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29 DICEMBRE 2008 – V GIORNO OTTAVA DI NATALE

29 DICEMBRE 2008 – V GIORNO OTTAVA DI NATALE

UFFICIO DELLE LETTURE

Prima Lettura
Dalla lettera ai Colossesi di san Paolo, apostolo 1, 1-14

Azione di grazie e preghiera
Paolo, apostolo di Cristo Gesù per volontà di Dio, e il fratello Timòteo, ai santi e fedeli fratelli in Cristo dimoranti in Colossi: grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro!
Noi rendiamo continuamente grazie a Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, nelle nostre preghiere per voi, per le notizie ricevute della vostra fede in Cristo Gesù, e della carità che avete verso tutti i santi, in vista della speranza che vi attende nei cieli. Di questa speranza voi avete già udito l’annunzio dalla parola di verità del vangelo che è giunto a voi, come pure in tutto il mondo fruttifica e si sviluppa; così anche fra voi dal giorno in cui avete ascoltato e conosciuto la grazia di Dio nella verità, che avete appresa da Epafra, nostro caro compagno nel ministero; egli ci supplisce come un fedele ministro di Cristo, e ci ha pure manifestato il vostro amore nello Spirito.
Perciò anche noi, da quando abbiamo saputo questo, non cessiamo di pregare per voi, e di chiedere che abbiate una conoscenza piena della sua volontà con ogni sapienza e intelligenza spirituale, perché possiate comportarvi in maniera degna del Signore, per piacergli in tutto, portando frutto in ogni opera buona e crescendo nella conoscenza di Dio; rafforzandovi con ogni energia secondo la potenza della sua gloria, per poter essere forti e pazienti in tutto; ringraziando con gioia il Padre che ci ha messi in grado di partecipare alla sorte dei santi nella luce.

E’ lui infatti che ci ha liberati
dal potere delle tenebre
e ci ha trasferiti
nel regno del suo Figlio diletto,
per opera del quale abbiamo la redenzione,
la remissione dei peccati.

Responsorio   Col 1, 12. 13; Gc 1, 17
R. Ringraziamo con gioia il Padre: ci ha liberati dal potere delle tenebre, * ci ha trasferiti nel regno del suo amatissimo Figlio.
V. Ogni buon regalo e ogni dono perfetto viene dall’alto e scende dal Padre della luce:
R. ci ha trasferiti nel regno del suo amatissimo Figlio.

Seconda Lettura
Dai «Discorsi» di san Bernardo, abate
(Disc. 1 per l’Epifania, 1-2; PL 133, 141-143)

Nella pienezza dei tempi è venuta anche la pienezza della divinità
«Si sono manifestate la bontà e l’umanità di Dio Salvatore nostro» (Tt 2, 11). Ringraziamo Dio che ci fa godere di una consolazione così grande in questo nostro pellegrinaggio di esuli, in questa nostra miseria. Prima che apparisse l’umanità, la bontà era nascosta: eppure c’era anche prima, perché la misericordia di Dio è dall’eternità. Ma come si poteva sapere che è così grande? Era promessa, ma non si faceva sentire, e quindi da molti non era creduta. Molte volte e in diversi modi il Signore parlava nei profeti (Eb 1, 1).  «Io — diceva — nutro pensieri di pace, non di afflizione» (cfr. Ger 29, 11). Ma che cosa rispondeva l’uomo, sentendo l’afflizione e non conoscendo la pace? Fino a quando dite: «Pace, pace, e pace non c’è?». Per questo gli «annunziatori di pace piangevano amaramente» (Is 33, 7) dicendo: «Signore, chi ha creduto al nostro annunzio?» (Is 53, 1).
Ma ora almeno gli uomini credono dopo che hanno visto, perché «la testimonianza di Dio è diventata pienamente credibile» (cfr. Sal 92, 5). Per non restare nascosto neppure all’occhio torbido, «Egli ha posto nel sole il suo tabernacolo» (cfr. Sal 18, 6).
Ecco la pace: non promessa, ma inviata; non differita, ma donata; non profetata, ma presente. Dio Padre ha inviato sulla terra un sacco, per così dire, pieno della sua misericordia; un sacco che fu strappato a pezzi durante la passione perché ne uscisse il prezzo che chiudeva in sé il nostro riscatto; un sacco certo piccolo, ma pieno, se «ci è stato dato un Piccolo» (Is 9, 6) in cui però «abita corporalmente tutta la pienezza della divinità» (Col 2, 9). Quando venne la pienezza dei tempi, venne anche la pienezza della divinità.
Venne Dio nella carne per rivelarsi anche agli uomini che sono di carne, e perché fosse riconosciuta la sua bontà manifestandosi nell’umanità. Manifestandosi Dio nell’uomo, non può più esserne nascosta la bontà. Quale prova migliore della sua bontà poteva dare se non assumendo la mia carne? Proprio la mia, non la carne che Adamo ebbe prima della colpa.
Nulla mostra maggiormente la sua misericordia che l’aver egli assunto la nostra stessa miseria. «Signore, che è quest’uomo perché ti curi di lui e a lui rivolga la tua attenzione?» (cfr. Sal 8, 5; Eb 2, 6).  Da questo sappia l’uomo quanto Dio si curi di lui, e conosca che cosa pensi e senta nei suoi riguardi. Non domandare, uomo, che cosa soffri tu, ma che cosa ha sofferto lui. Da quello a cui egli giunse per te, riconosci quanto tu valga per lui, e capirai la sua bontà attraverso la sua umanità. Come si è fatto piccolo incarnandosi, così si è mostrato grande nella bontà; e mi è tanto più caro quanto più per me si è abbassato. «Si sono manifestate — dice l’Apostolo — la bontà e l’umanità di Dio nostro Salvatore» (Tt  3, 4). Grande certo è la bontà di Dio e certo una grande prova di bontà egli ha dato congiungendo la divinità con l’umanità.
 
