Archive pour novembre, 2008

Giovanni Paolo II, udienza 3 febbraio 1982 (1Cor 15)

dal sito:

http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/audiences/1982/documents/hf_jp-ii_aud_19820203_it.html

seconda catechesi dopo la settimana per l’Unità dei Cristiani;

UDIENZA GENERALE DEL SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO II

Mercoledì, 3 febbraio 1982 

1. Dalle parole di Cristo sulla futura risurrezione dei morti, riportate da tutti e tre i Vangeli sinottici (Matteo, Marco e Luca), siamo passati all’antropologia paolina della risurrezione. Analizziamo la prima lettera ai Corinzi al capitolo 15 versetti 42-49.

Nella risurrezione il corpo umano si manifesta – secondo le parole dell’Apostolo – “incorruttibile, glorioso, pieno di forza, spirituale”. La risurrezione non è, dunque, soltanto una manifestazione della vita che vince la morte – quasi un ritorno finale all’albero della Vita, dal quale l’uomo è stato allontanato al momento del peccato originale – ma è anche una rivelazione degli ultimi destini dell’uomo in tutta la pienezza della sua natura psicosomatica e della sua soggettività personale. Paolo di Tarso – il quale, seguendo le orme degli altri Apostoli, ha sperimentato nell’incontro con Cristo risorto lo stato del suo corpo glorificato – basandosi su questa esperienza, annunzia nella lettera ai Romani “la redenzione del corpo” (Rm 8, 23) e nella lettera ai Corinzi (1 Cor 15, 42-49) il compimento di questa redenzione nella futura risurrezione.

2. Il metodo letterario, applicato qui da Paolo, corrisponde perfettamente al suo stile. Questo si serve di antitesi, che ad un tempo avvicinano ciò che contrappongono e in tal modo sono utili a farci comprendere il pensiero paolino circa la risurrezione: sia nella sua dimensione “cosmica”, sia per quanto riguarda la caratteristica della stessa struttura interna dell’uomo “terrestre” e “celeste”. L’Apostolo, infatti, nel contrapporre Adamo e Cristo (risorto) – ossia il primo Adamo all’ultimo Adamo – mostra, in certo senso, i due poli, tra i quali, nel mistero della creazione e della redenzione, è stato situato l’uomo nel cosmo; si potrebbe pure dire che l’uomo sia stato “posto in tensione” tra questi due poli nella prospettiva degli eterni destini, riguardanti, dal principio sino alla fine, la stessa sua natura umana. Quando Paolo scrive: “Il primo uomo tratto dalla terra è di terra, il secondo uomo viene dal cielo” (1 Cor 15, 47), ha in mente sia Adamo-uomo sia pure Cristo quale uomo. Tra questi due poli – tra il primo e l’ultimo Adamo – si svolge il processo che egli esprime nelle seguenti parole: “Come abbiamo portato l’immagine dell’uomo di terra, così porteremo l’immagine dell’uomo celeste” (1 Cor 15, 49).

3. Quest’“uomo celeste” – l’uomo della risurrezione, il cui prototipo è Cristo risorto – non è tanto antitesi e negazione dell’“uomo di terra” (il cui prototipo è il “primo Adamo”), ma soprattutto è il suo compimento e la sua confermazione. È il compimento e la confermazione di ciò che corrisponde alla costituzione psico-somatica dell’umanità, nell’ambito dei destini eterni, cioè nel pensiero e nel piano di colui che dal principio creò l’uomo a sua immagine e somiglianza. L’umanità del “primo Adamo”, “uomo di terra”, porta in sé, direi, una particolare potenzialità (che è capacità e prontezza) ad accogliere tutto ciò che divenne il “secondo Adamo”, l’Uomo celeste, ossia Cristo: ciò che egli divenne nella sua risurrezione. Quella umanità di cui sono partecipi tutti gli uomini, figli del primo Adamo, e che, insieme all’eredità del peccato – essendo carnale – al tempo stesso è “corruttibile”, e porta in sé la potenzialità dell’“incorruttibilità”.

Quell’umanità, che in tutta la sua costituzione psicosomatica si manifesta “ignobile”, e tuttavia porta in sé l’interiore desiderio della gloria, cioè la tendenza e la capacità di diventare “gloriosa”, a immagine del Cristo risorto. Infine, la stessa umanità, di cui l’Apostolo – conformemente all’esperienza di tutti gli uomini – dice che è “debole” e ha “corpo animale”, porta in sé l’aspirazione a divenire “piena di forza” e “spirituale”.

4. Noi parliamo qui della natura umana nella sua integrità, cioè della umanità nella sua costituzione psicosomatica. Paolo, invece, parla del “corpo”. Tuttavia possiamo ammettere, in base al contesto immediato e a quello remoto, che non si tratta per lui soltanto del corpo, ma dell’uomo intero nella sua corporeità, dunque anche della sua complessità ontologica. Difatti, non vi è alcun dubbio che, se appunto in tutto il mondo visibile (cosmo), quell’unico corpo che è il corpo umano, porta in sé la “potenzialità della risurrezione”, cioè l’aspirazione e la capacità di diventare definitivamente “incorruttibile, glorioso, pieno di forza, spirituale”, ciò avviene perché, persistendo dal principio nell’unità psicosomatica dell’essere personale, egli può cogliere e riprodurre in questa “terrena” immagine e somiglianza di Dio anche l’immagine “celeste” dell’ultimo Adamo, Cristo. L’antropologia paolina della risurrezione è cosmica ed universale insieme: ogni uomo porta in sé l’immagine di Adamo e ognuno è anche chiamato a portare in sé l’immagine di Cristo, l’immagine del Risorto. Questa immagine è la realtà dell’“altro mondo”, la realtà escatologica (san Paolo scrive: “porteremo”); ma, nel contempo, essa è già in certo modo una realtà di questo mondo, dato che è stata rivelata in esso mediante la risurrezione di Cristo. È una realtà innestata nell’uomo di “questo mondo”, realtà che in lui sta maturando verso il compimento finale.

