la festa dell’Epifania invita la Chiesa e, in essa, ogni comunità ed ogni singolo fedele, ad imitare, come fece l’Apostolo delle genti, il servizio che la stella rese ai Magi d’Oriente guidandoli fino a Gesù (cfr san Leone Magno, Disc. 3 per l’Epifania, 5: PL 54, 244). Che cos’è stata la vita di Paolo, dopo la sua conversione, se non una « corsa » per portare ai popoli la luce di Cristo e, viceversa, condurre i popoli a Cristo? La grazia di Dio ha fatto di Paolo una « stella » per le genti. Il suo ministero è esempio e stimolo per la Chiesa a riscoprirsi essenzialmente missionaria e a rinnovare l’impegno per l’annuncio del Vangelo, specialmente a quanti ancora non lo conoscono. Ma, guardando a san Paolo, non possiamo dimenticare che la sua predicazione era tutta nutrita delle Sacre Scritture. Perciò, nella prospettiva della recente Assemblea del Sinodo dei Vescovi, va riaffermato con forza che la Chiesa e i singoli cristiani possono essere luce, che guida a Cristo, solo se si nutrono assiduamente e intimamente della Parola di Dio. E’ la Parola che illumina, purifica, converte, non siamo certo noi. Della Parola di vita noi non siamo che servitori. Così Paolo concepiva se stesso e il suo ministero: un servizio al Vangelo. « Tutto io faccio per il Vangelo » – egli scrive (1 Cor 8,23). Così dovrebbe poter dire anche la Chiesa, ogni comunità ecclesiale, ogni Vescovo ed ogni presbitero: tutto io faccio per il Vangelo. Cari fratelli e sorelle, pregate per noi, Pastori della Chiesa, affinché, assimilando quotidianamente la Parola di Dio, possiamo trasmetterla fedelmente ai fratelli. Ma anche noi preghiamo per voi, fedeli tutti, perché ogni cristiano è chiamato per il Battesimo e la Confermazione ad annunciare Cristo luce del mondo, con la parola e la testimonianza della vita. Ci aiuti la Vergine Maria, Stella dell’evangelizzazione, a portare a compimento insieme questa missione, e interceda per noi dal cielo san Paolo, Apostolo delle genti. Amen.

6 GENNAIO 2009 – SOLENNITÀ DELL’EPIFANIA

6 GENNAIO 2009 - SOLENNITÀ DELL'EPIFANIA dans EAQ - (dal sito francese) - 
Mat-02,01-The magis, Les mages » 3-Adoration
austria/vienna/libraries/oesterreichische_nationalbibliothek/

http://www.artbible.net/3JC/-Mat-02,01-The%20magis,%20Les%20mages/index.html

6 GENNAIO 2009

SOLENNITÀ DELL’ EPIFANIA

MESSA DEL GIORNO

Seconda Lettura  Ef 3,2-3a.5-6
Ora è stato rivelato che tutte le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità.
 
Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesini
Fratelli, penso che abbiate sentito parlare del ministero della grazia di Dio, a me affidato a vostro favore: per rivelazione mi è stato fatto conoscere il mistero.
Esso non è stato manifestato agli uomini delle precedenti generazioni come ora è stato rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito: che le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo.

DAL SITO FRANCESE EAQ:

http://www.vangelodelgiorno.org/www/main.php?language=IT&ordo=&localTime=01/06/2009#

J. B. Bossuet (1627-1704), vescovo di Meaux
17a elevazione sui misteri (2)


« Abbiamo visto sorgere la sua stella »
All’oriente sorge, come un astro splendente, l’amore della verità e della virtù. Come i magi, non sapete ancora di che cosa si tratti. Sapete soltanto e confusamente che questa stella vi conduce fino al re dei Giudei, cioè dei veri figli di Giuda e di Giacobbe : andate, camminate, imitate i magi.

« Abbiamo visto sorgere la sua stella, e siamo venuti » ; abbiamo visto, e subito siamo partiti. Per dove ? Non lo sappiamo ancora ; cominciamo col lasciare la nostra patria. Andate a Gerusalemme, ricevete i lumi della Chiesa. Là troverete i dottori che interpreteranno per voi le profezie, e vi faranno intendere i disegni di Dio. Sotto questa guida, camminerete con sicurezza.

Cristiani, chiunque voi siate a leggere queste cose, forse – chi infatti può prevedere i disegni di Dio ? – forse in questo momento la stella sta per sorgere nel vostro cuore. Andate, uscite dalla vostra patria, imparate a conoscere Gerusalemme, e il presepio del vostro Salvatore, e il pane che egli vi prepara a Betlemme.


PRIMI VESPRI

Lettura Breve   2 Tm 1, 9-10
Dio ci ha salvati e ci ha chiamati con una vocazione santa, non già in base alle nostre opere, ma secondo il suo proposito e la sua grazia; grazia che ci è stata data in Cristo Gesù fin dall’eternità, ma è stata rivelata solo ora con l’apparizione del salvatore nostro Cristo Gesù. Egli ha vinto la morte e ha fatto risplendere la vita e l’immortalità per mezzo del vangelo.