Responsorio   Ef 1, 5; Rm 8, 29
R. Dio ci ha predestinati ad essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo: questo è il suo piano di amore, * a lode e gloria della sua grazia.
V. Egli ci ha conosciuti da sempre, e ci ha predestinati ad essere conformi all’immagine del Figlio suo;
R. a lode e gloria della sua grazia.

LODI

Lettura Breve   Eb 1, 1-2
Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha costituito erede di tutte le cose e per mezzo del quale ha fatto anche il mondo.

SBF Letture bibliche: La Notte dei paradossi di Dio (anche Gal 4,4)

dal sito:

http://www.custodia.org/spip.php?article4744

SBF Letture bibliche: La Notte dei paradossi di Dio (anche Gal 4,4)

Pietro Kaswalder, ofm
Messo on line il venerdì 26 dicembre 2008 a 09h20

Il tempo è ormai pieno, siamo alla Notte del Natale: più che la Novena, questa è una introduzione immediata al Mistero che si è compiuto a Betlemme, secondo le Scritture; e che si compie nella Liturgia della Chiesa: Dio si incarna, e viene a piantare la sua tenda tra gli uomini.

Questo è il primo paradosso, primo nel senso di princiale, da cui ne dipendono molti altri.

Il paradosso, usato dagli Autori Sacri, vuole sorprendere, certo, per far nascere meraviglia e stupore. E qui vediamo che il paradosso fà parte della Rivelazione biblica, e della Teologia: spiega il comportamento divino, sempre sconcertante e stupefaciente. Perché così si rivela un Dio semplicemente al di là delle attese umane.

Per vivere con frutto questo momento mi lascio guidare da S. Paolo, che non parla espressamente del Natale di Betlemme: ecco un altro paradosso! Ma che ci parla del Natale del Signore, Gal 4,4-5: nato da donna, nato sotto la Legge… (e da passi complementari nella Lettera ai Romani. E mi lascio guidare da uno spirito grande del secolo scorso: R. Guardini, Il Signore, Milano 1976, che io trovo sempre profondo e sempre utile nelle meditazioni dei Misteri della Liturgia.

Il paradosso viene usato in tutta la Bibbia: Abramo, vecchio e senza figli, con Sara, vecchia e sterile: sono i genitori di una stirpe infinita di discendenti, tra cui anche il Bambino di Betlemme! Per il NT: il più grande paradosso, è proprio la Natività: quel Gesù Bambino che nasce a Betlemme, di Giudea, è il Figlio di Dio! Ma allora, il paradosso non è soltanto un artificio letterario, impiegato dagli Autori Sacri per attirare l’attenzione del lettore: (Paolo ad esempio, è maestro del paradosso: quando sono debole, è allora che sono forte!). Fà parte della pedagogia divina che sempre

Ma quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare coloro che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l’adozone a figli, Gal 4,4-5.