5. Tutte le antitesi che si susseguono nel testo di Paolo aiutano a costruire un valido abbozzo dell’antropologia della risurrezione. Tale abbozzo è contemporaneamente più dettagliato di quello che emerge dal testo dei Vangeli sinottici (Mt 22, 30; Mc 12, 25; Lc 20, 34-35), ma dall’altra parte è, in certo senso, più unilaterale. Le parole di Cristo riportate dai Sinottici, aprono davanti a noi la prospettiva della perfezione escatologica del corpo, sottomesso pienamente alla profondità divinizzatrice della visione di Dio “a faccia a faccia”, in cui troverà la sua inesauribile fonte sia la perenne “verginità” (unita al significato sponsale del corpo), sia la perenne “intersoggettività” di tutti gli uomini, che diverranno (come maschi e femmine) partecipi della risurrezione. L’abbozzo paolino della perfezione escatologica del corpo glorificato sembra rimanere piuttosto nell’ambito della stessa struttura interiore dell’uomo-persona. La sua interpretazione della futura risurrezione sembrerebbe riallacciarsi al “dualismo” corpo-spirito che costituisce la sorgente dell’interiore “sistema di forze” nell’uomo.

6. Questo “sistema di forze” subirà nella risurrezione un cambiamento radicale. Le parole di Paolo, che lo suggeriscono in modo esplicito, non possono tuttavia essere intese ed interpretate nello spirito dell’antropologia dualistica (“Paul ne tient absolument pas compte de la dichotomie grecque “me et corps” . . . L’apôtre recourt à une sorte de trichotomie où la totalité de l’homme est corps, me et esprit . . . Tous ces termes sont mouvants et la division elle-même n’a pas de frontière fixe. Il y a insistance sur le fait que le corps et l’âme sont capables d’être “pneumatiques”, spirituels” [B. Rigaux, Dieu l’a ressuscité. Exégèse et théologie biblique, Gembloux 1973, Duculot, pp. 406-408]) come cercheremo di mostrare nel seguito della nostra analisi. Infatti, ci converrà dedicare ancora una riflessione all’antropologia della risurrezione nella luce della prima lettera ai Corinzi.

Giovanni Paolo II, Udienza 10 febbraio 1982 (1Cor 15)

dal sito:

http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/audiences/1982/documents/hf_jp-ii_aud_19820210_it.html

terza catechesi su San Paolo dopo la setimana per l’Unità dei cristiani;

UDIENZA GENERALE DEL SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO II

Mercoledì, 10 febbraio 1982 

1. Dalle parole di Cristo sulla futura risurrezione dei corpi, riportate da tutti e tre i Vangeli sinottici (Matteo, Marco e Luca), siamo passati nelle nostre riflessioni a ciò che su quel tema scrive Paolo nella prima lettera ai Corinzi (1 Cor 15). La nostra analisi s’incentra soprattutto su ciò che si potrebbe denominare “antropologia della risurrezione” secondo san Paolo. L’Autore della lettera contrappone lo stato dell’uomo “di terra” (cioè storico) allo stato dell’uomo risorto, caratterizzando, in modo lapidario e penetrante insieme, l’interiore “sistema di forze” specifico di ciascuno di questi stati.

2. Che questo sistema interiore di forze debba subire nella risurrezione una radicale trasformazione, sembra indicato, prima di tutto, dalla contrapposizione tra corpo “debole” e corpo “pieno di forza”. Paolo scrive: “Si semina corruttibile e risorge incorruttibile; si semina ignobile e risorge glorioso, si semina debole e risorge pieno di forza” (1 Cor 15, 42-43). “Debole” è quindi il corpo che – usando il linguaggio metafisico – sorge dal suolo temporale dell’umanità. La metafora paolina corrisponde parimenti alla terminologia scientifica, che definisce l’inizio dell’uomo in quanto corpo con lo stesso termine (“semen”). Se, agli occhi dell’Apostolo, il corpo umano che sorge dal seme terrestre risulta “debole”, ciò significa non soltanto che esso è “corruttibile”, sottoposto alla morte ed a tutto ciò che vi conduce, ma pure che è “corpo animale”.(L’originale greco usa il termine psychikón. In san Paolo esso appare solo nella prima lettera ai Corinzi [2, 14; 15, 44; 15, 46] e non altrove, probabilmente a causa delle tendenze pregnostiche dei Corinzi, ed ha un significato peggiorativo; riguardo al contenuto, corrisponde al termine “carnale” [cf. 2Cor 1,12; 10,4].
Tuttavia nelle altre lettere paoline la “psyche” e i suoi derivati significano l’esistenza terrena dell’uomo nelle sue manifestazioni, il modo di vivere dell’individuo e perfino la stessa persona in senso positivo [ad es., per indicare l’ideale di vita della comunità ecclesiale: miâ psychê-i “in un solo spirito”: Fil 1, 27; sýmpsychoi = “con l’unione dei vostri spiriti”: Fil 2, 2; isópsychon = “d’animo uguale”: Fil 2, 20; cf. R Jewett, Paul’s Anthropological Terms. A. Study of Their Use in Conflict Settings, Leiden 1971, Brill, pp. 2, 448-449]) Il corpo “pieno di forza”, invece, che l’uomo erediterà dall’ultimo Adamo, Cristo, in quanto partecipe della futura risurrezione sarà un corpo “spirituale”. Esso sarà incorruttibile, non più minacciato dalla morte. Così, dunque, l’antinomia “debole-pieno di forza” si riferisce esplicitamente non tanto al corpo considerato a parte, quanto a tutta la costituzione dell’uomo considerato nella sua corporeità. Solo nel quadro di una tale costituzione il corpo può diventare “spirituale”; e tale spiritualizzazione del corpo sarà la fonte della sua forza ed incorruttibilità (o immortalità).

