Archive pour décembre, 2008

IMMAGINID’AUTORE DELLA CONVERSIONE DI SAN PAOLO – BELLO IN INGLESE E FRANCESE (LINK)

IL SITO:

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IMMAGINI DEI PITTORI:

PARMIGIANINO
Lucas CRANACH
Giovanni BELLINI
MICHELANGELO Buonarroti
Fra ANGELICO
CARAVAGGIO;
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1 SETTIMANA DI AVVENTO – GIOVEDÌ 4 DICEMBRE 2008

1 SETTIMANA DI AVVENTO

GIOVEDÌ 4 DICEMBRE 2008

SAN GIOVANNI DAMASCENO (mf)
Sacerdote e Dottore della Chiesa

BIOGRAFIA
Nacque a Damasco nella seconda metà del secolo VII, da una famiglia di cristiani. Dopo aver ricevuto un’ottima istruzione filosofica, divenne monaco nel monastero di San Saba a Gerusalemme e fu ordinato sacerdote. Scrisse molte opere di dottrina teologica, in particolare contro gli iconoclasti. Morì verso la metà del secolo VIII.

UFFICIO DELLE LETTURE DELLA MEMORIA FACOLTATIVA

DAGLI SCRITTI…
Dalla «Dichiarazione di fede» di san Giovanni Damasceno, dottore della Chiesa
Tu mi hai chiamato, Signore, a servire i tuoi discepoli.
Tu, Signore, mi hai tratto dai fianchi di mio padre; tu mi hai formato nel grembo di mia madre; tu mi hai portato alla luce, nudo bambino, perché le leggi della nostra natura obbediscono costantemente ai tuoi precetti. Tu hai preparato con la benedizione dello Spirito Santo la mia creazione e la mia esistenza, non secondo volontà d’uomo o desiderio della carne, ma secondo la tua ineffabile grazia. Hai preparato la mia nascita con una preparazione che trascende le leggi della nostra natura, mi hai tratto alla luce adottandomi come figlio, mi hai iscritto fra i discepoli della tua Chiesa santa e immacolata. Tu mi hai nutrito di latte spirituale, del latte delle tue divine parole. mi hai sostentato con il solido cibo del Corpo di Gesù Cristo nostro Dio, Unigenito tuo santissimo, e mi hai inebriato con il calice divino del suo Sangue vivificante, che egli ha effuso per la salvezza di tutto il mondo.Tutto questo, Signore, perché ci hai amati e hai scelto come vittima, invece nostra, il tuo diletto Figlio unigenito per la nostra redenzione, ed egli accettò spontaneamente; senza resistere, anzi come uno che era destinato al sacrificio, quale agnello innocente si avviò alla morte da se stesso, perché, essendo Dio, si fece uomo e si sottomise, di propria volontà, facendosi «obbediente fino alla morte e alla morte di croce» (Fil 2, 8). E così, o Cristo mio Dio, tu hai umiliato te stesso per prendere sulle tue spalle me, pecorella smarrita, e farmi pascolare in pascolo verdeggiante e nutrirmi con le acque della retta dottrina per mezzo dei tuoi pastori, i quali, nutriti da te, han poi potuto pascere il tuo gregge eletto e nobile. Ora, o Signore, tu mi hai chiamato per mezzo del tuo sacerdote a servire i tuoi discepoli. non so con quale disegno tu abbia fatto questo; tu solo lo sai. Tuttavia, Signore, alleggerisci il pesante fardello dei miei peccati, con i quali ho gravemente mancato; monda la mia mente e il mio cuore; guidami per la retta viva come una lampada luminosa; dammi una parola franca quando apro la bocca; donami una lingua chiara e spedita per mezzo della lingua di fuoco del tuo Spirito e la tua presenza sempre mi assista. Pascimi, o Signore, e pasci tu con me gli altri, perché il mio cuore non mi pieghi né a destra né a sinistra, ma il tuo Spirito buono mi indirizzi sulla retta via perché le mie azioni siano secondo la tua volontà e lo siano veramente fino all’ultimo. Tu poi, o nobile vertice di perfetta purità, o nobilissima assemblea della Chiesa, che attendi aiuto da Dio; tu in cui abita Dio, accogli da noi la dottrina della fede immune da errore; con essa si rafforzi la Chiesa, come ci fu trasmesso dai Padri.

UFFICIO DELLE LETTURE DEL TEMPO ORDINARIO

Seconda Lettura
Dal «Commento sul Diatèssaron» di sant’Efrem, diacono
(Cap. 18, 15-17; dalla versione armena del CSCO, t. 2, 188-190)