Il tempo si è fatto pieno, cioè gravido: è una gravidanza singolare, pure questa! È la nascita di questo Figlio che rende gravido il tempo; ma gravido di che cosa? della attesa! Questo di cui parla Paolo è ancora il tempo dell’attesa (è un chronos), diverso dal tempo del compimento, il kairos, (cf. Mc 1,1: il tempo, il kairos, è compiuto). L’accostamento più facile che ci viene in mente è Isaia, il Profeta dell’attesa:

Tu Signore sei nostro Padre, da sempre ti chiami nostro Redentore. Perchè Signore, ci lasci vagare lontano dalle tue vie, e lasci indurire il nostro cuore, così che non ti tema? Se tu squarciassi i cieli, e scendessi! (Is 63,16-19).

Nato da Donna: equivale per intensità e significato al proglogo di Gv 1,14: e il Verbo si fece carne. E questo è il paradosso più scovolgente di tutta la nostra storia: l’Incarnazione, il farsi Uomo del Figlio di Dio. Gesù Bambino è Uomo: ciò significa che esperimenta tutta la condizione dell’umanità, nel bene e nel male.

Nascere uomini non è solo positivo, vedi Giobbe 14,1: L’uomo nato da donna, breve di giorni e sazio di inquietudine, come un fiore, spunta e si secca!

Nato da Donna di Gal 4,4, significa, che Gesù accetta le regole dell’umanità, fino alla morte. Significa ancora, che Gesù nasce dentro la storia del suo popolo, Israele.

R. Guardini riguardo al prendere corpo di Gesù, si rivolge alle genealogie: vi troviamo i grandi e i santi, come Davide e Abramo (non troviamo però Acaz perché il Profeta Isaia lo aveva maledetto). Su, su fino a Lamech, e Adamo, per arrivare a Dio creatore, cf. R. Guardini, Il Signore: 21-24.

Le genealogie portano anche il valore della regalità e della santità: Gesù è seme di Davide secondo la carne, cf. Rom 1,13. È il Cristo secondo la Carne di Rom 9,5: egli che è sopra ogni cosa, Dio bendetto nei secoli.

Ma vi troviamo anche i peccati di Giuda con Tamar; di Davide con Bersabea; e Rahab la prostituta (ostessa); la moabita-straniera Ruth; il castigo di Babilonia; e infine l’attesa degli ultimi, definiti da R. Guardini, i poveri: Giacobbe, padre di Giuseppe, lo sposo di Maria, così povero che può offrire soltanto due tortore per la purificazione!

È passato per ogni prova, commenta R. Guardini, richiamando Ebr 4,15, tranne il peccato. « Ha sperimentato tutto ciò che significa umanità. I nominativi delle genealogie ci palesano che cosa vuol dire essere entrato nella storia dell’umanità, con il suo destino e con il suo debito. Meditado su questi nomi anche Gesù deve aver sentito profondamente cosa vuol dire: storia dell’uomo », cf. R. Guardini, Il Signore: 24

Ma il paradosso ricompare: Nato sotto la Legge per riscattare quelli che erano sotto la Legge. Sotto la Legge: è un aspetto non tanto positivo, significa essere soggetti alla Legge. È una sudditanza dalla quale abbiamo bisogno di essere liberati! e questo vale per gli israeliti, soprattutto.

Ma poi Paolo passa oltre al linguaggio giuridico (cf. il riscatto del minore che diventa maggiorenne; o dello schiavo che viene liberato) e ci rivela che a Natale noi diventiamo figli: e allora ci accorgiamo che Paolo passa decisamente al linguaggio salvifico.

Perché ricevessimo l’adozione a figli. Con questa affermazione Paolo sale ad un secondo livello di rivelazione, aperto a tutti, universale: dopo la discesa (kenosis) il movimento risale verso al Figliolanza divina. È questo è il nostro regalo di Natale più bello, che riscopriamo nelle parole di Paolo. La sua prospettiva è duplice: non solo affranca chi è schiavo della Legge, ma rende divini tutti gli uomini (i nati da donna, come Lui). Ecco la nostra speranza più grande.

Tutti coloro che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono Figli di Dio; e voi avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo, Abba! Padre, Rom 8,14-15.

R. Guardini dice che l’Incarnazione è la pupilla dei misteri del Cristianesimo. Perciò và circondata di pacata, trepida e supplice vigilanza, cf. R. Guardini, Il Signore: 33.

La pupilla dell’occhio è anzitutto una cosa preziosa, e delicata. Ma la pupilla è anche lo strumento che illumina e che viene illumiato dalla luce esterna. Non per niente la luce è un segno esteriore del Natale; ma la pupilla ci pure mostra l’interiore, l’anima. e dall’interno dell’anima credente si

Da un canto popolare trentino: Sorgete pastori, che al pari del giorno, con i raggi d’intorno, la notte spuntò! L’ultimo è il paradosso della notte, simbolo dell’oscurità che a Natale sorge come il giorno della salvezza, e con i suoi raggi illumina tutti i credenti.