3. Questo tema ha le sue origini già nei primi capitoli del libro della Genesi. Si può dire che san Paolo vede la realtà della futura risurrezione come una certa “restitutio in integrum”, cioè come la reintegrazione ed insieme il raggiungimento della pienezza dell’umanità. Non è soltanto una restituzione, perché in tal caso la risurrezione sarebbe, in certo senso, ritorno a quello stato, cui partecipava l’anima prima del peccato, fuori della conoscenza del bene e del male (cf. Gen 1-2). Ma un tale ritorno non corrisponde alla logica interna di tutta l’economia salvifica, al più profondo significato del mistero della redenzione. “Restitutio in integrum”, collegata con la risurrezione e la realtà dell’“altro mondo”, può essere solo introduzione ad una nuova pienezza. Questa sarà una pienezza che presuppone tutta la storia dell’uomo, formata dal dramma dell’albero della conoscenza del bene e del male (cf. Gen 3) e nello stesso tempo permeata dal mistero della redenzione.

4. Secondo le parole della prima lettera ai Corinzi, l’uomo in cui la concupiscenza prevale sulla spiritualità, cioè, il “corpo animale” (1 Cor 15, 44), è condannato alla morte; deve invece risorgere un “corpo spirituale”, l’uomo in cui lo spirito otterrà una giusta supremazia sul corpo, la spiritualità sulla sensualità. È facile da intendere che Paolo ha qui in mente la sensualità quale somma dei fattori che costituiscono la limitazione della spiritualità umana, cioè quale forza che “lega” lo spirito (non necessariamente nel senso platonico) mediante la restrizione della sua propria facoltà di conoscere (vedere) la verità ed anche della facoltà di volere liberamente e di amare nella verità. Non può invece trattarsi qui di quella funzione fondamentale dei sensi, che serve a liberare la spiritualità, cioè della semplice facoltà di conoscere e di volere, propria del “compositum” psicosomatico del soggetto umano. Siccome si parla della risurrezione del corpo, cioè dell’uomo nella sua autentica corporeità, di conseguenza il “corpo spirituale” dovrebbe significare appunto la perfetta sensibilità dei sensi, la loro perfetta armonizzazione con l’attività dello spirito umano nella verità e nella libertà. Il “corpo animale”, che è l’antitesi terrena del “corpo spirituale”, indica invece la sensualità come forza che spesso pregiudica l’uomo, in quanto egli, vivendo “nella conoscenza del bene e del male”, viene sollecitato e quasi spinto verso il male.

5. Non si può dimenticare che qui è in questione non tanto il dualismo antropologico, quanto una antinomia di fondo. Di essa fa parte non solo il corpo (come “hyle” aristotelica), ma anche l’anima: ossia, l’uomo come “anima vivente” (cf. Gen 2, 7). I suoi costitutivi, invece, sono: da un lato tutto l’uomo, l’insieme della sua soggettività psicosomatica, in quanto rimane sotto l’influsso dello Spirito vivificante di Cristo; dall’altro lato lo stesso uomo, in quanto resiste e si contrappone a questo Spirito. Nel secondo caso, l’uomo è “corpo animale” (e le sue opere sono “opere della carne”). Se, invece, rimane sotto l’influsso dello Spirito Santo, l’uomo è “spirituale” (e produce il “frutto dello Spirito”) (Gal 5, 22).

6. Di conseguenza, si può dire che non solo in 1 Cor 15 abbiamo a che fare con l’antropologia della risurrezione, ma che tutta l’antropologia (e l’etica) di san Paolo sono permeate dal mistero della risurrezione, mediante cui abbiamo definitivamente ricevuto lo Spirito Santo. Il capitolo 15 della prima lettera ai Corinzi costituisce l’interpretazione paolina dell’“altro mondo” e dello stato dell’uomo in quel mondo, nel quale ciascuno, insieme con la risurrezione del corpo, parteciperà pienamente al dono dello Spirito vivificante, cioè al frutto della risurrezione di Cristo.

7. Concludendo l’analisi della “antropologia della risurrezione” secondo la prima lettera di Paolo ai Corinzi, ci conviene ancora una volta volgere la mente verso quelle parole di Cristo sulla risurrezione e sull’“altro mondo”, che sono riportate dagli evangelisti Matteo, Marco e Luca. Ricordiamo che, rispondendo ai Sadducei, Cristo collegò la fede nella risurrezione con tutta la rivelazione del Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe e di Mosè, il quale “non è Dio dei morti, ma dei vivi” (Mt 22, 32). E contemporaneamente, respingendo la difficoltà avanzata dagli interlocutori, pronunziò queste significative parole: “Quando risusciteranno dai morti . . . non prenderanno moglie né marito” (Mc 12, 25). Appunto a quelle parole – nel loro immediato contesto – abbiamo dedicato le nostre precedenti considerazioni, passando poi all’analisi della prima lettera di san Paolo ai Corinzi (1 Cor. 15).

Queste riflessioni hanno un significato fondamentale per tutta la teologia del corpo: per comprendere sia il matrimonio sia il celibato “per il regno dei cieli”. A quest’ultimo argomento saranno dedicate le nostre ulteriori analisi.