Vegliate: egli di nuovo verrà
«Nessuno conosce quell’ora, neanche gli angeli, neppure il Figlio» (Mt 24, 36). Disse questo per impedire che i discepoli lo interrogassero ancora sul tempo della sua venuta. «Non spetta a voi», disse, «conoscere i tempi e i momenti» (At 1, 7). Egli nascose la cosa perché fossimo vigilanti e ognuno di noi ritenesse che il fatto può accadere ai nostri stessi giorni. Se infatti fosse stato rivelato il tempo della sua venuta, il suo avvento sarebbe rimasto senza mordente, né la sua manifestazione avrebbe costituito oggetto di attesa delle nazioni e dei secoli. Disse perciò semplicemente che sarebbe venuto, ma non determinò il tempo, e così ecco che in tutte le generazioni e nei secoli si mantiene viva la speranza del suo arrivo. Benché infatti il Signore abbia indicato i segni della sua venuta, tuttavia non si comprende la loro ultima scadenza, poiché attraverso molteplici mutazioni essi vennero, passarono e sono tuttora in atto. La sua ultima venuta infatti è simile alla prima. Come lo attendevano i giusti e i profeti, perché pensavano che si sarebbe rivelato ai loro giorni, così oggi i fedeli desiderano accoglierlo, ognuno nel proprio tempo, appunto perché egli non indicò chiaramente il giorno della sua visita; ciò soprattutto perché nessuno pensasse che fosse sottomesso a costrizione e a tempi colui che ha il libero dominio di ritmi e dei tempi. Ciò che lui stesso ha stabilito, come poteva essergli nascosto, dal momento che egli stesso ha manifestato perfino i segni della sua venuta? Disse dunque: «Non lo so», anzitutto per impedire che lo interrogassero ancora, e poi perché risultassero efficaci i segni indicati. Mise in risalto quei segni perché fin dall’inizio tutti i popoli e tutti i tempi avessero motivo di pensare che la sua venuta si sarebbe potuta verificare ai loro giorni. Vegliate, perché, quando il corpo s’addormenta, ha in noi il sopravvento la natura, e la nostra azione non si svolge secondo la nostra volontà, ma si compie secondo un impulso inconscio. E quando il torpore, cioè la viltà e la trepidazione, domina l’anima, prende dominio su di lei il nemico e fa per suo mezzo ciò ch’essa non vuole. Sulla natura domina una forza bruta e sull’anima domina il nemico.
Pertanto la vigilanza di cui parlò il Signore nostro è prescritta per ambedue: per il corpo, perché non si abbandoni a pesante sonno; per l’anima, perché non cada nel torpore della pusillanimità, secondo quel che dice la Scrittura: «Siate vigilanti, o giusti» (cfr. 1 Cor 15, 34), e: «Mi sono alzato e sono con te (cfr. Sal 138, 18), e ancora: «Non lasciatevi stancare, e perciò non desistiamo nel ministero che ci è stato affidato» (cfr. 2 Cor 4, 1).

1 SETTIMANA DI AVVENTO – MERCOLEDÌ 3 DICEMBRE 2008

1 SETTIMANA DI AVVENTO

MERCOLEDÌ 3 DICEMBRE 2008

SAN FRANCESCO SAVERIO (m)

San Francesco Saverio
Sacerdote e Missionario

BIOGRAFIA
Nacque in Spagna nel 1506; mentre a Parigi seguiva gli studi letterari, si fece compagno di sant’Ignazio. A Roma nel 1537 fu ordinato sacerdote ed attese ad opere di carità. Nel 1541 partì per l’Oriente, evangelizzò indefessamente per dieci anni l’India e il Giappone e convertì molti alla fede. Morì nel 1552 nell’isola cinese di San-cion o San-cian.

non ci sono riferimenti a San Paolo, ma si tratta di un missionario;

UFFICIO DELLE LETTURE

Dalle «Lettere» a sant’Ignazio di san Francesco Saverio, sacerdote
(Lett. 20 ott. 1542, 15 gennaio 1544; Epist. S. Francisci Xaverii aliaque eius scripta, ed. G. Schurhammer I Wicki, t. I,
Mon. Hist. Soc. Iesu, vol. 67, Romae, 1944, pp. 147-148; 166-167)
 
Guai a me se non predicherò il Vangelo!
Abbiamo percorso i villaggi dei neofiti, che pochi anni fa avevano ricevuto i sacramenti cristiani. Questa zona non è abitata dai Portoghesi, perché estremamente sterile e povera, e i cristiani indigeni, privi di sacerdoti, non sanno nient’altro se non che sono cristiani. non c’è nessuno che celebri le sacre funzioni, nessuno che insegni loro il Credo, il Padre nostro, l’Ave ed i Comandamenti della legge divina. Da quando dunque arrivai qui non mi sono fermato un istante; percorro con assiduità i villaggi, amministro il battesimo ai bambini che non l’hanno ancora ricevuto. Così ho salvato un numero grandissimo di bambini, i quali, come si dice, non sapevano distinguere la destra dalla sinistra. I fanciulli poi non mi lasciano né dire l’Ufficio divino, né prendere cibo, né riposare fino a che non ho loro insegnato qualche preghiera; allora ho cominciato a capire che a loro appartiene il regno dei cieli. Perciò, non potendo senza empietà respingere una domanda così giusta, a cominciare dalla confessione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, insegnavo loro il Simbolo apostolico, il Padre nostro e l’Ave Maria. Mi sono accorto che sono molti intelligenti e, se ci fosse qualcuno a istruirli nella legge cristiana, non dubito che diventerebbero ottimi cristiani. Moltissimi, in questi luoghi, non si fanno ora cristiani solamente perché manca chi li faccia cristiani. Molto spesso mi viene in mente di percorrere le Università d’Europa, specialmente quella di Parigi, e di mettermi a gridare qua e là come un pazzo e scuotere coloro che hanno più scienza che carità con queste parole: Ahimè, quale gran numero di anime, per colpa vostra, viene escluso dal cielo e cacciato all’inferno! Oh! se costoro, come si occupano di lettere, così si dessero pensiero anche di questo, onde poter rendere conto a Dio della scienza e dei talenti ricevuti! In verità moltissimi di costoro, turbati questo pensiero, dandosi alla meditazione delle cose divine, si disporrebbero ad ascoltare quanto il Signore dice al loro cuore, e, messe da parte le loro brame e gli affari umani, si metterebbero totalmente a disposizione della volontà di Dio. Griderebbero certo dal profondo del loro cuore: «Signore, eccomi; che cosa vuoi che io faccia?» (At 9, 6 volg.). Mandami dove vuoi, magari anche in India.(Lett. 20 ott. 1542, 15 gennaio 1544; Epist. S. Francisci Xaverii aliaque eius scripta, ed. G. Schurhammer I Wicki, t. I, Mon. Hist. Soc. Iesu, vol. 67, Romae, 1944, pp. 147-148; 166-167)