Adamo di Perseigne, Discorso 4 per Natale: « I genitori portarono al Tempio il bambino Gesù »

dal sito:

http://www.levangileauquotidien.org/www/main.php?language=FR&localTime=12/30/2008#

Adamo di Perseigne ( ?-1221), abate cistercense
Discorso 4 per Natale

« I genitori portarono al Tempio il bambino Gesù »
La carne si avvicini al Verbo fattosi carne oggi, per farvi dimenticare ciò che è la carne e insegnarvi a passare, a poco a poco, dalla carne allo Spirito. Ci si avvicini dunque oggi, perché un nuovo sole brilla più del solito. Finora rinchiuso a Betlemme nelle ristrettezze di un presepe e conosciuto solo da un piccolo numero di persone, oggi viene a Gerusalemme nel Tempio del Signore; è presentato davanti numerose persone. Finora, Betlemme, da sola ti rallegravi della luce che era stata data per tutti; fiera del privilegio di una nascita inaudita, potevi rivaleggiare con l’Oriente stesso per la tua luce. Meglio, cosa incredibile a dirsi, c’era da te, in un presepe, più luce di quanta ne possa diffondere il sole di questo mondo al suo sorgere… Ma oggi, il Sole si dona per irradiare il mondo. Oggi, viene offerto nel Tempio di Gerusalemme, il Signore del Tempio.

Quanto sono felici coloro che si offrono a Dio come Cristo, come una colomba, nella solitudine di un cuore tranquillo! Questi sono maturi per celebrare con Maria il mistero della purificazione… Non è la madre di Dio, la quale non ha mai consentito al peccato, ad essere stata purificata in quel giorno. È l’uomo macchiato dal peccato ad essere oggi purificato dalla nascita e dall’offerta volontaria di lui… È stata così ottenuta, per mezzo di Maria, la nostra purificazione… Se abbracceremo con fede il frutto del suo seno, se ci offriremo con lui nel Tempio, ci purificherà il mistero che celebriamo.

Mons. Bruno Forte: Omelia per il Natale 2006

Natale, festa del sì di Dio all’uomo,
alla sua vita, al suo futuro

Omelia del Natale 2006

+ Bruno Forte
Arcivescovo Metropolita di Chieti-Vasto

http://www.webdiocesi.chiesacattolica.it/cci_new/documenti_diocesi/55/2006-12/31-195/Natale2006mattina.doc

