L’ELEZIONE DI ISRAELE (Rm 9-11)
L’ELEZIONE DI ISRAELE (Rm 9-11)
stralcio dal libro: Padre Prof. Manns Frédéric, L’Israele di Dio, EDB, Bologna 1998 (titolo originale: L’Israel de Dieu. Essai sur le christianisme primitif)
Parte Prima, pagg. 92-97
L’elezione di Israele è un pilastro che sorregge la Bibbia da Gen 12 fino alla letteratura sapienziale. L’intertestamento (NOTA 1) sviluppa il tema nel libro dei Giubilei 15, 31-32 e nei Salmi di Salomone 9, 8-9. L’elezione si esprime nel dono della Legge e del Sabato. Qumran aveva interpretato l’alleanza come osservanza dei comandamenti. Con la nascita del cristianesimo, questo pilastro del giudaismo sarebbe stato contestato. La Chiesa ora si sostituì alla Sinagoga, ora comprese la sua missione in continuità con quella della Sinagoga. Interrogheremo al tradizione patristica, dopo un breve richiamo del testo fondamentale di Rm 9-11. Abbiamo voluto consultare quei testi a monte della fede che furono i Padri e prestare attenzione agli scritti del cristianesimo primitivo che erano molto sensibili al problema di Israele: Rievocheremo alla fine la reazione della Sinagoga. [questo stralcio riguarda unicamente la prima parte, ossia il commento del docente al brano citato della lettera ai Romani].
[salto la "I Premessa" riguarda il comportamento di Gesù nei riguardi della Legge]
II – I privilegi di Israele secondo Rm 9,1-5
Nei suoi scritti della maturità Paolo ritorna sul problema della Legge e dell’elezione di Israele. Piuttosto che analizzare tutti i testi riguardanti la Legge e l’elezione, ci limitiamo qui al testo fondamentale di Rm 9-11. Quando Paolo rievoca la sorte di Israele, comincia con l’esprimere il dolore causato dal rigetto del suo popolo, e poi lo giustifica con le prerogative di cui Israele era stato onorato. Sono otto i privilegi che Paolo enumera in Rm 9, 4-5 e che definisce come charismata in 11,29: sono doni irrevocabili, perché testimoniano la fedeltà di Dio alla sua parola.
L’adozione filiale. Israele è definito come il figlio primogenito di Dio in Es 4,22. Dt 14,1 e Os 11,1. In Rm 8 Paolo aveva trattato dell’adozione filiale del cristiano, erede di Dio e coerede di Cristo, santificato dallo Spirito. Si chiedeva come tutta la pasta potesse conseguire la gloria che le primizie già possiedono. Riparte dalla radice della filiazione che si trova nella promessa fatta a tutto Israele.
La gloria. Questo termine designa l’apparizione visibile e luminosa della presenza di Dio in seno ad Israele. Es 24,16 e 40, 34-35 ne dà testimonianza. Per i rabbini il concetto è sinonimo di Shekinah di Dio.
Le alleanze. Il termine al plurale rievoca le alleanze con Noè, Abramo, Isacco e Giacobbe, con Mosè e soprattutto quella conclusiva con Davide. Tutta questa serie di alleanze, testimonianze del dialogo incessantemente ripreso da Dio con il suo popolo, ricorda che la storia biblica altro non è che una economia salvifica.
La legislazione. Tutte le leggi considerate in blocco sono riassunte con questo temine. Paolo considera la Legge come un privilegio accordato a Israele. Per suo mezzo Israele può conoscere il Dio vivente: Essa fu un pedagogo che doveva permettere al popolo di restare fedele all’alleanza. È l’espressione della misericordia di Dio.
Il culto. Il Tempio era considerato come abitazione della Shekinah. Tre volte all’anno Israele saliva al tempio per incontrare il suo Dio, offrirgli le primizie dei suoi raccolti e condividere coi poveri i doni di Dio.
Le promesse. Questo termine, sinonimo di alleanza, designa il contenuto specifico delle alleanze. Rm 4, 13 ricorda che Dio promise ad Abramo di ereditare il mondo. Le promesse designano le grazie future, che saranno più grandi dei benefici già accordati.
I Patriarchi. I Padri di Israele sono generalmente rievocati in rapporto ai loro meriti. Il merito di Abramo era sovente messo in rapporto con l’esodo. La liturgia di Rosh-ha-shanah sottolinea il merito di Isacco. Per il merito di Giacobbe Israele aveva ricevuto la Legge.