LODI

Lettura Breve   Eb 13, 7-9a
Ricordatevi dei vostri capi, i quali vi hanno annunziato la parola di Dio; considerando attentamente l’esito del loro tenore di vita, imitatene la fede. Gesù Cristo è lo st
esso ieri, oggi e sempre! Non lasciatevi sviare da dottrine diverse e peregrine.

1 SETTIMANA DI AVVENTO – LUNEDÌ 1 DICEMBRE 2008

1 SETTIMANA DI AVVENTO

LUNEDÌ 1 DICEMBRE 2008

UFFICIO DELLE LETTURE

seconda lettura: due letture proposte in alterantiva, le metto tutte e due:

Seconda Lettura
Dai «Discorsi sull’Avvento del Signore» di san Bernardo, abate.
(Disc. 4, 1. 3-4; PL 183, 47-49).

Il dono dell’Avvento
Fratelli, celebrate come si conviene, con grande fervore di spirito, l’Avvento del Signore, con viva gioia per il dono che vi viene fatto e con profonda riconoscenza per l’amore che vi viene dimostrato. Non meditate però solo sulla prima venuta del Signore, quando egli entrò nel mondo per cercare e salvare ciò che era perduto, ma anche sulla seconda, quando ritornerà per unirci a sé per sempre. Fate oggetto di contemplazione la doppia visita del Cristo, riflettendo su quanto ci ha donato nella prima e si quanto ci ha promesso per la seconda. «E’ giunto infatti il momento», fratelli, «in cui ha inizio il giudizio a partire dalla casa di Dio» (1 Pt 4, 17). Ma quale sarà la sorte di coloro che rifiutano attualmente questo giudizio? Chi infatti si sottrae al giudizio presente in cui il principe di questo mondo viene cacciato fuori, aspetti, o, piuttosto, tema il Giudice futuro dal quale sarà cacciato fuori insieme al suo principe. Se invece noi ci sottomettiamo già ora al doveroso giudizio, siamo sicuri, e «aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso» (Fil 3, 20-21). «Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro» (Mt 13, 43). «Il Salvatore trasfigurerà» con la sua venuta «il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso» solo se già prima troverà rinnovato e conformato nell’umiltà al suo il nostro cuore. Per questo dice: «Imparate da me che sono mite ed umile di cuore» (Mt 11, 29). Considera in queste parole la doppia specie di umiltà, quella di conoscenza e quella di volontà. Quest’ultima qui viene chiamata umiltà di cuore. Con la prima conosciamo il nostro niente, come deduciamo dall’esperienza di noi stessi e della nostra debolezza. Con la seconda rifiutiamo la gloria fatua del mondo. Noi impariamo l’umiltà del cuore da colui che «spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo» (Fil 2, 7), da colui che, quando fu richiesto per essere fatto re, fuggì; invece quando fu ricercato per essere coperto di oltraggi e condannato all’ignominia e al supplizio della croce, si offrì di propria spontanea volontà.

Oppure:
Dalle «Lettere pastorali» di san Carlo Borromeo, vescovo.
(Lettera sopra l’Avvento. Acta Ecclesiae Mediolanensis, t. 3, p. 481; riproduzione testuale,eccettuate le parole latine)
 