 Natale, festa del Dio che nasce fra noi, facendosi uno di noi, per aprirci un futuro pieno di speranza, è annuncio di una grandissima gioia, la gioia che nasce dal sì di Dio, detto nella tenerezza e nella fragilità di quel Dio Bambino. Un sì che è il sì all’uomo, il sì alla vita e il sì a un futuro luminoso e bello per tutti. « Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio », e quel Figlio dell’uomo è il Figlio di Dio venuto nella nostra carne: ecco il sì di Dio all’uomo, che rivela tutta la dignità del nostro essere uomini e ci mostra quanto ognuno di noi sia importante per Lui. Natale vuol dire che Dio non è stanco degli uomini, che vuole anzi ancora impegnarsi per loro e che ognuno, anche il più piccolo fra gli esseri umani, ha per Lui un valore così grande da non esitare a mandare il Suo unico Figlio ad assumerne le gioie e i dolori, le speranze e le angosce, il presente e il futuro, la vita e la morte. A Natale impariamo da Dio ad essere e a volerci veramente umani: e proprio così impariamo a riconoscere in ogni persona l’immagine di Dio, la creatura che merita l’assoluto rispetto, a prescindere dalle sue qualità o capacità, dalla sua storia o dalla sua cultura. Chiunque sia l’essere umano che abbiamo davanti, giovane o vecchio, adulto o bambino, povero o ricco, sano o ammalato, qualunque sia il suo grado di cultura e la sua provenienza, il colore della sua pelle o la lingua che parla, l’impegno di giustizia e l’amore che gli è dovuto non ammettono eccezioni. Natale ci chiede di servire tutto l’uomo in ogni uomo, la dignità di ciascuno nella giustizia per tutti, il domani di ognuno nella pace per tutti. Il sì alla dignità della persona è allora il no alla guerra e alla sua potenza di distruzione, è il rifiuto della legge della forza perché si riconosca sempre la forza della legge. Natale ci ricorda che non ci sarà pace senza giustizia, senza volontà di dialogo con tutti, senza perdono richiesto e offerto a tutti.
 Il sì di Dio all’uomo si rivela così a Natale anche come il sì alla vita: questo sì alla vita di ogni essere umano, in ogni sua fase e in ogni sua espressione, risuona in questo Natale particolarmente vibrante, di fronte a una cultura della morte che sembra volersi fare strada nelle coscienze. Se Dio ci ha dato la vita, chi ha il diritto di togliercela al di fuori di Lui, che solo sa qual è per ciascuno il bene più grande? Se Lui ha detto sì alla nostra vita facendola sua, chi può arrogarsi il diritto di togliere la vita a sé o ad un altro? La drammatica vicenda di Piergiorgio Welby – l’ammalato di distrofia che ha più volte chiesto di cessare di vivere ed è stato esaudito in questi giorni non dal proprio medico curante, ma da un medico venuto da fuori a sedarlo e a staccare la spina – è stata fin troppo strumentalizzata, facendo di questa morte uno spettacolo che va ben oltre la discrezione dovuta di fronte alla fine di una vita. Ferma restando la « pietas » nei confronti di una sofferenza così grande, va detto con chiarezza che la vita di Welby aveva un valore infinito e lo avrebbe avuto in ogni istante, fino all’ultimo respiro che una morte non indotta gli avesse consentito. Se il Figlio di Dio è nato anche per Welby, se la vita si è fatta visibile in tutto il suo valore nel Bambino divino, chi è l’uomo per arrogarsi il diritto di decidere anche di un solo istante della vita propria o altrui? Chi ha pregato per Welby sa che il no al suo funerale in Chiesa non è stato il no alla pietà, né tanto meno il no alla fiducia nella misericordia divina, ma una forma di rispetto della verità per ricordare a tutti che rifiutare la vita è contro l’identità più profonda di ogni persona umana, quale Dio l’ha voluta. A nessuno è lecito supporre che la Chiesa possa approvare quanto è avvenuto nell’epilogo della vita di Welby: il no detto alle esequie religiose è un sì alla vita, per dare incoraggiamento ai tanti che soffrono come lui, per aiutarli a non staccare la spina, a credere nel valore di ogni istante di vita, anche del più doloroso. Alleviare la sofferenza con ogni mezzo medico, psicologico e spirituale è la sfida che ci viene posta davanti, mentre resta inaccettabile sopprimere la vita che ci è stata data e che non abbiamo alcun diritto di rifiutare, in noi come in ogni altro essere umano.
 Il sì alla vita si offre così a Natale come il sì alla speranza ed alla gioia per tutti: se Dio si è impegnato con gli uomini fino a farsi uno di noi, costruire il futuro dell’uomo vuol dire celebrare la gloria di Dio. Il sì alla vita, è inseparabile da questo sì al domani dell’uomo nel domani di Dio. Il Bambino che nasce è l’inizio di questo nuovo futuro: accoglierlo, è impegnarsi a rendere più bella e più degna la vita di tutti, e a credere che questo sia possibile, nonostante tutto e contro ogni apparenza contraria. La ragione di questo impegno e di questa speranza non è in qualcosa, ma in Qualcuno, in Colui che « ha dato se stesso per noi ». Il domani non è più un orizzonte oscuro: « Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse ». Non siamo soli in questa vita, non siamo soli in questo mondo: il Dio che è venuto fra noi, è il Dio con noi, e il Suo amore « ha moltiplicato la gioia, ha aumentato la letizia ». Come i pastori – poveri di tutto, ma liberi da tutto per potersi aprire pienamente alle sorprese dell’Eterno – anche noi siamo invitati ad accogliere il Bambino: al sì di Dio, ci è chiesto di rispondere col sì della nostra libertà, con un sì che sia detto insieme a Lui come sì all’uomo, alla vita e alla speranza, che può trasformare il dolore e vincerà la morte. Chiediamo al Signore del sì la fede e il coraggio necessari per questo nostro sì, pregando con le parole semplici e belle del Corale di Bach che è risuonato in questa Cattedrale proprio in preparazione a questo Natale nella splendida esecuzione dello struggente e insieme dolcissimo Oratorio di Natale del grandissimo Musicista, che ogni nota intese scrivere unicamente « zur Ehre Gottes » – « per la gloria di Dio »:
 