Il Cristo uscito da Israele. La Bibbia annunciava che da Sion sarebbe uscito il salvatore. Paolo lo ricorda in Rm 11,26. Le numerose profezie messianiche l’avevano affermato. Conviene notare che Paolo si guarda bene dall’applicare la formula precedente al Cristo, cosa che avrebbe significato che il Messia è proprietà dei giudei. L’espressione « da essi » significa che il Messia proviene dai giudei in quanto alla sua origine, ma non appartiene loro in modo esclusivo in quanto alla destinazione. L’origine dei privilegi menzionati mostra chiaramente che sono orientati verso il Cristo. Inoltre, dopo aver menzionato il Cristo, Paolo riprende la formula tradizionale: « Dio benedetto nei secoli ».
Dopo aver enumerato questi privilegi, Paolo pone la questione: cosa è Israele? Si impone un ritorno all’indietro sulla Scrittura. Un esame attento del testo sacro mostra che Dio ha chiamato Israele suo figlio primogenito, poiché l’orizzonte di questo popolo è spirituale e indipendente dalla storia naturale. Ma Dio ha agito con sovrana libertà nel confronti del popolo eletto. L’esempio di Ismaele e di Isacco i figli di Abramo, lo dimostra chiaramente. Isacco è in modo esclusivo il padre della posterità di Abramo. Ma questo non significa che tutto ciò che nascerà da Isacco ne farà parte. L’esempio di Esaù e di Giacobbe lo prova. Rebecca vede attuarsi fra i suoi figli una selezione che si era attuata nei confronti dei figli di Abramo. La preferenza liberamente accordata a Giacobbe lo prova. Rebecca vede attuarsi fra i suoi primi figli una selezione che si era attuata nei confronti dei figli di Abramo. La preferenza liberamente accordata a Giacobbe si era espressa prima della nascita dei gemelli: non era fondata su di una merito particolare. Solo i figli della promessa hanno ricevuto la benedizione. C’è dunque un duplice Israele: L’Israele che si è indurito e che si è escluso dalla benedizione e l’Israele che si è aperto al Messia e in lui ha ricevuto la benedizione. Quest’ultimo è l’Israele autentico (Rm 9,6), il resto eletto per grazia (Rm 9,6-29).
III – Alleanza e benedizione
G. Mendenhall, nella sua opera Law and Covenant in Israel, ha formulato l’ipotesi che le formule di alleanza della Bibbia si ispirino a trattati di alleanza del contesto ambientale. Queste formule, dopo un prologo storico e la menzione delle stipulazioni, si concludono con una lista degli dèi presi come testimoni e con delle formule di maledizione e di benedizione. Nella Bibbia, infatti, ritroviamo la presenza della benedizione, dopo le diverse alleanze.
Dopo l’alleanza con Noè, Dio benedice i suoi figli (Gen 0,1). Rinnova la benedizione fatta ad Adamo: « Siate fecondi e moltiplicatevi e riempite la terra ».
L’alleanza con Abramo è caratterizzata da una benedizione: « Io ti benedirò, renderò grande il tuo nome e diventerai una benedizione. Benedirò coloro che ti benediranno » (Gen 12, 2-4ù3). Anche Sara riceve una benedizione (Gen 17,16).
L’alleanza con Mosè sul Sinai è accompagnata da una benedizione: « Voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa » (Es 19,6).
L’Alleanza con Davide è anch’essa accompagnata da una benedizione: « Non ritirerò da lui il mio favore » (2Sam 7,15).
Dt 28 promette a Mosè, se obbedisce alla legge, innumerevoli benedizioni. Se Israele non obbedisce lo colpiranno le maledizioni.
Si può dire in breve, che la benedizione è la chiave ermeneutica di tutta la storia biblica. Paolo d’altronde lo riconosce in Rm 4. Come Abramo, malgrado la morte che già lo assaliva, si era riconosciuto padre prima di esserlo, sulla semplice parola divina, così il credente si vede giustificato e vivente nel Cristo risorto. In altri termini, la benedizione promessa ad Abramo diventa la redenzione di Dio in Cristo. Incondizionata ed irrevocabile. La benedizione si riassume nel concetto di shalom.
La teologia dell’alleanza nella Lettera ai Romani appare prima di tutto in 3,1-8, che tratta dell’elezione. La benedizione proviene dal sacrificio delle nuova alleanza, perché Cristo è diventato strumento di espiazione. La giustizia dipende ora dalla grazia e dalla misericordia, dal perdono divino dato da Dio in Cristo a tutti gli uomini. A partire dal capitolo 4 Paolo illustra questi concetti basandosi sull’alleanza abramitica, poi a partire dal capitolo 5,12 ne esamina gli effetti su tutta l’umanità dopo Adamo. Il passaggio dal peccato alla grazia, dalla legge al dono dello Spirito è descritto nei cc. 6-8. La forza dello Spirito, ricevuto nel battesimo, fa entrare l’uomo e tutto il creato nella libertà dei figli di Dio. La creazione attende di essere liberata dalla schiavitù. Non è sola, perché tutte le nazioni e Israele attendono questa liberazione. Solo il Cristo apporta la benedizione escatologica alle nazioni e a Israele.