Il tempo d’Avvento
«Eccovi, amatissimi figliuoli, quel tempo così celebre e solenne. « Tempo », come dice lo Spirito Santo, « favorevole ». Tempo di salute, di pace e di riconciliazione. Tempo, che come fu con tanti sospiri sommamente desiderato da quegli antichi patriarchi e santi profeti, come all’ultimo, con allegrezza grande, veduto da quel giusto Simeone, come sempre solennemente celebrato dalla santa Chiesa, così ha da essere da noi piamente santificato, con lodare e ringraziare perpetuamente il Padre eterno della sua infinita misericordia nel mistero di questo tempo, cioè nella venuta del suo unigenito Figliuolo, che, per smisurato amore verso di noi peccatori, egli mandò per liberarci dalla tirannide del demonio, per invitarci al cielo, per comunicarci i secreti celesti, per dimostrarci la verità, per insegnarci i costumi, per seminare in noi le virtù, per arricchirci dei tesori della sua grazia e per farci figliuoli suoi, eredi e possessori della vita eterna. Questo mistero mentre ogni anno la Chiesa celebra, ella ci ammonisce a tener perpetua memoria di così gran carità usataci dal misericordioso Dio; e insieme ci insegna che la venuta del Signore non fu solamente per quelli, che avanti o che allora si trovarono nel mondo quando egli venne, ma la virtù d’essa resta sempre per beneficio di tutti noi ancora, se per mezzo della santa fede e dei divini sacramenti vorremo ricevere la grazia che ci ha portata, e secondo quella ordinare la vita nostra sotto la sua obbedienza. Vuole ancora che intendiamo che si come egli venne una volta in carne al mondo, così, se per noi non resta, è per venire ogn’ora, anzi in ogni momento, ad abitare spiritualmente nell’anime nostre, con abbondanti doni. Perciò la Chiesa, come madre pia e zelante della nostra salute, in occasione di questo sacro tempo, con inni, cantici e altre voci dello Spirito Santo, e misteriosi riti, ci istruisce perché riconosciamo il beneficio con animo grato e lo riceviamo con frutto e procuriamo di fare alla venuta del Signore nei cuori nostri non minor preparazione di quella che faremmo s`egli avesse a venire di presente al mondo; né minore di quella che perciò fecero già i santi Padri del Vecchio Testamento, e che con parole e esempi loro insegnarono a noi ancora di fare».

VESPRI

Lettura breve   Fil 3, 20b-21
Aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che ha di sottomettere a sé tutte le cose.

Piccole Chiese del silenzio nella terra di san Paolo

dal sito:

http://www.asianews.it:80/index.php?l=it&art=13843&size=A

TURCHIA

Piccole Chiese del silenzio nella terra di san Paolo
di Geries Othman

Per molti pellegrini in Turchia, l’Anno Paolino è l’occasione di trovare a Tarso, Antiochia, Efeso le pietre di un antico passato e il faticoso presente di comunità cristiane ridotte al lumicino ed emarginate dal laicismo e dall’Islam. Ma esse sono anche un piccolo seme dove scoprire la stessa missione di san Paolo, l’unità e la carità.

Ankara (AsiaNews) – Dal giugno scorso in terra di Turchia è un continuo susseguirsi di fedeli provenienti da diversi Paesi del mondo: Italia, Germania, Spagna e Francia e poi ancora America Latina, Corea e persino Giappone. I numerosi pellegrini vogliono ricalcare le “orme di san Paolo”, ripercorrere i luoghi dove l’Apostolo – del quale quest’anno si celebrano i 2000 anni dalla nascita – è nato, ha vissuto, ha lottato e sofferto per le comunità cristiane allora appena sorte. Non c’è giorno in cui gruppi di fedeli non passano da Tarso, Antiochia, Efeso. Ma troppo spesso agli occhi di questi pellegrini rimangono impresse solo pietre all’ombra dei numerosi minareti, tornando così a casa con un gran senso di sgomento se non con la convinzione che in Turchia non ci siano più cristiani, ma solo ed esclusivamente musulmani.

Nel novembre del 1939, Angelo Roncalli (divenuto poi papa Giovanni XXIII), era Delegato apostolico ad Istanbul. Nel suo “Giornale dell’anima” scriveva: “Del Regno del Signore Gesù Cristo resta qui in Turchia ben poca cosa. Reliquie e semi”. Nulla pare cambiato in questi 70 anni: agli occhi dei pellegrini si palesano solo pietre, seppure gloriose, di un passato che non c’è più; chiese trasformate in musei, moschee, scuole o biblioteche.

Una Chiesa ridotta al silenzio

Lo sgomento è ancora più profondo se si pensa che fino ad un secolo fa, in Turchia viveva la comunità più numerosa di cristiani in Medio Oriente. Oggi è la più ridotta. Dei circa 2 milioni di cristiani all’inizio del Novecento, infatti, ne sono rimasti solo 150 mila, quasi tutti concentrati nei grandi centri di Istanbul, Smirne e Mersin, il resto sparso in Anatolia in minuscole comunità. Quasi la metà sono fedeli della Chiesa apostolica armena, poi vengono le comunità cattoliche, circa 30mila in tutto, principalmente latini, ma anche armeni, siriaci e caldei. I protestanti delle varie denominazioni sono 20mila, seguiti dai siro-ortodossi, circa 10mila, solo un decimo del numero presente un secolo fa nella zona meridionale di Tur Abdin. I greco-ortodossi di Bartolomeo I si sono ridotti invece a soltanto circa 5mila. Tra i 70 milioni di abitanti, dunque, i cristiani rappresentano un numero piccolissimo, quasi ridicolo, che se fatti i calcoli, rappresenta lo zero virgola per cento. Una Chiesa che davvero è più piccola del più piccolo dei semi.