Come potrò accoglierTi,
in che modo incontrarTi,
o anelito di tutto il mondo,
o tesoro dell’anima mia?
Gesù, Gesù, poni
accanto a me la Tua fiaccola,
affinché ciò che Ti dà gioia
sia a me noto, da me riconosciuto.
Oh mio amato, piccolo Gesù,
preparati una culla pura e morbida
per riposare nello scrigno del mio cuore
affinché mai io mi dimentichi di Te!
…O mio Gesù, quando morrò
io so che non andrò perduto,
perché il Tuo nome sta scritto nel mio cuore
ed ha scacciato la paura della morte.
…O Gesù, sii Tu solo il mio desiderio,
o Gesù, siimi sempre nel pensiero,
o Gesù, non permettere che io vacilli!
…Io vengo a Te, Ti porto
quel che Tu mi hai donato,
il mio spirito, i miei sentimenti,
il mio cuore, l’anima mia, il mio coraggio:
accetta tutto
e fa’ che Ti sia gradito!
Amen!

 (da J.S.Bach, Oratorio di Natale, 5. 9. 38. 42.59)

Giovanni Paolo II, Omelia (citazione mia: « Quando venne la pienezza del tempo… ») (cfr Gal 4,4).

dal sito:

http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/homilies/1998/documents/hf_jp-ii_hom_01011998_it.html

GIOVANNI PAOLO II 

OMELIA ( « Quando venne la pienezza del tempo… ») (cfr Gal 4,4).

1° gennaio 1998  

1. « Quando venne la pienezza del tempo… » (cfr Gal 4,4). Queste parole della Lettera di san Paolo ai Galati corrispondono molto bene al carattere dell’odierna celebrazione. Siamo all’inizio del nuovo Anno. Secondo il calendario civile, oggi è il primo giorno del 1998; secondo quello liturgico, celebriamo la solennità di Maria Santissima, Madre di Dio.

A partire dalla tradizione cristiana, si è diffuso nel mondo l’uso di contare gli anni a partire dalla nascita di Cristo. Dunque, in questo giorno la dimensione laica e quella ecclesiale s’incontrano per fare festa. Mentre la Chiesa celebra l’Ottava del Natale del Signore, il mondo civile festeggia il primo giorno di un nuovo anno solare. Proprio in questo modo, di anno in anno, si manifesta gradualmente quella « pienezza del tempo » di cui parla l’Apostolo: è una sequenza che avanza nei secoli e nei millenni in modo progressivo e che avrà il suo definitivo compimento alla fine del mondo.

2. Celebriamo l’Ottava del Natale del Signore. Durante otto giorni abbiamo rivissuto nella liturgia il grande evento della nascita di Gesù, seguendo il racconto che ci viene offerto dai Vangeli. Quest’oggi san Luca ci ripropone la scena del Natale a Betlemme nei suoi tratti essenziali. L’odierna narrazione è, infatti, più sintetica rispetto a quella proclamata nella notte di Natale. Essa viene a confermare e, in un certo senso, a completare il testo della Lettera ai Galati. Scrive l’Apostolo: « … quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna…, perché ricevessimo l’adozione a figli. E che voi siete figli ne è prova il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Padre! Quindi non sei più schiavo, ma figlio; se poi figlio, sei anche erede per volontà di Dio » (Gal 4,4-7).

Questo stupendo testo di san Paolo esprime perfettamente quella che si può definire « la teologia del Natale del Signore ». E’ una teologia simile a quella proposta dall’evangelista Giovanni, il quale nel Prologo al quarto Vangelo scrive: « E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi… A quanti… l’hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio » (Gv 1,14.12). San Paolo esprime la stessa verità ma, possiamo dire, in un certo senso la completa. Questo è il grande annuncio che risuona nell’odierna liturgia: l’uomo diventa figlio adottivo di Dio grazie alla nascita dello stesso Figlio di Dio. L’uomo riceve tale figliolanza per opera dello Spirito Santo – lo Spirito del Figlio -, che Dio ha mandato nei nostri cuori. E’ grazie al dono dello Spirito Santo che possiamo dire: Abbà, Padre! Così san Paolo cerca di spiegare in che cosa consista e come si esprima la nostra figliolanza adottiva nei confronti di Dio.

3. Aiutati nella nostra riflessione teologica sul Natale del Signore da san Paolo e dall’apostolo Giovanni, comprendiamo meglio perché noi siamo soliti contare gli anni in riferimento alla nascita di Cristo. La storia si articola in secoli e millenni « prima » e « dopo » Cristo, poiché l’evento di Betlemme rappresenta la fondamentale misura del tempo umano. E’ la nascita di Gesù il centro del tempo. La Notte Santa è diventata il punto di riferimento essenziale per gli anni, i secoli e i millenni nei quali si sviluppa l’azione salvifica di Dio.