UFFICIO DELLE LETTURE

Seconda Lettura
Dai «Discorsi» di san Leone Magno, papa
(Disc. 3 per l’Epifania, 1-3. 5; Pl 54, 240-244)

Il Signore ha manifestato in tutto il mondo la sua salvezza
La Provvidenza misericordiosa, avendo deciso di soccorrere negli ultimi tempi il mondo che andava in rovina, stabilì che la salvezza di tutti i popoli si compisse nel Cristo.
Un tempo era stata promessa ad Abramo una innumerevole discendenza che sarebbe stata generata non secondo la carne, ma nella fecondità della fede: essa era stata paragonata alla moltitudine delle stelle perché il padre di tutte le genti si attendesse non una stirpe terrena, ma celeste.
Entri, entri dunque nella famiglia dei patriarchi la grande massa delle genti, e i figli della promessa ricevano la benedizione come stirpe di Abramo, mentre a questa rinunziano i figli del suo sangue. Tutti i popoli, rappresentati dai tre magi, adorino il Creatore dell’universo, e Dio sia conosciuto non nella Giudea soltanto, ma in tutta la terra, perché ovunque «in Israele sia grande il suo nome» (cfr. Sal 75, 2).
Figli carissimi, ammaestrati da questi misteri della grazia divina, celebriamo nella gioia dello spirito il giorno della nostra nascita e l’inizio della chiamata alla fede di tutte le genti. Ringraziamo Dio misericordioso che, come afferma l’Apostolo, «ci ha messo in grado di partecipare alla sorte dei santi nella luce. E’ lui che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del suo Figlio diletto» (Col 1, 12-13). L’aveva annunziato Isaia: «Il popolo dei Gentili, che sedeva nelle tenebre, vide una grande luce e su quanti abitavano nella terra tenebrosa una luce rifulse» (cfr. Is 9, 1). Di essi ancora Isaia dice al Signore: «Popoli che non ti conoscono ti invocheranno, e popoli che ti ignorano accorreranno a te» (cfr. Is 55, 5).
«Abramo vide questo giorno e gioì» (cfr. Gv 8, 56). Gioì quando conobbe che i figli della sua fede sarebbero stati benedetti nella sua discendenza, cioè nel Cristo, e quando intravide che per la sua fede sarebbe diventato padre di tutti i popoli. Diede gloria a Dio, pienamente convinto che quanto il Signore aveva promesso lo avrebbe attuato (Rm 4, 20-21). Questo giorno cantava nei salmi David dicendo: «Tutti i popoli che hai creato verranno e si prostreranno davanti a te, o Signore, per dare gloria al tuo nome» (Sal 85, 9); e ancora: «Il Signore ha manifestato la sua salvezza, agli occhi dei popoli ha rivelato la sua giustizia» (Sal 97, 2).
Tutto questo, lo sappiamo, si è realizzato quando i tre magi, chiamati dai loro lontani paesi, furono condotti da una stella a conoscere e adorare il Re del cielo e della terra. Questa stella ci esorta particolarmente a imitare il servizio che essa prestò, nel senso che dobbiamo seguire, con tutte le nostre forze, la grazia che invita tutti al Cristo. In questo impegno, miei cari, dovete tutti aiutarvi l’un l’altro. Risplendete così come figli della luce nel regno di Dio, dove conducono la retta fede e le buone opere. Per il nostro Signore Gesù Cristo che con Dio Padre e con lo Spirito Santo vive e regna per tutti i secoli dei secoli. Amen.

SECONDI VESPRI

Lettura breve  Tt 3, 4-5
Quando si sono manifestati la bontà di Dio, salvatore nostro, e il suo amore per gli uomini, egli ci ha salvati non in virtù di opere di giustizia da noi compiute, ma per sua misericordia mediante un lavacro di rigenerazione e di rinnovamento nello Spirito Santo.

