LA DOTTRINA PAOLINA DELLA CHIESA COME CORPO DI CRISTO (1 – IL SEGUITO SUBITO SOTTO)
LA DOTTRINA PAOLINA DELLA CHIESA COME CORPO DI CRISTO (1 – IL SEGUITO SUBITO SOTTO)
stralcio dal libro: Ratzinger J., La Chiesa, una comunità sempre in cammino, titolo originale “Zur Gemienschaft gerufen”, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo (MI) 1991
(non metto le citazioni, sono poche e in lingua tedesca, mi sembra un sovrappiù per un Blog)
CAPITOLO I: Origine e natura della Chiesa
Le sezioni di questo capitolo:
1. Considerazioni metodologiche preliminari
2. La testimonianza neotestamentaria sull’origine e la natura della Chiesa
a) Gesù e la Chiesa
b) La auto designazione della Chiesa come ekklesia
c) La dottrina paolina della Chiesa come corpo di Cristo
3. La visione della Chiesa negli Atti degli Apostoli
pagg. 23-28
La nozione neotestamentaria di popoli di Dio non va dunque in alcun modo pensata separatamente dalla cristologia. Questa, d’altra parte, non è una teoria astratta, bensì un evento che si concreta nei sacramenti del battesimo e dell’eucarestia. In essi la cristologia si apre alla dimensione trinitaria. Difatti questa infinita ampiezza e apertura può essere solo del Cristo Risorto, del quale san Paolo dice: “Il Signore è lo Spirito” (2Cor 3,17). E nello Spirito noi diciamo con Cristo: “Abbà”, perché siamo diventati figli (cfr. Rm 8,15; Gal 4,5). Paolo dunque non ha introdotto in concreto nulla di nuovo chiamando la Chiesa “corpo di Cristo”; egli ci offre solo una formula concisa a indicare ciò che sin dal principio era caratteristico della Crescita della Chiesa. È totalmente falsa l’affermazione, pur ripetuta in continuazione, che Paolo non avrebbe fatto altro che applicare alla Chiesa un’allegoria diffusa nella filosofia stoica del suo tempo. L’allegoria stoica paragona lo Stato a un organismo in cui tute le membra devono cooperare. L’idea dello Stato come organismo è una metafora per indicare la dipendenza di tutti da tutti e quindi l’importanza delle diverse funzioni che sono all’origine della vita di una collettività. Questo paragone veniva utilizzato per calmare le masse in agitazione e richiamarle alle loro funzioni che sono all’origine della vita di una collettività. Questo paragone veniva utilizzato per calmare le masse in agitazione e richiamarle alle loro funzioni: ogni organo ha una sua particolare importanza; è insensato che tutti vogliano essere una stessa cosa, perché allora, anziché divenire qualcosa di più elevato, si abbassano tutti e si distruggono a vicenda.
È incontestabile che Paolo abbia ripreso anche questi pensieri, per esempio quando dice ai Corinti in lite fra loro che sarebbe insensato se d’improvviso il piede volesse essere mano, ho l’orecchio occhio: “Se il corpo fosse tutto occhio, dove sarebbe l’udito? Se fosse tutto udito, dove l’odorato? Ma Dio ha disposto le membra in modo distinto nel corpo, come ha voluto…Molte sono le membra, ma uno solo è il corpo” (1Cor 12, 16ss). L’idea del corpo di Cristo in sa Paolo non si esaurisce tuttavia in simili riflessioni sociologiche e filosofico-morali; in tal caso sarebbe solo una glossa marginale all’originario concetto della Chiesa. Già nel mondo pre-cristiano greco e latino la metafora del corpo andava oltre. L’idea platonica secondo cui tutti il mondo costituisce un unico corpo, un essere vivente, fu sviluppata dalla filosofia stoica e ricollegata al concetto della divinità del mondo. Ma questo esula da quello che stiamo trattando. Perché le vere radici del’idea paolina del corpo di Cristo sono sen’altro intrabibliche. Tre sono le origini accertabili di quest’idea nella tradizione biblica.
C’è anzitutto sullo sfondo la nozione semitica di “personalità corporativa”, che si esprime ad esempio nel pensiero: noi tutti siamo Adamo, un unico uomo in grande. Nell’epoca moderna con la sua esaltazione del soggetto quest’idea è diventata del tutto incomprensibile.’io è ora una roccaforte, dalla quale non si esce più. È tipico il fatto che Cartesio cerchi di dedurre tuta la filosofia dall’”io penso”, perché soltanto l’io appariva ancora disponibile. Oggi la nozione di soggetto a poco a poco si dissolve nuovamente; diviene evidente che non esiste un io rigidamente chiuso in se stesso, dato che molteplici forze penetrano in noi e da noi promanano. Nel contempo si torna di nuovo a comprendere che l’io si forma a partire da tu e che i due si compenetrano reciprocamente. Così potrebbe essere di nuovo accettabile quella visione semitica della personalità corporativa, senza la quale difficilmente si può entrare nell’idea del corpo di Cristo.
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