La venuta di Cristo nel mondo è importante dal punto di vista della storia dell’uomo, ma è ancor più importante dal punto di vista della salvezza dell’uomo. Gesù di Nazaret ha accettato di sottomettersi al limite del tempo e lo ha aperto una volta per sempre alla prospettiva dell’eternità. Attraverso la sua vita, e specialmente con la sua morte e la sua risurrezione, Cristo ha rivelato in modo inequivocabile che l’uomo non è un’esistenza « orientata verso la morte » e destinata ad esaurirsi in essa. L’uomo esiste non « per la morte », ma « per l’immortalità ». Grazie all’odierna liturgia, questa fondamentale verità sull’eterno destino dell’uomo viene riproposta all’inizio di ogni nuovo Anno. Vengono in tal modo posti in luce il valore e la giusta dimensione di ogni epoca, come pure del tempo che scorre inesorabile.

4. In questa prospettiva del valore e del senso del tempo umano, su cui si proietta la luce della fede, la Chiesa pone l’inizio del nuovo Anno sotto il segno della preghiera per la pace. Mentre auguro che l’intera umanità possa camminare in modo più deciso e concorde sulle vie della giustizia e della riconciliazione, sono lieto di salutare gli illustri Signori Ambasciatori presso la Santa Sede presenti a questa solenne celebrazione. Rivolgo un cordiale pensiero al caro Cardinale Roger Etchegaray, Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, ed a tutti i Collaboratori di tale Dicastero, a cui è affidato il compito specifico di testimoniare la preoccupazione del Papa e della Sede Apostolica per le varie situazioni di tensione e di guerra, nonché la costante sollecitudine che la Chiesa nutre per la costruzione di un mondo più giusto e fraterno.

Nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace di quest’anno ho voluto soffermarmi su un tema che mi sta particolarmente a cuore: lo stretto legame che unisce la promozione della giustizia e la costruzione della pace. In realtà – come recita il tema scelto per questa giornata – « Dalla giustizia di ciascuno nasce la pace per tutti ». Rivolgendomi ai Capi di Stato ed a tutte le persone di buona volontà, ho sottolineato come la ricerca della pace non possa prescindere dall’impegno per l’attuazione della giustizia. E’ una responsabilità a cui nessuno può sottrarsi. « Giustizia e pace non sono concetti astratti o ideali lontani; sono valori insiti, come patrimonio comune, nel cuore di ogni persona. Individui, famiglie, comunità, nazioni, tutti sono chiamati a vivere nella giustizia e ad operare per la pace. Nessuno può dispensarsi da questa responsabilità » (n. 1).

La Vergine Santissima, che in questo primo giorno dell’anno invochiamo col titolo di « Madre di Dio », rivolga il suo sguardo di amore sul mondo intero. Grazie alla sua materna intercessione, possano gli uomini di tutti i Continenti sentirsi più fratelli e disporre il cuore ad accogliere il suo Figlio Gesù. E’ Cristo l’autentica pace che riconcilia l’uomo con l’uomo e l’intera umanità con Dio.

5. « Dio ci benedica con la luce del suo volto » (Sal. resp.). La storia della salvezza è scandita dalla benedizione di Dio sul creato, sull’umanità, sul popolo dei credenti. Questa benedizione viene continuamente ripresa e confermata nello sviluppo degli eventi salvifici. Fin dal Libro della Genesi vediamo come Dio, via via che si susseguono i giorni della creazione, benedica tutto ciò che ha creato. In modo particolare, Egli benedice l’uomo fatto a propria immagine e somiglianza (cfr Gn 1,1-2,4).

Quest’oggi, primo giorno dell’anno, la liturgia rinnova, in un certo senso, la benedizione del Creatore che segna fin dall’inizio la storia dell’uomo, riprendendo le parole di Mosè: « Ti benedica il Signore e ti protegga. Il Signore faccia brillare il suo volto su di te e ti sia propizio. Il Signore rivolga su di te il suo volto e ti conceda pace » (Nm 6,24-26).

E’ una benedizione per l’anno che sta iniziando e per noi, che ci avviamo a vivere un’ulteriore frazione di tempo, dono prezioso di Dio. La Chiesa, quasi immedesimandosi con la mano provvidente di Dio Padre, inaugura questo nuovo Anno con una speciale benedizione, diretta ad ogni persona. Essa dice: Il Signore ti benedica e ti custodisca!

Sì, riempia Iddio i nostri giorni di frutti di bene. Conceda al mondo intero di vivere nella giustizia e nella pace!