IV – Israele e la benedizione escatologica in Rm 9,6-11,36
In Rm 9, 6-29 Paolo vuole dimostrare che il vero Israele è quello che ha ricevuto la benedizione di Dio, che realizza le promesse fatte ad Abramo. La vera discendenza di Abramo deve essere ricercata nell’economia dell’elezione di Dio che chiama quelli che vuole incorporare nell’alleanza a diventare suoi figli. La misericordia di Dio riduce il numero dei figli di Israele a un resto riunito per pura grazia.
Quando si rilegge l’elenco dei privilegi di Israele, non si può non notare che la benedizione è assente, o se è presente, non appare che associata al Cristo che è Dio benedetto nei secoli.
Nella Lettera ai Galati, che affronta il medesimo tema della Lettera ai Romani, Paolo ritorna sulla benedizione fatta ad Abramo: in te saranno benedette tutte le genti (Gal 3,8). Ora, questa benedizione non viene dalla Legge, che è fonte di maledizione. Il solo discendente di Abramo da cui è venuta la benedizione è il Cristo. La filiazione divina è possibile grazie al dono dello Spirito che Dio ha inviato nei nostri cuori e che ci permette di chiamare Dio Abbà. Quelli che fanno appello alla fede sono i veri figli di Abramo. D’altra parte il dono della Legge non ha mai annullato la promessa. La benedizione è un gesto di unione, un gesto di incontro e di scambio. Benedire è entrare in contatto con qualcuno e stabilire una corrente di vita. La benedizione è anche un gesto di riconciliazione. La parola che esprime nel modo più completo tutte le ricchezze della benedizione è shalom, termine che designa molto più che l’assenza di guerra o la semplice tranquillità. La pace biblica evoca la ricchezza, la salute e la vita, la pienezza di benessere e di gioia. La ricchezza fondamentale della benedizione è quella della fecondità. Essa mostra l’efficacia irrevocabile di una parola pronunciata e di una mano nascosta che dirige gli eventi.
Bisogna dire, alla fine, una parola su di un altro testo in cui Paolo rievoca i privilegi di Israele: la Lettera ai Filippesi 3,5-8. « Circonciso l’ottavo giorno, della stirpe di Israele, della tribù di Beniamino, ebreo da ebrei, fariseo quanto alla Legge: quanto allo zelo, persecutore della Chiesa: irreprensibile quanto alla giustizia che deriva dall’osservanza della Legge. Ma quello che poteva essere per me un guadagno, l’ho considerato una perdita a motivo di Cristo. Anzi tutto oramai io reputo una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero come skybala al fine di guadagnare Cristo e di essere trovato in lui, non con una mia giustizia derivante dalla Legge, ma con quella che deriva dalla fede in Cristo, cioè con la giustizia che deriva da Dio, basata sulla fede ». Dopo aver definito i privilegi che gli aveva conferito la sua nascita come delle perdite (zemia), Paolo ricorre al termine skybala che significa sterco e letame. Se Paolo ha scelto un termine forte, lo ha fatto perché voleva evitare ogni sfumatura. Il suo pensiero è chiaro. Dopo l’incontro con Cristo i privilegi nazionali non hanno più senso. Paolo lo ripeterà in altro modo nella Lettera ai Colossesi 3,11: non c’è più greco o giudeo. Non si poteva affermare più chiaramente l’abolizione dei privilegi di Israele.
DA NOTARE:
una nota 1, l’ho messa io, riguarda il significato di intertestamento, si può leggere una spiegazione su:
http://www.corsodireligione.it/bibbiaspecial/dizionarietto/diz_intertestamento.html
UNA CONSIDERAZIONE:
il testo che propongo è uno stralcio, ossia è solo una esegesi del testo; non vi è qui una riflessione teologica, inoltre il testo prosegue con un argomento molti importante: il giudeocristianesimo, presente nei primi secoli e anche molto dopo, insomma voglio dire che la lettura di Padre Manns che propongo va compresa come strettamente biblica, desidero presentare questo testo, appunto come una esegesi, per il resto Padre Manns fa teologia; il recente Sinodo dei Vescovi – giustamente per me, per quello che conta – ribadisce che la stretta esegesi deve essere accompagnata da una riflessione teologica, poi propongo il testo, del Sinodo devo ancora vedere bene tutti i documenti;
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