LA DOTTRINA PAOLINA DELLA CHIESA COME CORPO DI CRISTO – (2)

LA DOTTRINA PAOLINA DELLA CHIESA COME CORPO DI CRISTO

(2 – PRIMA PARTE SUBITO SOPRA)

Esistono, inoltre, due radici più concrete della formula paolina. L’una è presente nell’eucarestia, con la quale il Signore stesso ha formalmente determinato il sorgere di questa idea. “Il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo? Poiché c’è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo”, dice Paolo ai Corinti, nella stessa lettera, dune, in cui sviluppa per la prima volta la dottrina del corpo Cristo (1Cor 10, 16s). Qui noi troviamo il suo vero fondamento; il Signore diviene il nostro pane, il nostro nutrimento. Egli ci dà il suo corpo; una parola che però va pensata a partire dalla risurrezione e dallo sfondo linguistico semitico da cui muove San Paolo. Il corpo è il sé di un uomo, che non si risolve nel corporeo, Cristo ci dà se stesso, lui che, in quanto risorto, è rimasto corpo. Sebbene in modo nuovo, il fatto esteriore del mangiare diviene l’espressione di quel compenetrarsi di due soggetti che già poch’anzi abbiamo preso brevemente in considerazione. Comunione significa che la barriera apparentemente invalicabile del mio io viene infranta e può essere infranta poiché Gesù per primo ha voluto aprire tutto se stesso, ci ha tutti accolti dentro di sé e si è dato totalmente a noi. Comunione significa dunque fusione delle esistenze; come nell’alimentazione il corpo può assimilare una sostanza estranea, e così vivere, così il mio io viene “assimilato” a Gesù steso, fatto simile a lui in uno scambio che spezza sempre di più le linee di separazione. È quanto avviene a quelli che si comunicano; tutti vengono assimilati a questo “pane” e divengono così tra loro una solo cosa: un solo corpo. In questo modo l’eucarestia edifica la Chiesa, aprendo le mura della soggettività e radunandoci in una profonda comunione esistenziale. Per essa ha luogo l’ “adunanza” tramite la quale il Signore ci riunisce. La formula: “la Chiesa è il corpo di Cristo” afferma dunque che l’eucarestia, in cui il Signore ci dà il suo corpo e fa di noi un solo corpo, è il luogo dell’ininterrotta nascita della Chiesa, nel quale egli la fonda sempre di nuovo; nell’eucarestia la Chiesa è se stessa nel modo più intenso; in tutti i luoghi e nondimeno una sola, così come lui è uno solo.

Con queste riflessioni siamo giunti alla terza radice del “corpo di Cristo” nella concezione paolina; l’idea del rapporto sponsale o – se vogliamo esprimerci in termini neutrali – la filosofia biblica dell’amore, che è inseparabile dalla teologia eucaristica. Questa filosofia dell’amore si presenta subito al principio della Sacra Scrittura, a conclusione del racconto della creazione, allorché ad Adamo viene attribuita la parola profetica: “Per questo l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e due saranno una sola carne” (Gn 2,24). Una sola carne, vale a dire: un’unica nuova esistenza. Anche questa idea del divenire una sola carne nell’unione di anima e corpo dell’uomo e della donna viene ripresa nella prima lettera ai Corinzi da Paolo, il quale precisa che essa si avvera nella comunione: “Chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito” (1Cor 6,17). Anche qui la parola “spirito” non deve essere intesa seconda la sensibilità linguistica moderna, ma dobbiamo leggerla nell’accezione paolina; in tal caso non è così lontana dal “corpo” nel significato. Essa vuole indicare una sola esistenza spirituale con colui che nella risurrezione è divenuto “Spirito” dallo Spirito Santo ed è rimasto corpo nell’apertura dello Spirito Santo. Ciò che poco fa è stato sviluppato a partire dall’immagine del nutrimento, diviene ora più trasparente e comprensibile a partire da quella dell’amore; nel sacramento come atto dell’amore avviene questa fusione di due soggetti che superano la loro divisione e divengono una cosa sola. Il mistero eucaristico, proprio nell’applicazione metaforica dell’idea sponsale, rimane il nucleo del concetto di Chiesa e della sua definizione mediante la formula “corpo di Cristo”.

Ma ora appare in primo piano un nuovo e più importante aspetto, che potrebbe essere dimenticato in una teologia sacramentaria di corto respiro, ed è che la Chiesa è corpo di Cristo nel modo in cui la moglie insieme al marito diviene un solo corpo e una sola carne. In altre parole: essa è corpo non secondo una identità indifferenziata, ma in virtù dell’atto pneumatico-reale dell’amore che unisce gli sposi. Detto ancora con altri termini: Cristo e la Chiesa sono un corpo nel senso in cui marito e moglie sono una sola carne, così che pur nella loro inscindibile unione fisico-spirituale restano tuttavia non mescolati e non confusi. La Chiesa non diventa semplicemente Cristo, essa rimane la serva che nel suo amore egli innalza a sua sposa che cerca il suo volto in questa fine dei tempi. Ma in questo modo sul fondamento dell’indicativo che si annuncia nelle parole “sposa” e “carne”, appare anche l’imperativo dell’esistenza cristiana. Diviene perciò evidente il carattere dinamico del sacramento, che non è una realtà fisica predeterminata, ma qualcosa che si realizza a livello personale. Proprio il mistero dell’amore come mistero sponsale manifesta l’immensità del nostro compito e la possibilità di caduta nella Chiesa. Sempre di nuovo, attraverso l’amore unificante, essa deve divenire ciò che essa è, e sottrarsi alla tentazione di rifiutare la propria vocazione per cadere nell’infedeltà di un’arbitraria autonomia. Diviene evidente il carattere redazionale e pneumatologico dell’idea di corpo di Cristo e della concezione sponsale, e la ragione per cui la Chiesa non è mai giunta a perfezione ma ha sempre bisogno di rinnovamento. Essa è sempre in cammino verso l’unione con Cristo: ciò che comporta anche la sua propria, interiore unità che diviene, viceversa, tanto più fragile, quanto più si allontana da questo rapporto fondamentale.

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