XXXIII SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO – DOMENICA 23 NOVEMBRE 2008

XXXIII SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO - DOMENICA 23 NOVEMBRE 2008 dans BIBLE SERVICE (sito francese)

XXXIII SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

DOMENICA 23 NOVEMBRE 2008

NOSTRO SIGNORE GESU’ CRISTO
RE DELL’UNIVERSO

(anche San Clemente che quest’anno capita di domenica)

MESSA DEL GIORNO

Seconda Lettura  1 Cor 15,20-26a.28
Fratelli, Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti. Perché, se per mezzo di un uomo venne la morte, per mezzo di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti. Come infatti in Adamo tutti muoiono, così in Cristo tutti riceveranno la vita. Ognuno però al suo posto: prima Cristo, che è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo. Poi sarà la fine, quando egli consegnerà il regno a Dio Padre, dopo avere ridotto al nulla ogni Principato e ogni Potenza e Forza. È necessario infatti che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. L’ultimo nemico a essere annientato sarà la morte. E quando tutto gli sarà stato sottomesso, anch’egli, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti.

PRIMI VESPRI

Lettura breve   Ef 1, 20-30
Dio risuscitò Cristo dai morti e lo fece sedere alla sua destra nei cieli, al di sopra di ogni principato e autorità, di ogni potenza e dominazione e di ogni altro nome che si possa nominare non solo nel secolo presente ma anche in quello futuro. Tutto infatti ha sottomesso ai suoi piedi (Sal 8, 8) e lo ha costituito su tutte le cose a capo della Chiesa, la quale è il suo corpo, la pienezza di colui che si realizza interamente in tutte le cose.

UFFICIO DELLE LETTURE

Seconda Lettura
Dall’opuscolo «La preghiera» di Origène, sacerdote
(Cap. 25; PG 11, 495-499)

Venga il tuo regno
Il regno di Dio, secondo la parola del nostro Signore e Salvatore, non viene in modo da attirare l’attenzione e nessuno dirà: Eccolo qui o eccolo là; il regno di Dio è in mezzo a noi (cfr. Lc 16, 21), poiché assai vicina è la sua parola sulla nostra bocca e sul nostro cuore (cfr. Rm 10,8). Perciò, senza dubbio, colui che prega che venga il regno di Dio, prega in realtà che si sviluppi, produca i suoi frutti e giunga al suo compimento quel regno di Dio che egli ha in sé. Dio regna nell’anima dei santi ed essi obbediscono alle leggi spirituali di Dio che in lui abita. Così l’anima del santo diventa proprio come una città ben governata. Nell’anima dei giusti è presente il Padre e col Padre anche Cristo, secondo quell’affermazione: «Verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14, 23). Ma questo regno di Dio, che è in noi, col nostro instancabile procedere giungerà al suo compimento, quando si avvererà ciò che afferma l’Apostolo del Cristo. Quando cioè egli, dopo aver sottomesso tutti i suoi nemici, consegnerà il regno a Dio Padre, perché Dio sia tutto in tutti (cfr. 1Cor 15, 24.28). Perciò preghiamo senza stancarci. Facciamolo con una disposizione interiore sublimata e come divinizzata dalla presenza del Verbo. Diciamo al nostro Padre che è in cielo: «Sia santificato il tuo nome; venga il tuo regno» (Mt 6, 9-10). Ricordiamo che il regno di Dio non può accordarsi con il regno del peccato, come non vi è rapporto tra la giustizia e l’iniquità né unione tra la luce e le tenebre né intesa tra Cristo e Beliar (cfr. 2Cor 6, 14-15). Se vogliamo quindi che Dio regni in noi, in nessun modo «regni il peccato nel nostro corpo mortale» (Rm 6, 12). Mortifichiamo le nostre «membra che appartengono alla terra» (Col 3, 5). Facciamo frutti nello Spirito, perché Dio possa dimorare in noi come in un paradiso spirituale. Regni in noi solo Dio Padre col suo Cristo. Sia in noi Cristo assiso alla destra di quella potenza spirituale che pure noi desideriamo ricevere. Rimanga finché tutti i suoi nemici, che si trovano in noi, diventino «sgabello dei suoi piedi» (Sal 98,5), e così sia allontanato da noi ogni loro dominio, potere ed influsso. Tutto ciò può avvenire in ognuno di noi. Allora, alla fine, «ultima nemica sarà distrutta la morte» (1 Cor 15, 26). Allora Cristo potrà dire anche dentro di noi: «Dov’è o morte il tuo pungiglione? Dov’è o morte la tua vittoria?» (Os 13, 14; 1 Cor 15, 55). Fin d’ora perciò il nostro «corpo corruttibile» si rivesta di santità e di «incorruttibilità; e ciò che è mortale cacci via la morte, si ricopra dell’immortalità» del Padre (1 Cor 15, 54). così regnando Dio in noi, possiamo già godere dei beni della rigenerazione e della risurrezione.

DAL SITO FRANCESE « BIBLE SERVICE » COMMENTO ALLA 1ma CORINZI:

http://www.bible-service.net/site/179.html

1 Corinthiens 15,20-26.28    

Encore une bonne nouvelle en ce dernier dimanche de l’année liturgique, Paul affirme que notre résurrection, à la suite du Christ, est l’avenir heureux qui nous attend (cf. le psaume). La résurrection de Jésus est première certes, mais elle promet et inclut la nôtre. La fin de toutes choses est envisagée avec des images très rassurantes : tous revivront, toutes les puissances du mal seront détruites, tous les ennemis seront vaincus, la mort sera anéantie ; ce sera la victoire du Roi Messie et la réussite totale pour Dieu et pour l’homme :  » Dieu sera tout en tous  » ; Dieu régnera enfin comme Père ; avec Jésus nous vivrons comme des fils, obéissants et libres.