La scomparsa delle Chiese è andata di pari passo con la riduzione di tutte le istituzioni benefiche gestite dalla Chiesa (ospedali, ospizi, scuole), sia per il progressivo venir meno del personale sia per i gravami economici imposti dallo Stato. Numerosi sono gli ostacoli che rendono difficile la vita delle comunità cristiane in un Paese che, nonostante tutto, si definisce laico: l’assenza di personalità giuridica;le restrizioni al diritto di proprietà; le ingerenze nella gestione delle fondazioni; l’impossibilità di formare il clero; la sorveglianza poliziesca esercitata sui cristiani. La legislazione turca complica la vita alla Chiesa cattolica. Non è ancora stato trovato uno statuto che le permetta una esistenza legale e che quindi possa avere voce nella società. E per quanto riguarda la libertà religiosa, se è vero che una circolare turca del dicembre 2003 autorizza il cambio di identità religiosa, ossia il passaggio da una confessione a un’altra, sulla base di una semplice dichiarazione, la realtà dei fatti dimostra che la pressione sociale e mediatica ha ben altro potere.

Basti pensare ad Ankara. La capitale del Paese, dovrebbe essere la roccaforte della laicità della nazione, eppure le 250 famiglie cristiane presenti, sparpagliate tra i sei milioni di abitanti, si sentono costrette a dare un nome non cristiano ai propri figli, perché non vengano poi denigrati a scuola e non trovino in seguito discriminazioni sul posto di lavoro. Nascondono la propria fede persino nelle case, non esibendo alle pareti immagini e segni sacri che possano turbare la convivenza pacifica con i vicini di casa. Soffrono tutte le volte che si recano al cimitero nel vedere le tombe dei loro cari ripetutamente profanate, le croci divelte, le lapidi sfregiate.  Si sentono squadrati da capo a piedi dalla polizia in borghese presente sul portone d’ingresso, quando vogliono anche solo andare ad accendere una candela in chiesa.  Comunità cristiane ridotte al silenzio, dunque, come scriveva già allora, con estrema lucidità Roncalli: “Una modesta minoranza che vive alla superficie di un vasto mondo con cui abbiamo solo contatti di carattere esteriore”. Una Chiesa che arranca, che fatica, una chiesa impaurita.

Crescere nell’unità

Per chi si professa cristiano la vita in Turchia non è facile, ed è proprio a questi fedeli che, in occasione del bimillenario di san Paolo, la Cet (Conferenza Episcopale Turca) ha pubblicato una lettera pastorale con la finalità di risvegliare nei cristiani di Turchia la coscienza della propria identità e per ridare coraggio e franchezza. Mons. Luigi Padovese, vescovo dell’Anatolia e presidente della Cet, esprime le sue speranze: “Mi aspetto che i fedeli che vivono in Turchia, attraverso la lettura degli scritti e della vita di san Paolo, possano rafforzare e quindi amare di più la loro identità cristiana. Dalle lettere paoline emerge la grande fatica affrontata dal santo per portare il messaggio di Cristo nelle zone più impervie della Turchia. Se si pensa ai pericoli, all’enorme forza spirituale che ha animato l’apostolato di Paolo nel suo peregrinare da una regione all’altra, non si può non rimanere colpiti, subendo un vero e proprio cambiamento interiore. Il mio desiderio più grande è vedere nel pellegrino che si reca in Anatolia e nei cristiani qui presenti la presa di coscienza che il cristianesimo non è solo un fattore geografico o ereditario ma anche missione, impegno, difficoltà. Prendendo coscienza di ciò, matura un cristiano più forte”.

Ma come non sentirsi isolati, persi, sopraffatti, in un mondo che ti considera ingiustamente un corpo estraneo, fastidioso, ingombrante, minaccioso?

Fortunato è chi può appoggiarsi ad una comunità, fortunato chi trova una chiesa aperta a cui far riferimento e in cui vivere quel senso di appartenenza che lo aiuta ad andare avanti. Ecco perché lo sforzo dei pastori delle Chiese è quello di insistere sull’unità. Sempre nella lettera pastorale della Cet di quest’anno si dice: « Prima di essere cattolici, ortodossi, siriani, armeni, caldei, protestanti, siamo cristiani. Su questa base si fonda il nostro dovere di essere testimoni. Non lasciamo che le nostre differenze generino diffidenze e vadano a scapito dell’unità di fede; non permettiamo che chi non è cristiano s’allontani da Cristo a motivo delle nostre divisioni ».

Ed è proprio quello che cercano di vivere i cristiani in Turchia. Ad Antiochia, Mersin,  Smirne, Trabzon, Istanbul o Ankara, lo sparuto gruppuscolo di fedeli la domenica si ritrova nell’unica chiesa presente in città e insieme, non importa se ortodossi, armeni, cattolici o caldei, pregano, cantano, si stringono attorno all’Eucarestia dove attingere la forza di essere cristiani e poi, al termine della celebrazione eucaristica bevono insieme un tè, scambiano quattro battute, riflettono sulla propria fede e sulla propria esistenza. Sono piccoli semi destinati a crescere.

E ora che si avvicina il Natale, vissuto senza grandi segni esteriori, si organizzano per addobbare la chiesa, costruire il presepe, preparare una recita, vivacizzare la liturgia della notte con un coro, offrire un cenone ai più poveri, dopo il digiuno tenuto durante tutto l’avvento, secondo la tradizione ortodossa. Un dialogo delle opere, una fraternità quotidiana, fatta di gesti semplici, piccoli, forse anche banali, ma che aiutano a credere, a continuare a sperare contro ogni speranza.

