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XXIX SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO : DOMENICA 19 OTTOBRE 2008

XXIX SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO : DOMENICA 19 OTTOBRE 2008 dans LETTURE DI SAN PAOLO NELLA LITURGIA DEL GIORNO ♥♥♥ apostoli

Santuario San Gerardo Maiella – Avellino 

Particolare dei mosaici del presbiterio: san Pietro e san Paolo
http://it.sangerardo.eu/FOTO/lello2007_SANTUARIO/ 

XXIX SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

DOMENICA 19 OTTOBRE 2008-10-18

(SAN PAOLO DELLA CROCE)

MESSA DEL GIORNO

Seconda Lettura  1 Ts 1,1-5b
Paolo e Silvano e Timòteo alla Chiesa dei Tessalonicési che è in Dio Padre e nel Signore Gesù Cristo: a voi, grazia e pace. Rendiamo sempre grazie a Dio per tutti voi, ricordandovi nelle nostre preghiere e tenendo continuamente presenti l’operosità della vostra fede, la fatica della vostra carità e la fermezza della vostra speranza nel Signore nostro Gesù Cristo, davanti a Dio e Padre nostro. Sappiamo bene, fratelli amati da Dio, che siete stati scelti da lui. Il nostro Vangelo, infatti, non si diffuse fra voi soltanto per mezzo della parola, ma anche con la potenza dello Spirito Santo e con profonda convinzione.

COMMENTO DAL SITO: BIBLE SERVICE (difficile traduzione):

http://www.bible-service.net/site/179.html

1 Thessaloniciens 1,1-5Le trio apostolique dans la jubilation de l’anamnèse :  » À tout instant nous rendons grâce… Sans cesse nous nous souvenons…  » Motif de cette ferveur : cette foi qui est en active – pas en souci de confortable quiétude, cette charité qui se donne dans la peine, qui ne recule pas à se dépense, cette espérance qui tient bon en dépit des turbulences, désagréments et incertitude du présent. Bref, des chrétiens qui prennent au sérieux l’Incarnation du Dieu-avec-nous, et du même coup, ce qu’in Ruusbroec appelait  » la vie commune « . La piété, la dévotion, c’est bien – c’est même très bien – mais l’Évangile ne saurait demeurer simple parole, discours : qu’il ait prise sur notre chair, qu’il envahisse, voire chamboule le vivant que je suis avec  » puissance « , traversé alors de ce  » souffle saint  » qui aère et revigore : là est  » la certitude absolue « parce qu’ éprouvée, expérimentée, mieux qu’en n’importe quel discours !

1 Tessalonicesi 1,1-5   Il trio apostolico nel giubilo della anamnesi: « Ringraziamo sempre Dio per tutti voi, ricordandovi nelle vostre preghiere” (2) La ragione per questo fervore: questa fede che è operosa – non per un pensiero di confortevole quietitudine; carità che si dona nella sofferenza, che non retrocede mai dai suoi fardelli, speranza che conserva il bene a dispetto della confusione, disagio e incertezza del presente. In breve, dei cristiani che prendono sul serio l’Incarnazione del Dio-con-noi, e, allo stesso tempo, quello che in Ruusbroec – teologo mistico, 12931381, biografia in inglese:

http://undpress.nd.edu/book/P00860

- chiamava “la vita comune”: la pietà, la devozione, è bene – è sempre molto bene – ma il Vangelo non può rimanere solo parole, discorso : Colui che ha assunto la nostra carne, che invade, certamente sconvolge il vivente che io sono con “potenza”, (allora io sono) penetrato da questo “soffio santo” che ossigena e rinvigorisce: la è: la “certezza assoluta “ perché convito, ho sperimentato, meglio di qualsiasi discorso.

PRIMI VESPRI

Lettura breve Rm 11, 33-36
O profondità della ricchezza, della sapienza e della scienza di Dio! Quanto sono imperscrutabili i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie! Infatti, chi mai ha potuto conoscere il pensiero del Signore? O chi mai è stato suo consigliere? O chi gli ha dato qualcosa per primo, sì che abbia a riceverne il contraccambio? (Is 40, 13; Ger 23, 18; Gb 41, 3).  Poiché da lui, grazie a lui e per lui sono tutte le cose. A lui la gloria nei secoli. Amen.