1Cor 15,20-26.28

Ancora una « buona novella » per quest’ultima domenica dell’anno liturgico, Paolo afferma che la nostra risurrezione, al seguito di Cristo, è l’avvenire felice che ci attende (cfr. il salmo). La risurrezione di Gesù assolutamente certa, ma essa promette, ed include, la nostra. La fine di tutte le cose si scorge attraverso delle immagini molto rassicuranti: tutti rivivranno, tutte le potenze del male saranno distrutte, tutte i nemici saranno vinti, la morte sarà annientata; questa sarà la vittoria del Re Messia e il trionfo completo per Dio e per l’uomo: « Dio sarà tutto in tutti »; Dio regnerà infine come Padre; con Gesù noi vivremo come dei figli, obbedienti e liberi.

DAL SITO FRANCESE EAQ:

http://www.levangileauquotidien.org/www/main.php?language=FR&localTime=11/23/2008#

San Nicola Cabasilas (circa 1320-1363), teologo greco
La vita in Cristo, IV, 93-97, 102 ; SC 355, 343

« Venite benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo »
«Dopo aver compiuto la purificazione dei peccati, Cristo si è assiso alla destra della Maestà nell’alto dei cieli» (Eb 1,3)… Allo scopo di servirci, egli è quindi venuto, da suo Padre, nel mondo. E questo è il colmo: egli si presenta sotto la forma dello schiavo e nasconde la sua qualità di maestro non soltanto nel momento in cui appare sulla terra rivestito dell’infermità umana, ma anche dopo, nel giorno in cui verrà nella sua potenza e apparirà nella gloria del Padre suo, nel giorno della sua manisfestazione. È detto infatti che nel suo regno, «si cingerà le sue vesti; farà mettere i suoi servi a tavola e passerà a servirli» (Lc 12,37). Ecco colui per mezzo del quale regnano i sovrani e governano i principi.
In questo modo eserciterà la sua regaltà vera e senza rimprovero…; in questo modo trascina coloro che ha sottomessi al suo potere: più amabile di un amico, più equo di un principe, più tenero di un padre, più intimo delle membra, più indispensabile del cuore. Non si impone mediante il timore, non assoggetta mediante un salario. Trova in se stesso la forza del suo potere, per se stesso si attacca i suoi sudditi. Infatti regnare mediante il timore o in vista di un salario, non è governare in prima persona, ma tramite la speranza di un guadagno e con le minaccie…Occorre che Cristo regni nel senso proprio di questa parola; ogni altra autorità è indegna di lui. Vi è riuscito grazie a un medio straordinario…: per diventare il vero Maestro, abbraccia la condizione dello schiavo e si fa il servo degli schiavi, fino alla croce e alla morte; in questo modo rapisce l’animo degli schiavi e si impadronisce direttamente della loro volontà. Sapendo che è questo il segreto di questa regaltà, Paolo scrive: «Umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio l’ha esaltato» (Fil 2,8-9)… Per mezzo della prima creazione, Cristo è maestro della natura; per mezzo della nuova creazione, si è reso maestro della nostra volontà… per questo dice: «Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra» (Mt 28,18).

BIOGRAFIA E UFFICIO DELLE LETTURE DI SAN CLEMENTE

San Clemente I
Papa e Martire

BIOGRAFIA
Il terzo successore di san Pietro. La storia non offre materiale per scrivere la vita di questo papa che, più o meno tra l’ 88 e il 97, ha occupato la cattedra di Pietro. Un’antica tradizione (attestata da san Girolamo e da sant’Ireneo) afferma che a ordinarlo sacerdote é stato san Pietro stesso. Questa notizia é molto più verosimile della leggenda che vede in Clemente un membro della famiglia imperiale. La lettera di Clemente gli “Atti di san Clemente”, lasciano dubbioso lo storico Severo, non si può dire la stessa cosa della sola “lettera” che possediamo di lui, lettera fondamentale, nella quale la Chiesa di Roma scrive alla Chiesa di Corinto. L’importanza di questa lettera sta nella netta insistenza che essa pone sul primato della sede di Pietro. La forza di quest’affermazione risiede in ciò che Ireneo ha intensamente sottolineato: “Clemente aveva visto gli Apostoli in persona, la loro predicazione era ancora nelle sue orecchie e la loro tradizione sotto i suoi occhi”. Si presume che Clemente abbia subito il martirio, stando a quanto afferma una tradizione del IV secolo; A Roma una basilica gli é dedicata.