Benedetto XVI e il rapporto fra Adamo e Cristo in San Paolo (Rm; 1Cor)

dal sito:

http://www.zenit.org/article-16371?l=italian

Benedetto XVI e il rapporto fra Adamo e Cristo in San Paolo

Intervento in occasione dell’Udienza generale

CITTA’ DEL VATICANO, mercoledì, 3 dicembre 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il testo della catechesi pronunciata questo mercoledì da Benedetto XVI in occasione dell’Udienza generale svoltasi nell’aula Paolo VI.

Nel discorso in lingua italiana, il Santo Padre, continuando il ciclo di catechesi su San Paolo Apostolo, si è soffermato sulla sua predicazione sul rapporto fra Adamo, il primo uomo, e Cristo.

* * *

Cari fratelli e sorelle,

nell’odierna catechesi ci soffermeremo sulle relazioni tra Adamo e Cristo, delineate da san Paolo nella nota pagina della Lettera ai Romani (5,12-21), nella quale egli consegna alla Chiesa le linee essenziali della dottrina sul peccato originale. In verità, già nella prima Lettera ai Corinzi, trattando della fede nella risurrezione, Paolo aveva introdotto il confronto tra il progenitore e Cristo: « Come infatti in Adamo tutti muoiono, così in Cristo tutti riceveranno la vita… Il primo uomo, Adamo, divenne un essere vivente, ma l’ultimo Adamo divenne spirito datore di vita » (1 Cor 15,22.45). Con Rm 5,12-21 il confronto tra Cristo e Adamo si fa più articolato e illuminante: Paolo ripercorre la storia della salvezza da Adamo alla Legge e da questa a Cristo. Al centro della scena non si trova tanto Adamo con le conseguenze del peccato sull’umanità, quanto Gesù Cristo e la grazia che, mediante Lui, è stata riversata in abbondanza sull’umanità. La ripetizione del « molto più » riguardante Cristo sottolinea come il dono ricevuto in Lui sorpassi, di gran lunga, il peccato di Adamo e le conseguenze prodotte sull’umanità, così che Paolo può giungere alla conclusione: « Ma dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia » (Rm 5,20). Pertanto, il confronto che Paolo traccia tra Adamo e Cristo mette in luce l’inferiorità del primo uomo rispetto alla prevalenza del secondo. D’altro canto, è proprio per mettere in evidenza l’incommensurabile dono della grazia, in Cristo, che Paolo accenna al peccato di Adamo: si direbbe che se non fosse stato per dimostrare la centralità della grazia, egli non si sarebbe attardato a trattare del peccato che « a causa di un solo uomo è entrato nel mondo e, con il peccato, la morte » (Rm 5,12). Per questo se, nella fede della Chiesa, è maturata la consapevolezza del dogma del peccato originale è perché esso è connesso inscindibilmente con l’altro dogma, quello della salvezza e della libertà in Cristo. La conseguenza di ciò è che non dovremmo mai trattare del peccato di Adamo e dell’umanità in modo distaccato dal contesto salvifico, senza comprenderli cioè nell’orizzonte della giustificazione in Cristo. Ma come uomini di oggi dobbiamo domandarci: che cosa è questo peccato originale? Che cosa insegna san Paolo, che cosa insegna la Chiesa? È ancora oggi sostenibile questa dottrina? Molti pensano che, alla luce della storia dell’evoluzione, non ci sarebbe più posto per la dottrina di un primo peccato, che poi si diffonderebbe in tutta la storia dell’umanità. E, di conseguenza, anche la questione della Redenzione e del Redentore perderebbe il suo fondamento. Dunque, esiste il peccato originale o no? Per poter rispondere dobbiamo distinguere due aspetti della dottrina sul peccato originale. Esiste un aspetto empirico, cioè una realtà concreta, visibile, direi tangibile per tutti. E un aspetto misterico, riguardante il fondamento ontologico di questo fatto. Il dato empirico è che esiste una contraddizione nel nostro essere. Da una parte ogni uomo sa che deve fare il bene e intimamente lo vuole anche fare. Ma, nello stesso tempo, sente anche l’altro impulso di fare il contrario, di seguire la strada dell’egoismo, della violenza, di fare solo quanto gli piace anche sapendo di agire così contro il bene, contro Dio e contro il prossimo. San Paolo nella sua Lettera ai Romani ha espresso questa contraddizione nel nostro essere così: «C’è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio» (7, 18-19). Questa contraddizione interiore del nostro essere non è una teoria. Ognuno di noi la prova ogni giorno. E soprattutto vediamo sempre intorno a noi la prevalenza di questa seconda volontà. Basta pensare alle notizie quotidiane su ingiustizie, violenza, menzogna, lussuria. Ogni giorno lo vediamo: è un fatto. Come conseguenza di questo potere del male nelle nostre anime, si è sviluppato nella storia un fiume sporco, che avvelena la geografia della storia umana. Il grande pensatore francese Blaise Pascal ha parlato di una «seconda natura», che si sovrappone alla nostra natura originaria, buona. Questa « seconda natura » fa apparire il male come normale per l’uomo. Così anche l’espressione solita: «questo è umano» ha un duplice significato. «Questo è umano» può voler dire: quest’uomo è buono, realmente agisce come dovrebbe agire un uomo. Ma «questo è umano» può anche voler dire la falsità: il male è normale, è umano. Il male sembra essere divenuto una seconda natura. Questa contraddizione dell’essere umano, della nostra storia deve provocare, e provoca anche oggi, il desiderio di redenzione. E, in realtà, il desiderio che il mondo sia cambiato e la promessa che sarà creato un mondo di giustizia, di pace, di bene, è presente dappertutto: in politica, ad esempio, tutti parlano di questa necessità di cambiare il mondo, di creare un mondo più giusto. E proprio questo è espressione del