LUNEDÌ 5 GENNAIO 2009 – FERIA DEL TEMPO DI NATALE

LUNEDÌ 5 GENNAIO 2009

FERIA DEL TEMPO DI NATALE

UFFICIO DELLE LETTURE

Prima Lettura    
Dalla lettera ai Colossesi di san Paolo, apostolo 4, 2-18

Esortazione alla vigilanza. Conclusione della lettera
Fratelli, perseverate nella preghiera e vegliate in essa, rendendo grazie. Pregate anche per noi, perché Dio ci apra la porta della predicazione e possiamo annunziare il mistero di Cristo, per il quale mi trovo in catene: che possa davvero manifestarlo, parlandone come devo.
Comportatevi saggiamente con quelli di fuori; approfittate di ogni occasione. Il vostro parlare sia sempre con grazia, condito di sapienza, per sapere come rispondere a ciascuno.
Tutto quanto mi riguarda ve lo riferirà Tìchico, il caro fratello e ministro fedele, mio compagno nel servizio del Signore, che io mando a voi, perché conosciate le nostre condizioni e perché rechi conforto ai vostri cuori. Con lui verrà anche Onèsimo, il fedele e caro fratello, che è dei vostri. Essi vi informeranno su tutte le cose di qui.
Vi salutano Aristarco, mio compagno di carcere, e Marco, il cugino di Barnaba, riguardo al quale avete ricevuto istruzioni —se verrà da voi, fategli buona accoglienza —e Gesù, chiamato Giusto. Di quelli venuti dalla circoncisione questi soli hanno collaborato con me per il regno di Dio e mi sono stati di consolazione. Vi saluta Epafra, servo di Cristo Gesù, che è dei vostri, il quale non cessa di lottare per voi nelle sue preghiere, perché siate saldi, perfetti e aderenti a tutti i voleri di Dio. Gli rendo testimonianza che si impegna a fondo per voi, come per quelli di Laodicèa e di Geràpoli. Vi salutano Luca, il caro medico, e Dema.
Salutate i fratelli di Laodicèa e Ninfa con la comunità che si raduna nella sua casa. E quando questa lettera sarà stata letta da voi, fate che venga letta anche nella Chiesa dei Laodicesi e anche voi leggete quella inviata ai Laodicesi. Dite ad Archippo: «Considera il ministero che hai ricevuto nel Signore e vedi di compierlo bene».
Il saluto è di mia propria mano, di me, Paolo. Ricordatevi delle mie catene. La grazia sia con voi.

Responsorio    Col 4, 3; cfr. Sal 50, 17
R. Preghiamo gli uni per gli altri, perché Dio ci apra la porta della parola, * per annunziare il mistero di Cristo.
V. Il Signore ci apra le labbra, e la bocca proclami la lode di Dio,
R. per annunziare il mistero di Cristo.

Seconda Lettura
Dai «Discorsi» di sant’Agostino, vescovo
(Disc. 194, 3-4; Pl 38, 1016-1017)

Saremo saziati dalla visione del Verbo
Chi potrà mai conoscere tutti i tesori di sapienza e di scienza che Cristo racchiude in sé, nascosti nella povertà della sua carne? «Per noi, da ricco che era, egli si è fatto povero, perché noi diventassimo ricchi per mezzo della sua povertà» (cfr. 2 Cor 8, 9). Assumendo la mortalità dell’uomo e subendo nella sua persona la morte, egli si mostrò a noi nella povertà della condizione umana: non perdette però le sue ricchezze quasi gli fossero state tolte, ma ne promise la rivelazione nel futuro. Quale immensa ricchezza serba a chi lo teme e dona pienamente a quelli che sperano in lui!
Le nostre conoscenze sono ora imperfette e incomplete, finché non venga il perfetto e il completo. Ma proprio per renderci capaci di questo egli, che è uguale al Padre nella forma di Dio e simile a noi nella forma di servo, ci trasforma a somiglianza di Dio. Divenuto figlio dell’uomo, lui unico figlio di Dio, rende figli di Dio molti figli degli uomini. Dopo aver nutrito noi servi attraverso la forma visibile di servo, ci rende liberi, atti a contemplare la forma di Dio.
Infatti «noi siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui perché lo vedremo così come egli è» (1 Gv 3,2). Ma che cosa sono quei tesori di sapienza e di scienza, che cosa quelle ricchezze divine, se non la grande realtà capace di colmarci pienamente? Che cosa è quell’abbondanza di dolcezza se non ciò che è capace di saziarci?
Dunque: «Mostraci il Padre e ci basta» (Gv 14, 8). E in un salmo una voce, che ci interpreta o parla per noi, dice rivolgendosi a lui: «Sarò saziato all’apparire della tua gloria» (cfr. Sal 16, 15). Egli e il Padre sono una cosa sola e chi vede lui vede anche il Padre. «Il Signore degli eserciti è il re della gloria» (Sal 23, 10). Facendoci volgere a lui, ci mostrerà il suo volto e saremo salvi; allora saremo saziati e ci basterà.
Ma fino a quando questo non avvenga e non ci sia mostrato quello che ci appagherà, fino a quando non berremo a quella fonte di vita che ci farà sazi, mentre noi camminiamo nella fede, pellegrini lontani da lui, e abbiamo fame e sete di giustizia e aneliamo con indicibile desiderio alla bellezza di Cristo che si svelerà nella forma di Dio, celebriamo con devozione il Natale di Cristo nato nella forma di servo.
Se non possiamo ancora contemplarlo perché è stato generato dal Padre prima dell’aurora, festeggiamolo perché nella notte è nato dalla Vergine. Se non lo comprendiamo ancora, perché il suo nome rimane davanti al sole (cfr. Sal 71, 17), riconosciamo il suo tabernacolo posto nel sole. Se ancora non vediamo l’Unigenito che rimane nel Padre, ricordiamo «lo sposo che esce dalla stanza nuziale» (cfr. Sal 18, 6). Se ancora non siamo preparati al banchetto del nostro Padre, riconosciamo il presepe del nostro Signore Gesù Cristo.

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