DAGLI SCRITTI…
Dalla”Lettera ai Corinzi” di san Clemente I, papa
Quanto sono mirabili e preziosi i doni di Dio, fratelli carissimi La vita nell’immortalità, lo splendore nella giustizia, la verità nella libertà, la fede nella confidenza, la padronanza di sé nella santità: tutto questo é stato messo alla portata della nostra intelligenza. Quali saranno allora i beni che sono preparati per coloro che lo aspettano? Solo il Creatore e il Padre dei secoli, il Santo per eccellenza ne conosce la quantità e la bellezza. Noi dunque, al fine di essere partecipi dei doni promessi, facciamo di tutto per ritrovarci nel numero di coloro che lo aspettano. E come si verificherà questo, fratelli carissimi? Si verificherà se la nostra intelligenza sarà salda in Dio con la fede, se cercheremo con diligenza ciò che é gradito e accetto a lui, se faremo ciò che é conforme alla sua santissima volontà, se seguiremo la via della verità, insomma se ci terremo lontani da ogni ingiustizia, perversità, avarizia, rissa, malizia e inganno. Questa é la via, fratelli carissimi, in cui troviamo la nostra salvezza, Gesù Cristo, mediatore del nostro sacrificio, difensore e aiuto della nostra debolezza. Per mezzo di lui possiamo guardare l’altezza dei cieli, per mezzo di lui contempliamo il volto purissimo e sublime di Dio, per lui sono stati aperti gli occhi del nostro cuore, per lui la nostra mente insensata e ottenebrata rifiorisce nella luce, per mezzo di lui il Padre ha voluto che noi gustassimo la conoscenza immortale. Egli, essendo l’irradiazione della gloria di Dio, é tanto superiore agli angeli, quanto più eccellente é il nome che ha ereditato (cfr. Eb 1, 3-4). Perciò, fratelli, combattiamo con tutte le forze sotto i suoi irreprensibili comandi. I grandi non possono restare senza i piccoli, né i piccoli senza i grandi. Tutti sono frammisti, di qui il vantaggio reciproco. Prendiamo ad esempio il nostro corpo. La testa senza i piedi non é nulla, come pure i piedi senza la testa. Anche le membra più piccole del nostro corpo sono necessarie e utili a tutto il corpo; anzi tutte si accordano e si sottomettono al medesimo fine, perché tutto il corpo sia saldo. Si assicuri perciò la salvezza di tutto il nostro corpo in Cristo Gesù, e ciascuno sia soggetto al suo prossimo secondo il dono della grazia che gli é stata affidata. Chi é forte si prenda cura di chi é debole, il debole rispetti il forte. Il ricco soccorra il povero, il povero lodi Dio perché gli ha dato uno che viene a colmare la sua indigenza. Il sapiente mostri la sua sapienza non con le parole ma con le opere buone; l’umile non renda testimonianza a se stesso, ma lasci che sia un altro a dargliela. Avendo da Dio tutte queste cose, dobbiamo ringraziarlo di tutto. A lui la gloria nei secoli dei secoli. Amen. (Capp. 35, 1-5; 36, 1-2; 37, 1. 4-5; 38, 1-2. 4; Funk 1, 105-109).

LODI

Lettura Breve   Ef 4, 15-16
Viviamo secondo la verità nella carità e cerchiamo di crescere in ogni cosa verso Cristo, che è il capo. Da lui tutto il corpo, ben compaginato e connesso, mediante la collaborazione di ogni giuntura, secondo l’energia propria di ogni membro, riceve forza per crescere in modo da edificare se stesso nella carità.

VESPRI

Lettura Breve   1 Cor 15, 25-28
Bisogna che Cristo regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. L’ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte, perché ogni cosa ha posto sotto i suoi piedi (Sal 8, 8). Però quando dice che ogni cosa è stata sottoposta, è chiaro che si deve eccettuare Colui che gli ha sottomesso ogni cosa. E quando tutto gli sarà stato sottomesso, anche lui, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti.

XXXIII SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO – SABATO 22 NOVEMBRE 2008

XXXIII SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

SABATO 22 NOVEMBRE 2008

SANTA CECILIA (m)

(a me Santa Cecilia piace molto, non so bene perché, forse perché il canto mi ricorda la difficoltà a pregare e, in qualche modo, il tema del « gemito della creazione, del gemito dell’uomo e del gemito dello Spirito » in Rm 8, – c’è qualcosa su Père Lévêque – nella lettura dell’Ufficio non c’è un riferimento a San Paolo, l’ho cercato e ho l’ho trovato nell’Antifona al Benedictus »:

Antifona al Benedictus :
All’aurora Cecilia esclamò:
Soldati di Cristo,
gettate le opere delle tenebre,
e prendete le armi della luce!

(Rm 13,12)

quindi posto ugualmente la seconda lettura dell’Ufficio delle Letture, che, tra l’altro è di Sant’Agostino:

UFFICIO DELLE LETTURE

Seconda Lettura
Dal «Commento sui salmi» di sant’Agostino, vescovo
(Sal 32, Disc. 1, 7-8; CCL 38, 253-254)

Cantate a Dio con arte nel giubilo
«Lodate il Signore con la cetra, con l’arpa a dieci corde a lui cantate. Cantate al Signore un canto nuovo!» (Sal 32, 2.3). Spogliatevi di ciò che è vecchio ormai; avete conosciuto il nuovo canto. Un uomo nuovo, un testamento nuovo, un canto nuovo. Il nuovo canto non si addice ad uomini vecchi. Non lo imparano se non gli uomini nuovi, uomini rinnovati, per mezzo della grazia, da ciò che era vecchio, uomini appartenenti ormai al nuovo testamento, che è il regno dei cieli. Tutto il nostro amore ad esso sospira e canta un canto nuovo. Elevi però un canto nuovo non con la lingua, ma con la vita. Cantate a lui un canto nuovo, cantate a lui con arte (cfr. Sal 32, 3). Ciascuno si domanda come cantare a Dio. Devi cantare a lui, ma non in modo stonato. Non vuole che siano offese le sue orecchie. Cantale con arte, o fratelli. Quando, davanti a un buon intenditore di musica, ti si dice: Canta in modo da piacergli; tu, privo di preparazione nell’arte musicale, vieni preso da trepidazione nel cantare, perché non vorresti dispiacere al musicista; infatti quello che sfugge al profano, viene notato e criticato da un intenditore dell’arte. Orbene, chi oserebbe presentarsi a cantare con arte a Dio, che sa ben giudicare il cantore, che esamina con esattezza ogni cosa e che tutto ascolta così bene? Come potresti mostrare un’abilità così perfetta nel canto, da non offendere in nulla orecchie così perfette? Ecco egli ti dà quasi il tono della melodia da cantare: non andare in cerca delle parole, come se tu potessi tradurre in suoni articolati un canto di cui Dio si diletti. Canta nel giubilo. Cantare con arte a Dio consiste proprio in questo: Cantare nel giubilo. Che cosa significa cantare nel giubilo? Comprendere e non saper spiegare a parole ciò che si canta col cuore. Coloro infatti che cantano sia durante la mietitura, sia durante la vendemmia, sia durante qualche lavoro intenso, prima avvertono il piacere, suscitato dalle parole dei canti, ma, in seguito, quando l’emozione cresce, sentono che non possono più esprimerla in parole e allora si sfogano in una modulazione di note. Questo canto lo chiamiamo «giubilo». Il giubilo è quella melodia, con la quale il cuore effonde quanto non gli riesce di esprimere a parole. E verso chi è più giusto elevare questo canto di giubilo, se non verso l’ineffabile Dio? Infatti è ineffabile colui che tu non puoi esprimere. E se non lo puoi esprimere, e d’altra parte non puoi tacerlo, che cosa ti rimane se non «giubilare»? Allora il cuore si aprirà alla gioia, senza servirsi di parole, e la grandezza straordinaria della gioia non conoscerà i limiti delle sillabe. Cantate a lui con arte nel giubilo (cfr. Sal 32,3).