desiderio che ci sia una liberazione dalla contraddizione che sperimentiamo in noi stessi. Quindi il fatto del potere del male nel cuore umano e nella storia umana è innegabile. La questione è: come si spiega questo male? Nella storia del pensiero, prescindendo dalla fede cristiana, esiste un modello principale di spiegazione, con diverse variazioni. Questo modello dice: l’essere stesso è contraddittorio, porta in sè sia il bene sia il male. Nell’antichità questa idea implicava l’opinione che esistessero due principi ugualmente originari: un principio buono e un principio cattivo. Tale dualismo sarebbe insuperabile; i due principi stanno sullo stesso livello, perciò ci sarà sempre, fin dall’origine dell’essere, questa contraddizione. La contraddizione del nostro essere, quindi, rifletterebbe solo la contrarietà dei due principi divini, per così dire. Nella versione evoluzionistica, atea, del mondo ritorna in modo nuovo la stessa visione. Anche se, in tale concezione, la visione dell’essere è monistica, si suppone che l’essere come tale dall’inizio porti in se il male e il bene. L’essere stesso non è semplicemente buono, ma aperto al bene e al male. Il male è ugualmente originario come il bene. E la storia umana svilupperebbe soltanto il modello già presente in tutta l’evoluzione precedente. Ciò che i cristiani chiamano peccato originale sarebbe in realtà solo il carattere misto dell’essere, una mescolanza di bene e di male che, secondo questa teoria, apparterrebbe alla stessa stoffa dell’essere. È una visione in fondo disperata: se è così, il male è invincibile. Alla fine conta solo il proprio interesse. E ogni progresso sarebbe necessariamente da pagare con un fiume di male e chi volesse servire al progresso dovrebbe accettare di pagare questo prezzo. La politica, in fondo, è impostata proprio su queste premesse: e ne vediamo gli effetti. Questo pensiero moderno può, alla fine, solo creare tristezza e cinismo. E così domandiamo di nuovo: che cosa dice la fede, testimoniata da san Paolo? Come primo punto, essa conferma il fatto della competizione tra le due nature, il fatto di questo male la cui ombra pesa su tutta la creazione. Abbiamo sentito il capitolo 7 della Lettera ai Romani, potremmo aggiungere il capitolo 8. Il male esiste, semplicemente. Come spiegazione, in contrasto con i dualismi e i monismi che abbiamo brevemente considerato e trovato desolanti, la fede ci dice: esistono due misteri di luce e un mistero di notte, che è però avvolto dai misteri di luce. Il primo mistero di luce è questo: la fede ci dice che non ci sono due principi, uno buono e uno cattivo, ma c’è un solo principio, il Dio creatore, e questo principio è buono, solo buono, senza ombra di male. E perciò anche l’essere non è un misto di bene e male; l’essere come tale è buono e perciò è bene essere, è bene vivere. Questo è il lieto annuncio della fede: c’è solo una fonte buona, il Creatore. E perciò vivere è un bene, è buona cosa essere un uomo, una donna, è buona la vita. Poi segue un mistero di buio, di notte. Il male non viene dalla fonte dell’essere stesso, non è ugualmente originario. Il male viene da una libertà creata, da una libertà abusata. Come è stato possibile, come è successo? Questo rimane oscuro. Il male non è logico. Solo Dio e il bene sono logici, sono luce. Il male rimane misterioso. Lo si è presentato in grandi immagini, come fa il capitolo 3 della Genesi, con quella visione dei due alberi, del serpente, dell’uomo peccatore. Una grande immagine che ci fa indovinare, ma non può spiegare quanto è in se stesso illogico. Possiamo indovinare, non spiegare; neppure possiamo raccontarlo come un fatto accanto all’altro, perché è una realtà più profonda. Rimane un mistero di buio, di notte. Ma si aggiunge subito un mistero di luce. Il male viene da una fonte subordinata. Dio con la sua luce è più forte. E perciò il male può essere superato. Perciò la creatura, l’uomo, è sanabile. Le visioni dualiste, anche il monismo dell’evoluzionismo, non possono dire che l’uomo sia sanabile; ma se il male viene solo da una fonte subordinata, rimane vero che l’uomo è sanabile. E il Libro della Sapienza dice: « Hai creato sanabili le nazioni » (1, 14 volg). E finalmente, ultimo punto, l’uomo non è solo sanabile, è sanato di fatto. Dio ha introdotto la guarigione. È entrato in persona nella storia. Alla permanente fonte del male ha opposto una fonte di puro bene. Cristo crocifisso e risorto, nuovo Adamo, oppone al fiume sporco del male un fiume di luce. E questo fiume è presente nelle storia: vediamo i santi, i grandi santi ma anche gli umili santi, i semplici fedeli. Vediamo che il fiume di luce che viene da Cristo è presente, è forte. Fratelli e sorelle, è tempo di Avvento. Nel linguaggio della Chiesa la parola Avvento ha due significati: presenza e attesa. Presenza: la luce è presente, Cristo è il nuovo Adamo, è con noi e in mezzo a noi. Già splende la luce e dobbiamo aprire gli occhi del cuore per vedere la luce e per introdurci nel fiume della luce. Soprattutto essere grati del fatto che Dio stesso è entrato nella storia come nuova fonte di bene. Ma Avvento dice anche attesa. La notte oscura del male è ancora forte. E perciò preghiamo nell’Avvento con l’antico popolo di Dio: «Rorate caeli desuper». E preghiamo con insistenza: vieni Gesù; vieni, dà forza alla luce e al bene; vieni dove domina la menzogna, l’ignoranza di Dio, la violenza, l’ingiustizia; vieni, Signore Gesù, dà forza al bene nel mondo e aiutaci a essere portatori della tua luce, operatori della pace, testimoni della verità. Vieni Signore Gesù!

