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Il mistero, la sapienza e l’amore (Ef, 3,2-12)
04/11/2006
PARMA, sabato, 4 novembre 2006 (ZENIT.org).- Pubblichiamo l’Omelia tenuta il 25 ottobre scorso da monsignor Bruno Forte, Arcivescovo Metropolita di Chieti-Vasto, nella Cattedrale di Parma per l’inizio dell’anno accademico dell’Università.
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Il mistero, la sapienza, l’amore: sono queste le tre parole con cui vorrei riassumere il messaggio che la Parola di Dio è venuta a scrivere nei nostri cuori attraverso la “lectio continua” delle Scritture nella liturgia, che fa risuonare questi stessi testi oggi in tutte le Chiese del mondo come lettera di Dio al Suo popolo pellegrino nel tempo.
Il mistero ci è stato presentato nel testo della lettera agli Efesini (3, 2-12), che ha appunto come motivo dominante “il mistero di Cristo ora rivelato, che i Gentili cioè sono chiamati a partecipare alla medesima eredità” del popolo eletto nella prima alleanza. Questo mistero è nella concezione di Paolo il disegno divino che viene realizzandosi nella storia, la gloria al tempo stesso rivelata e nascosta nei segni – tante volte ambigui e complessi – della storia. È il mistero “nascosto da secoli nella mente di Dio”, che ora in Gesù Cristo è stato rivelato per renderci tutti partecipi della medesima promessa, eredi della stessa eredità fra i santi. Secondo questa straordinaria visione del tempo e della storia, la grande scena del mondo, colta tanto nel suo insieme presente, quanto nel suo progressivo svolgersi, è sostenuta e percorsa da un progetto di salvezza, espressione di un’ammirabile intelligenza d’amore.
Non siamo sospesi nel nulla: la vita, la vicenda personale e collettiva, la silenziosa armonia dei cieli, non sono efflorescenze dell’assurdo, interruzioni del nulla, che da esso escono e in esso ritornano, ma frammenti in cui si offre il Tutto di un amore antico, la bellezza di un disegno d’amore, la generosità di un dono eterno e sempre nuovo. Proprio così, il mistero supera ogni nostro tentativo di afferrarlo: esso non è facile preda, oggetto del calcolo o del desiderio, ma grembo e custodia, trama di un più grande disegno, dimora dell’Eterno, patria di Dio. Si comprende allora come la grande legge della conoscenza umana non possa essere l’orgoglioso “cogito, ergo sum”, ma sia il molto più umile e vero “cogitor, ergo sum”: è perché sono pensato da Altri, che io esisto; è perché Altri mi ama, che io sono uscito dal nulla; è perché questo amore è eterno, che il mio, il nostro destino non è il nulla, ma la vita che vince la morte. “Amor, ergo sum”: sono, perché un Altro mi ama, da sempre e per sempre. Si comprende allora come sia vero che “non è la conoscenza che illumina il mistero, ma il mistero che illumina la conoscenza” (Pavel Evdokimov). Veramente noi conosciamo mediante le cose che non conosceremo mai!
È così che la meditazione sul mistero apre la mente e il cuore al dono della sapienza: l’Apostolo, che del mistero rivelato in Cristo è testimone e cantore, riconosce il suo compito nell’urgenza di “di far risplendere agli occhi di tutti qual è l’adempimento del mistero nascosto da secoli nella mente di Dio, creatore dell’universo, perché sia manifestata ora nel cielo, per mezzo della Chiesa, ai Principati e alle Potestà la multiforme sapienza di Dio, secondo il disegno eterno che ha attuato in Cristo Gesù nostro Signore, il quale ci dà il coraggio di avvicinarci in piena fiducia a Dio per la fede in lui”. La sapienza non è che il senso delle cose di Dio, la capacità ricevuta in dono dall’alto di leggere la silenziosa scrittura dell’Eterno che viene a dirsi nella fragilità del tempo, il divenire esperti per grazia della grammatica divina, che cuce parole di vita e d’amore, intessendole nella trama delle opere e dei giorni degli uomini. Vero sapiente non è, dunque, colui che sa, ma chi sapendo di non sapere si lascia illuminare dagli abissi della verità, che risplendono dal profondo: sapienza è contemplazione delle cose nascoste fin dalla fondazione del mondo, è accoglienza umile della luce che viene a noi da altrove e che ci schiude i sentieri dell’altrove. Sapienza è conoscenza stupita e amorosa del Logos creatore dell’inizio, che si è manifestata nel Logos incarnato della pienezza del tempo. È grazie a questa sapienza che si lascia cogliere a occhi puri, sgombri da pregiudizi e presunzioni, il disegno del mondo, la bellezza di Dio in esso impressa.
Quanto il riconoscimento di questa struttura sapienziale della realtà sia importante non è difficile capirlo: se le cose stanno così, è possibile a ogni cuore aprirsi alla luce in cui tutti viviamo, dimoriamo e siamo, quella sovrana, luminosa tenebra che è più chiara del giorno per chi in umiltà si lascia raggiungere da essa e vi converte il cuore. È su questa sapienza che è possibile costruire il dialogo fra le civiltà e le religioni, al servizio della causa dell’uomo, che è anche inseparabilmente quella della gloria di Dio. Ce lo ha ricordato in maniera luminosa il Santo Padre Benedetto XVI in diversi importanti discorsi, in modo particolare quelli tenuti a München e a Regensburg in Germania nello scorso Settembre , e quello indirizzato al Convegno della Chiesa Italiana a Verona il 19 di questo mese di Ottobre: “Una caratteristica fondamentale delle scienze – ha affermato il Papa – è l’impiego sistematico degli strumenti della matematica per poter operare con la natura e mettere al nostro servizio le sue immense energie. La matematica come tale è una creazione della nostra intelligenza: la corrispondenza tra le sue strutture e le strutture reali dell’universo – che è il presupposto di tutti i moderni sviluppi scientifici e tecnologici, già espressamente formulato da Galileo Galilei con la celebre affermazione che il libro della natura è scritto in linguaggio matematico – suscita la nostra ammirazione e pone una grande domanda. Implica infatti che l’universo stesso sia strutturato in maniera intelligente, in modo che esista una corrispondenza profonda tra la nostra ragione soggettiva e la ragione oggettivata nella natura.