LODI

Lettura Breve 2 Cor 1, 3-5
Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione, il quale ci consola in ogni nostra tribolazione perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in qualsiasi genere di afflizione con la consolazione con cui siamo consolati noi stessi da Dio. Infatti, come abbondano le sofferenze di Cristo in noi, così, per mezzo di Cristo, abbonda anche la nostra consolazione.

XXXIII SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO – MERCOLEDÌ 19 NOVEMBRE 2008

XXXIII SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

MERCOLEDÌ 19 NOVEMBRE 2008

UFFICIO DELLE LETTURE

Seconda Lettura
Dai «Discorsi» di sant’Agostino, vescovo (Disc. 21, 1-4; CCL 41, 276-278)

Il cuore del giusto esulterà nel Signore
«Il giusto gioirà nel Signore e riporrà in lui la sua speranza, i retti di cuore ne trarranno gloria» (Sal 63, 11). Questo abbiamo cantato non solo con la voce, ma anche col cuore. Queste parole ha rivolto a Dio la coscienza e la lingua cristiana. «Il giusto gioirà», non nel mondo, ma «nel Signore». «Una luce si è levata per il giusto», dice altrove, «gioia per i retti di cuore» (Sal 96, 11). Forse vorrai chiedere donde venga questa gioia. Ascolta: «Si rallegrerà in Dio il giusto» e altrove: «Cerca la gioia nel Signore, esaudirà i desideri del tuo cuore» (Sal 36, 4). Che cosa ci viene ordinato e che cosa ci viene dato? Che cosa ci viene comandato e che cosa ci viene donato? Di rallegrarci nel Signore! Ma chi si rallegra di ciò che non vede? O forse noi vediamo il Signore? Questo è solo oggetto di promessa. Ora invece «camminiamo nella fede, finché abitiamo nel corpo siamo in esilio, lontano dal Signore» (2 Cor 5, 7. 6). Nella fede e non nella visione. Quando nella visione? Quando si compirà ciò che dice lo stesso Giovanni: «Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è » (1 Gv 3, 2). Allora conseguiremo grande e perfetta letizia, allora vi sarò gioia piena, dove non sarà più la speranza a sostenerci, ma la realtà stessa a saziarci. Tuttavia anche ora, prima che arrivi a noi questa realtà, prima che noi giungiamo alla realtà stessa, rallegriamoci nel Signore. Non reca infatti piccola gioia quella speranza a cui segue la realtà. Ora dunque amiamo nella speranza. Ecco perché la Scrittura dice: «Il giusto gioirà nel Signore» e subito dopo, perché questi ancora non vede la realtà, essa aggiunge: «e riporterà in lui la sua speranza».Abbiamo tuttavia le primizie dello spirito e forse già qualcosa di più. Infatti già ora siamo vicini a colui che amiamo. Già ora ci viene dato un saggio e una pregustazione di quel cibo e di quella bevanda, di cui un giorno ci sazieremo avidamente. Ma come potremo gioire nel Signore, se egli è tanto lontano da noi? Lontano? No. Egli non è lontano, a meno che tu stesso non lo costringa ad allontanarsi da te. Ama e lo sentirai vicino. Ama ed egli verrà ad abitare in te. «Il Signore è vicino: non angustiatevi per nulla» (Fil 4, 5-6). Vuoi vedere come egli sta con te, se lo amerai? «Dio è amore» (1 Gv 4, 8). Ma tu vorrai chiedermi: Che così è l’amore? L’amore è la virtù per cui amiamo. Che cosa amiamo? Un bene ineffabile, un bene benefico, il bene che crea tutti i beni. Lui stesso sia la tua delizia, poiché da lui ricevi tutto ciò che causa il tuo diletto. Non parlo certo del peccato. Infatti solo il peccato tu non ricevi da lui. Eccetto il peccato, tu hai da lui tutte le altre cose che possiedi.