Amen!

Santa Teresa d’Avila : « Simeone prese il bambino tra le braccia »

dal sito:

http://www.levangileauquotidien.org/www/main.php?language=FR&localTime=12/29/2008#

Santa Teresa d’Avila (1515-1582), carmelitana, dottore della Chiesa
Il cammino di perfezione, cap 31/33

« Simeone prese il bambino tra le braccia »
Nell’orazione di quiete, il Signore comincia a mostrarci che ascolta la nostra preghiera e ci accorda il suo Regno, affinché possiamo veramente benedirlo e santificare il suo nome, e incitiamo tutti gli uomini a fare lo stesso. Questa è una cosa soprannaturale che non possiamo procurarci con i nostri sforzi, qualsiasi essi siano.

Qui infatti, l’anima si immerge nella pace, o, per dirlo meglio, il Signore la immerge nella pace, con la sua presenza, come egli ha fatto per il giusto Simeone. Allora tutte le potenze dell’anima si pacificano, e essa capisce, con un modo di comprensione proprio diverso da quello che ci viene dai mezzi esteriori, che è vicinissima al suo Dio e che, poco le manca per essere nell’unione, una sola cosa con lui. Non che essa lo vedesse con gli occhi del corpo né con quelli dell’anima; anche il giusto Simeone vedeva esternamente soltanto l’augusto Poverello e guardando alle fasce che lo avvolgevano, al piccolo numero di coloro che gli facevano corteo, avrebbe potuto scambiarlo per il figlio di povera gente, piuttosto che per il Figlio del Padre celeste. Ma il Bambino in prima persona gli ha fatto sapere chi aveva di fronte. Qui, in questo stesso modo, l’anima capisce; con meno chiarezza tuttavia, perché non sa ancora come capisce. Soltanto, si accorge di trovarsi nel Regno, o almeno accanto al Re che deve darglielo, ed è commossa da un rispetto così grande da non osare fare alcuna domanda.

San Proclo di Costantinopoli : « Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna » (Gal 4,4) (EAQ 1/1/2008)

DAL SITO EAQ,   COMMENTO PER IL 1 GENNAIO 2008, SU Gal 4,4;


http://www.vangelodelgiorno.org/ 

San Proclo di Costantinopoli (circa 390-446), vescovo
Discorsi, 1 ; PG 65, 682

« Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna » (Gal 4,4) 

Che sussulti di gioia la natura e che esulti tutto il genere umano, anche le donne, infatti, sono elevate all’onore. Che l’umanità danzi in coro…: “Laddove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia” (Rm 5,20). Ci ha radunati qui la santa Madre di Dio, la Vergine Maria, tesoro purissimo della verginità, paradiso spirituale del secondo Adamo, luogo dell’unione delle nature, luogo di scambio in cui si è compiuta la nostra salvezza, stanza nuziale nella quale Cristo ha sposato la nostra carne. Essa è il roveto spirituale che il fuoco del parto di un Dio non ha consumato, la nuvoleta (1 Re 19,44) che ha portato colui che ha il suo trono sui cherubini, il vello purissimo, che ha ricevuto la rugiada celeste (Gdc 6,38)… Maria, serva e madre, vergine, cielo, ponte unico fra Dio e gli uomini, telaio dell’incarnazione sul quale la tunica dell’unione delle nature è stata mirabilmente tessuta: lo Spirito Santo ne è stato il tessitore.

Nella sua bontà, Dio non si è sdegnato di nascere da donna, anche se colui che sarebbe stato formato in lei era la vita stessa. Se però la madre non fosse rimasta vergine, non ci sarebbe stato in questo parto nulla di strano; semplicemente sarebbe nato un uomo. Ma poiché lei è rimasta vergine anche dopo il parto, come non potrebbe trattarsi di Dio e di un mistero inesprimibile? È nato in un modo ineffabile, senza macchia, colui che, dopo, entrerà senza ostacoli, a porte chiuse, e davanti al quale Tommaso esclamerà, contemplando l’unione delle sue due nature: “Mio Signore e mio Dio” (Gv 20,28).

Per amore nostro, colui che per natura è incapace di soffrire, si è esposto a numerose sofferenze. Cristo non è affatto divenuto Dio a poco a poco; assolutamente! Invece essendo Dio, la sua misericordia l’ha spinto a diventare uomo, come impariamo dalla  fede. Non predichiamo un uomo divenuto Dio, bensì proclamiamo Dio fatto carne. Ha scelto come madre la sua serva, colui che per natura non conosce madre e che si è incarnato nel tempo senza padre.

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