Un reportage nei luoghi, nella mente e nel cuore di san Paolo

dal sito:

http://www.zenit.org/article-16367?l=italian

Un reportage nei luoghi, nella mente e nel cuore di san Paolo

ROMA, martedì, 2 dicembre 2008 (ZENIT.org).- L’esegeta biblico e archeologo inglese, Peter Walker, ha pubblicato un resoconto del “grande itinerario paolino” che nel I secolo d.C. portò Saulo di Tarso sempre più lontano dalla Palestina.

Walker, che ha viaggiato nei Paesi del Mediterraneo come guida e per motivi di studio e ha scritto vari libri sui luoghi legati agli avvenimenti della storia sacra, ha raccolto il frutto delle sue riflessioni nel volume intitolato “Sui passi di san Paolo. Guida spirituale, storica e geografica ai viaggi di san Paolo” (Elledici-Edizioni Messaggero Padova-Velar 2008, pagg. 214, € 20,00).

Il libro presenta 14 luoghi visitati da Paolo e citati negli Atti degli Apostoli, inquadrandoli nell’avventurosa vicenda paolina, nella grande storia del Mediterraneo e nella realtà odierna.

Il testo, arricchito da fotografie a colori, cronologie, elaborazioni grafiche, cartine e approfondimenti, accompagna il lettore in un viaggio suggestivo attraverso strade, paesaggi e città, ma anche nella mente e nel cuore dell’Apostolo delle genti.

In un’intervista, che verrà pubblicata sul n. di gennaio-febbraio 2009 di Insegnare religione, la rivista del settore Scuola dell’editrice “Elledici”, Walker ha parlato di tre dei siti, a suo avviso, più suggestivi e commoventi legati a san Paolo.

Primo tra tutti ha detto di scegliere “il panorama dei superbi monti del Tauro che sovrastano la moderna Antalya, nella Turchia meridionale; mi domando ancora oggi che cosa spinse l’Apostolo a valicarli: non c’è da stupirsi che Giovanni Marco avesse deciso di fare ritorno a Gerusalemme…”

“ Poi ci sono le solitarie coste di Malta spazzate dai venti invernali, che ci aiutano a rivivere il dramma di 276 naufraghi dopo due settimane alla deriva”, aggiunge.

“Infine c’è la Basilica di San Paolo, a Roma – prosegue –, davanti alla quale possiamo meditare sul singolare destino dell’Apostolo, che, decapitato non lontano, rimase sepolto ‘fuori le mura’: lui, un uomo che avrebbe influenzato in maniera così significativa quella città e la sua storia”.

Parlando di come le vicende narrate negli Atti degli Apostoli e nell’epistolario paolino trovino conferma nell’archeologia e nella topografia, l’autore del libro ha detto che “un seggio nell’antico teatro di Mileto che, secondo una scritta, era utilizzato dai ‘timorati di Dio’ (i pagani attratti dal monoteismo ebraico, ndr), ma anche il lastricato di Corinto che porta la ‘firma’ epigrafica di Erasto, un personaggio di rilievo citato in Romani 16, confermano che gli Atti ci restituiscono un quadro veritiero del mondo mediterraneo del primo secolo”.

Circa alcuni aspetti oscuri nella biografia di Paolo di Tarso che vorrebbe veder “risolti”, Walker ha ammesso che “sarebbe bello sapere che cosa fece nel periodo di vita nel deserto poco dopo la conversione, oppure che cosa accadde quando fece ritorno a Tarso: fu ripudiato dai parenti?”.

“Per quanto mi riguarda – afferma –, sarei curioso di sapere se nel 56 d.C. viaggiò veramente in Illiria, l’antico nome della Jugoslavia, magari scrivendo 1 Timoteo e Tito da quella regione (è una questione che discuto nel mio libro)”.

“Ma soprattutto – osserva – : Paolo poté mai allontanarsi da Roma da uomo libero? Io giungo a una conclusione negativa: potrebbe essere stato inserito in una lunga ‘lista d’attesa’, per finire sotto processo prima del grande incendio del 64 d.C. Non posso esserne sicuro, ma è un’ipotesi ragionevole”.    

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