Il trasporto sull’acqua in epoca romana
Il trasporto sull’acqua in epoca romana,
è uno studio molto interessante, come ho già scritto sulla categoria alla quale assegno questo post, non sono preparata e non sono in grando si aggiungere di più, sul sito, naturalmente, c’è il testo originale e le foto dove ho scritto « immagine », dal sito:
Il trasporto su acqua
Il prevalente ricorso al trasporto marittimo e fluviale in epoca romana era determinato soprattutto dal minor costo rispetto al trasporto terrestre, anche se le diverse cause di naufragio (rovesciamento, incagliamento, collisioni, cedimenti strutturali, spiaggiamento) mostrano, d’altra parte, che anche la navigazione non era esente da difficoltà e rischi, strettamente legati alle condizioni meteomarine; da novembre a marzo era epoca di mare clausum ma anche la navigazione di cabotaggio, effettuata in vista della costa, dipendeva dalla visibilità degli elementi del paesaggio, naturali (come i promontori) o artificiali (come i fari), che costituivano importanti punti di riferimento.
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Collisione tra navi nei pressi di un porto
Anche i viaggi per mare avevano bisogno, dunque, di un’ adeguata pianificazione, prevedendo le soste intermedie più appropriate o la possibilità di riparo all’avvicinarsi di una tempesta. Esistevano perciò i portolani, testi di riferimento utili per ogni genere di navigazione costiera, da quella delle grandi linee del commercio marittimo di lunga e media percorrenza, al piccolo cabotaggio, ai viaggi per mare, alle attività di pesca ed a quelle da diporto. Un esempio è la parte marittima dell’ Itinerarium Antonini Augusti (III sec d.C.). L’Itinerarium Maritimum delineva le rotte costiere consigliate, fornendo l’elenco dei porti, degli ancoraggi e delle altre possibilità di ridosso esitenti lungo il percorso.
Lo sviluppo dell’archeologia subacquea marittima, oltre al crescente interesse per gli ambienti acquatici interni, ha portato all’individuazione di un cospicuo numero di relitti di ogni epoca e tipologia e ha consentito l’individuazione di nuove strutture portuali.
La conoscenza delle tecniche di costruzione e della struttura delle antiche imbarcazioni è in genere legata alla parte inferiore dello scafo, meglio conservato dalla copertura del carico e a volte dall’insabbiamento, mentre poco sappiamo delle strutture superiori poiché ponte, alberi e velature, già danneggiate dal naufragio, erano i più esposti al deterioramento. Tuttavia l’integrazione tra le cospicue fonti letterarie, archeologiche e iconografiche fornisce una visione generale che consente una prima distinzione tra navi mercantili utilizzate su rotte, più corte e meno rischiose, di piccolo cabotaggio e navi destinate alla navigazione in mare aperto. Queste ultime potevano presentare caratteristiche determinate dal tipo di carico, come le naves lapidariae, a volte di dimensioni colossali per i trasporti eccezionali o quelle destinate al trasporto di bestiame per la guerra o per gli spettacoli pubblici, le bestiariae, che potevano presentare aperture sui fianchi per il passaggio degli animali più grandi.
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Imbarco di animali e trasporto leoni
In generale, robusti mercantili (naves onerariae) di varie dimensioni si muovevano sfruttando venti e correnti, attraverso un abile e consolidato uso della vela.
Il notevole livello raggiunto nella tecnica di costruzione navale ha fatto presupporre che la realizzazione da parte di maestranze altamente specializzate (faber navalis) fosse preceduta da una fase preliminare di progettazione.
La parte strutturale più significativa della nave era la chiglia, costituita da un’unica trave disposta longitudinalmente da poppa a prua; l’ossatura dello scafo, formata dai madieri, sosteneva l’insieme delle tavole di legno che formavano il fasciame. Questa struttura era consolidata dal paramezzale che correva parallelo alla chiglia e si incastrava ai madieri. La parte dello scafo che andava in acqua (opera viva) era stagna e a volte protetta da lamine di piombo; la stagnatura avveniva mediante pece colata tra le assi o con un tessuto imbevuto di mastice e fissato con chiodi. Nonostante il calafataggio, le pompe di sentina (a mano o a pedali) dovevano aspirare l’acqua che comunque s’infiltrava nel fondo della stiva.