XXXIII SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO – MARTEDÌ 18 NOVEMBRE 2008

XXXIII SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

MARTEDÌ 18 NOVEMBRE 2008

DEDICAZIONE DELLE
BASILICHE DEI SANTI PIETRO E PAOLO
(Memoria facoltativa)

link alle Basiliche San Pietro e San Paolo

http://www.vatican.va/various/basiliche/san_paolo/index_it.html

http://www.vatican.va/various/basiliche/san_pietro/index_it.html

UFFICIO DELLE LETTURE DELLA MEMORIA FACOLTATIVA

Dai «Discorsi» di san Leone Magno, papa
Pietro e Paolo germogli della divina semente

«Preziosa agli occhi del Signore é la morte dei suoi fedeli» (Sal 115, 15) e nessun genere di crudeltà può distruggere una religione, che si fonda sul mistero della croce di Cristo. La Chiesa infatti non diminuisce con le persecuzioni, anzi si sviluppa, e il campo del Signore si arricchisce di una messe sempre più abbondante, quando i chicci di grano, caduti a uno a uno, tornano a rinascere moltiplicati. Dalla divina semente sono nati i due nostri straordinari germogli, Pietro e Paolo. Da essi si é sviluppata una discendenza innumerevole, come dimostrano le migliaia di santi martiri, che, emuli dei trionfi degli apostoli, hanno suscitato intorno alla nostra città una moltitudine di popoli, rivestiti di porpora e rifulgenti da ogni parte di splendida luce, e hanno coronato la chiesa di Roma di un’unica corona ornata di molte e magnifiche gemme. Noi di tutti i santi celebriamo con gioia la festa. Sono infatti un dono di Dio, un aiuto alla nostra debolezza, un esempio di virtù e un sostegno alla nostra fede. Però, se con ragione celebriamo tutti i santi in letizia, un’esultanza speciale sentiamo nel commemorare i due apostoli Pietro e Paolo, perché, fra tutte le membra privilegiate del corpo mistico, essi hanno avuto da Dio una funzione davvero speciale. Essi sono quasi i due occhi di quel capo, che é Cristo. Nei loro meriti e nelle loro virtù, che superano ogni capacità di espressione, non dobbiamo vedere nessuna diversità, nessuna distinzione, perché l’elezione li ha resi pari, il lavoro apostolico li ha fatti simili e la morte li ha uniti nella stessa sorte. D’altra parte, é la nostra esperienza, confermata dalla testimonianza dei nostri antenati, a farci credere fermamente che in tutti i travagli di questa vita saremo sempre aiutati dalla preghiere di questi due grandi protettori, per conseguire la misericordia di Dio. Avviene quindi che, come siamo precipitati in basso per le nostre colpe, così veniamo sollevati in alto dai meriti di questi apostoli.(Disc. 82 nella festa degli apostoli Pietro e Paolo 1, 6-7; PL 54, 426-428)

LODI

Lettura Breve Rm 13, 11b.12-13a
E’ ormai tempo di svegliarvi dal sonno, perché la nostra salvezza è più vicina ora di quando diventammo credenti. La notte è avanzata, il giorno è vicino. Gettiamo via perciò le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce. Comportiamoci onestamente, come in pieno giorno.

XXXIII SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO – LUNEDÌ 17 NOVEMBRE 2008

XXXIII SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

LUNEDÌ 17 NOVEMBRE 2008

SANT’ELISABETTA D’UNGHERIA (m)

UFFICIO DELLE LETTURE

(DEL TEMPO ORDINARIO, OGGI È MEMORIA CI SAREBBE LA LETTURA DI SANT’ELISABETTA)

Dal Trattato «La remissione» di san Fulgenzio di Ruspe, vescovo

Chi vincerà non sarà colpito dalla seconda morte

«In un istante, in un batter d’occhio, al suono dell’ultima tromba; suonerà infatti la tromba e i morti risorgeranno incorrotti e noi saremo trasformati» (1Cor 15, 52). Quando dice «noi» Paolo mostra che con lui conquisteremo il dono della futura trasformazione coloro che insieme a lui e ai suoi compagni vivono nella comunione ecclesiale e nella vita santa. Spiega poi la qualità di tale trasformazione dicendo: «E’ necessario infatti che questo corpo corruttibile si vesta di incorruttibilità e che questo corpo mortale si vesta di immortalità» (1 Cor 5, 53). In costoro allora seguirà la trasformazione dovuta come giusta ricompensa a una precedente rigenerazione compiuta con atto spontaneo e generoso del fedele. Perciò si promette il premio della rinascita futura a coloro che durante la vita presente sono passati dal male al bene.
La grazia prima opera, come dono divino, il rinnovamento di una risurrezione spirituale mediante la giustificazione interiore. Verrà poi la risurrezione corporale che perfezionerà la condizione dei giustificati. L’ultima trasformazione sarà costituita dalla gloria. Ma questa mutazione sarà definitiva ed eterna. Proprio per questo i fedeli passano attraverso le successive trasformazioni della giustificazione, della risurrezione e della glorificazione, perché questa resti immutabile per l’eternità. La prima metamorfosi avviene quaggiù mediante l’illuminazione e la conversione, cioè col passaggio dalla morte alla vita, dal peccato alla giustizia, dalla infedeltà alla fede, dalle cattive azioni ad una santa condotta. Coloro che risuscitano con questa risurrezione non subiscono la seconda morte. Di questi nell’Apocalisse è detto: «Beati e santi coloro che prendono parte alla prima risurrezione Su di loro non ha potere la seconda morte» (Ap 20, 6). Nel medesimo libro si dice anche: «Il vincitore non sarà colpito dalla seconda morte» (Ap 2, 11). Dunque, come la prima risurrezione consiste nella conversione del cuore, così la seconda morte sta nel supplizio eterno. Pertanto chi non vuol essere condannato con la punizione eterna della seconda morte s’affretti quaggiù a diventare partecipe della prima risurrezione. Se qualcuno infatti durante la vita presente, trasformato dal timore di Dio, si converte da una vita cattiva a una vita buona, passa dalla morte alla vita e in seguito sarà anche trasformato dal disonore alla gloria.

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