Diventa allora inevitabile chiedersi se non debba esservi un’unica intelligenza originaria, che sia la comune fonte dell’una e dell’altra. Così proprio la riflessione sullo sviluppo delle scienze ci riporta verso il Logos creatore. Viene capovolta la tendenza a dare il primato all’irrazionale, al caso e alla necessità, a ricondurre ad esso anche la nostra intelligenza e la nostra libertà. Su queste basi diventa anche di nuovo possibile allargare gli spazi della nostra razionalità, riaprirla alle grandi questioni del vero e del bene, coniugare tra loro la teologia, la filosofia e le scienze, nel pieno rispetto dei loro metodi propri e della loro reciproca autonomia, ma anche nella consapevolezza dell’intrinseca unità che le tiene insieme. È questo un compito che sta davanti a noi, un’avventura affascinante nella quale merita spendersi, per dare nuovo slancio alla cultura del nostro tempo e per restituire in essa alla fede cristiana piena cittadinanza”. Quanto il “villaggio globale” minacciato dal possibile “scontro delle civiltà” (S. Huntington) abbia bisogno di questi pensieri è facile intuirlo: solo dove ci sarà fiducia nella struttura intelligente del reale e nella capacità degli uomini di coglierla e di corrispondervi insieme, sarà possibile un dialogo fra persone, popoli e civiltà diverse, e si potrà cooperare tutti a rendere più umano il mondo per tutti, secondo il disegno del Creatore e Redentore dell’uomo.
Al dono della sapienza è dunque necessario aprirsi: ma questa apertura accogliente sarà sempre inseparabile dal primato dell’amore. Questo è il compimento della rivelazione, il suggello del dono: Gesù Cristo non ci ha solo rivelato il Logos di Dio, che è Lui stesso, ma ci ha mostrato come questo Logos sia amore, e porti a compimento il suo dono nella consegna dolorosa della Croce, che è dal principio alla fine un abbandono motivato e sostenuto dalla carità. Più grande è la rivelazione del Logos, più grande l’intelligenza che da essa è dilatata e sorretta, più grande dovrà essere l’impegno di amare: ce lo ha ricordato il Vangelo. “Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse; quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche. A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più” (Luca 12, 48). Non basta conoscere per essere nella verità: la conoscenza è inseparabile dall’amore. Occorre fare la verità amando, per conoscere così tutta la profondità e la bellezza della sua luce. L’intelligenza senza amore è arida e sfocia facilmente in presunzione e violenza. L’amore senza intelligenza rischia di essere cieco e di non generare vita piena e vera.
Occorre pensare e amare, conoscere e servire: è qui il grande compito di ogni uomo e donna chiamato al servizio della verità, specialmente nel campo dell’insegnamento e della ricerca nel mondo dell’Università. Aperti al mistero, nutriti di sapienza, occorre che docenti e studenti siano accomunati dalla responsabilità reciproca nell’amore, coscienti del molto che ad essi è stato dato per aprirsi a dare molto con responsabilità e libertà generosa. Don Lorenzo Milani insegnava ai suoi ragazzi di Barbiana che cultura significa “appartenere alla massa e possedere la parola”, essere cioè solidali con tutti, specialmente i più poveri e i più deboli, e servire la causa del bene di tutti con gli strumenti della propria intelligenza e del proprio sapere, coniugando dunque conoscere e donare. Prego perché tutti nella Vostra comunità accademica sappiate coniugare intelligenza e amore, conoscenza del vero ed umile obbedienza ad esso nella responsabilità verso gli altri. Lo faccio invocando da Colui che è in persona il mistero, la sapienza e l’amore, la luce e la forza di cui tutti abbiamo bisogno per conoscere e per amare:
Signore Gesù Cristo,
immagine radiosa del Padre,
sapienza eterna, carità perfetta,
mistero nascosto dai secoli,
rivelato nella pienezza del tempo,
alleanza che riconcilia Dio con l’uomo
e l’uomo con Dio,
Parola eterna divenuta carne,
e carne divinizzata nell’incontro sponsale,
in Te soltanto abbracceremo Dio.
Tu che Ti sei fatto piccolo
per lasciarTi afferrare dalla sete
della nostra conoscenza e del nostro amore,
donaci di cercarTi con desiderio,
di credere in Te nell’oscurità della fede,
di riconoscerci avvolti nel Tuo amore,
di aspettarTi ancora nell’ardente speranza,
di amarTi nella libertà e nella gioia del cuore.
Fa’ che non ci lasciamo vincere
dalla potenza delle tenebre,
sedurre dallo scintillio di ciò che passa.
Donaci perciò il Tuo Spirito,
che diventi Egli stesso in noi
desiderio e fede, speranza e umile amore,
luce d’intelligenza e forza per servire.
Allora Ti cercheremo, Signore, nella notte,
vigileremo per Te in ogni tempo,
e i giorni della nostra vita mortale
diventeranno come splendida aurora,
in cui Tu verrai, stella chiara del mattino,
per essere finalmente per noi
il Sole, che non conosce tramonto.
Amen. Alleluia!