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Stele funeraria del faber navalis Publio Longidieno
Il poco rimasto delle strutture superiori (opera morta), integrato dalle raffigurazioni e dalle fonti consente, a volte, di individuare il ponte, sostenuto dai bagli, che rinforzavano in senso trasversale lo scafo, la cabina, riservata al capitano e alle attività organizzative per la navigazione, la vita di bordo e la cambusa.
Abbastanza simili tra loro, i tipi di oneraria erano principalmente due, ben raffigurate nelle loro caratteristiche dal mosaico degli armatori di Syllectum nel Piazzale delle Corporazioni di Ostia. Mentre nella nave di sinistra la forma della prua è a profilo concavo, con uno sperone atto a proteggere la prua stessa e la chiglia quando l’imbarcazione attraccava al molo (oneraria), nella nave a destra la prua è convessa e attraccava tramite un asse sporgente (codicaria). Le principali vele, cioè quella dell’albero maestro e quella sostenuta da un secondo albero a prua, disposto obliquamente (artemo) avevano forma quadrata; invece il supparum, piccola vela sovrapposta alle altre, era triangolare. Rara la presenza di un terzo albero; il timone era laterale e formato da due parti indipendenti.
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Mosaico degli armatori di Syllectum, dal Piazzale delle Corporazioni di Ostia (Pavolini)
Tra tutti gli oggetti riferibili all’attrezzatura di bordo sicuramente il più significativo è l’àncora, anche se i reperti sono spesso privi del contesto di appartenenza.
Utilizzata dai primordi della navigazione e attestata già nel III millennio a.C., inizialmente era costituita da una pietra, magari con un foro per legarvi la cima; l’esigenza di effettuare una certa presa sul fondale portò all’inserimento di elementi in legno.
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Ancore primitive (da Coppola)
Tra VIII e VII secolo a.C. compare un nuovo tipo di ancora, costituito da un ceppo in pietra, il cui peso doveva consentire l’affondamento, saldato ad un elemento ligneo, con due marre fortemente ricurve, che doveva invece garantire la presa sul fondo.
Nel corso del IV secolo un ulteriore progresso tecnico porta alla sostituzione del ceppo in pietra con uno in piombo; i primi esemplari databili risalgono al III secolo a.C. Si cominciarono a fabbricare ancore di due tipi: con il ceppo di piombo fissato al fusto di legno durante la fusione e con il ceppo mobile, che poteva essere smontato. Spesso associata all’ancora in legno con ceppo in piombo era la contromarra, che aveva la funzione di impedire la divaricazione dal fusto delle marre di legno e contrastare più efficacemente la trazione di navi di grandi dimensioni.
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Ancora a ceppo mobile (da Coppola)
E’ noto che le merci, giunte ad Ostia a bordo di onerarie troppo grandi per risalire il Tevere, venivano caricate su imbarcazioni più adatte (naves caudicarie) e giungevano a Roma trainate da uomini e animali lungo le rive, mediante funi (alaggio).
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Scena di trasbordo (da Pavolini)
Esistevano, dunque, imbarcazioni idonee alla navigazione fluviale, la cui forma e dimensione erano fortemente condizionate dal contesto ambientale al quale dovevano servire, caratterizzandosi perciò per il fondo piatto e per la ridotta velatura. Erano impiegate a questo scopo diversi tipi di imbarcazioni; quelli citati più spesso sono le naves codicariae, in origine zattere o chiatte formate da tavole legate insieme, con lo scafo profondo e un albero che serviva da palo da alaggio e i lenunculi, con mansioni specializzate nel trasporto di alcuni settori di merce.
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Caudicaria ormeggiata
Bisogna osservare che, fra tutte le specializzazioni, non si conoscono navi esclusivamente dedicate al trasporto passeggeri. Chi voleva muoversi via mare poteva usufruire di un passaggio dalle navi che intraprendevano regolari e frequenti viaggi di andata e ritorno, almeno fino ai porti più vicini alla propria destinazione. Le cronache e la letteratura antica sono ricche di episodi di traversate marine di vari personaggi, imbarcati alla meglio su navi commerciali o da guerra; San Paolo viaggiò da Cesarea a Roma, su una nave frumentaria, come narrato nel capitolo 27 degli Atti degli Apostoli.
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