UFFICIO DELLE LETTURE

Sant’Agostino come sempre: Seconda Lettura
Dalla «Lettera a Proba» di sant’Agostino, vescovo
(Lett. 130, 8, 15. 17 – 9, 18; CSEL 44, 56-57. 59-60)

Le aspirazioni del cuore, anima della preghiera
Quando preghiamo non dobbiamo mai perderci in tante considerazioni, cercando di sapere che cosa dobbiamo chiedere e temendo di non riuscire a pregare come si conviene. Perché non diciamo piuttosto col salmista: «Una cosa ho chiesto al Signore, questa sola io cerco: abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita, per gustare la dolcezza del Signore e ammirare il suo, santuario»? (Sal 26, 4). Ivi infatti non c’è successione di giorni come se ogni giorno dovesse arrivare e poi passare. L’inizio dell’uno non segna la fine dell’altro, perché vi si trovano presenti tutti contemporaneamente. La vita, alla quale quei giorni appartengono, non conosce tramonto. Per conseguire questa vita beata, la stessa vera Vita in persona ci ha insegnato a pregare, non con molte parole, come se fossimo tanto più facilmente esauditi, quanto più siamo prolissi. Nella preghiera infatti ci rivolgiamo a colui che, come dice il Signore medesimo, già sa quello che ci è necessario, prima ancora che glielo chiediamo (cfr. Mt 6, 7-8). Potrebbe sembrare strano che Dio ci comandi di fargli delle richieste quando egli conosce, prima ancora che glielo domandiamo, quello che ci è necessario. Dobbiamo però riflettere che a lui non importa tanto la manifestazione del nostro desiderio, cosa che egli conosce molto bene, ma piuttosto che questo desiderio si ravvivi in noi mediante la domanda perché possiamo ottenere ciò che egli è già disposto a concederci. Questo dono, infatti, è assai grande, mentre noi siamo tanto piccoli e limitati per accoglierlo. Perciò ci vien detto: «Aprite anche voi il vostro cuore! Non lasciatevi legare al giogo estraneo degli infedeli» (2 Cor 6, 13-14). Il dono è davvero grande, tanto che né occhio mai vide, perché non è colore; né orecchio mai udì, perché non è suono; né mai è entrato in cuore d’uomo (cfr. 1 Cor 2, 9), perché è là che il cuore dell’uomo deve entrare. Lo riceviamo con tanta maggiore capacità, quanto più salda sarà la nostra fede, più ferma la nostra speranza, più ardente il nostro desiderio. Noi dunque preghiamo sempre in questa stessa fede, speranza e carità, con desiderio ininterrotto. Ma in certe ore e in determinate circostanze, ci rivolgiamo a Dio anche con le parole, perché, mediante questi segni, possiamo stimolare noi stessi e insieme renderci conto di quanto abbiamo progredito nelle sante aspirazioni, spronandoci con maggiore ardore a intensificarle. Quanto più vivo, infatti, sarà il desiderio, tanto più ricco sarà l’effetto. E perciò, che altro vogliono dire le parole dell’Apostolo: «Pregate incessantemente» (1 Ts 5, 17) se non questo: Desiderate, senza stancarvi, da colui che solo può concederla quella vita beata, che niente varrebbe se non fosse eterna?

VESPRI

Lettura Breve 2 Cor 1, 3-4
Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione, il quale ci consola in ogni nostra tribolazione, perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in qualsiasi genere di afflizione con la consolazione con cui siamo consolati noi stessi da Dio.

XXVIII SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO – SABATO 18 OTTOBRE 2008

XXVIII SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

SABATO 18 OTTOBRE 2008-10-18

SAN LUCA EVANGELISTA (f)

Innanzi tutto propongo la biografia di San Luca come persona molto vicina e cara a San Paolo, dal sito:

http://santiebeati.it/index.html

BIOGRAFIA:

San Luca Evangelista

18 ottobre

Antiochia di Siria – Roma (?) – Primo secolo dopo Cristo

Luca, evangelista e autore degli Atti degli Apostoli, è chiamato « lo scrittore della mansuetudine del Cristo ». Paolo lo chiama « caro medico », compagno dei suoi viaggi missionari, confortatore della sua prigionia. Il suo vangelo, che pone in luce l’universalità della salvezza e la predilezione di Cristo verso i poveri, offre testimonianze originali come il vangelo dell’infanzia, le parabole della misericordia e annotazioni che ne riflettono la sensibilità verso i malati e i sofferenti. Nel libro degli Atti delinea la figura ideale della Chiesa, perseverante nell’insegnamento degli Apostoli, nella comunione di carità, nella frazione del pane e nelle preghiere. (Mess. Rom.)

Patronato: Artisti, Pittori, Scultori, Medici, Chirurghi

Etimologia: Luca = nativo della Lucania, dal latino

Emblema: Bue

Martirologio Romano: Festa di san Luca, Evangelista, che, secondo la tradizione, nato ad Antiochia da famiglia pagana e medico di professione, si convertì alla fede in Cristo. Divenuto compagno carissimo di san Paolo Apostolo, sistemò con cura nel Vangelo tutte le opere e gli insegnamenti di Gesù, divenendo scriba della mansuetudine di Cristo, e narrò negli Atti degli Apostoli gli inizi della vita della Chiesa fino al primo soggiorno di Paolo a Roma.

Ma che c’entra Teofilo? E chi lo conosce? Da sempre ci pare un po’ abusivo questo personaggio ignoto, che vediamo riverito e lodato all’inizio del vangelo di Luca e dei suoi Atti degli Apostoli. La risposta si trova nella formazione ellenistica dell’autore. Con la dedica fatta a Teofilo che doveva essere un cristiano eminente egli segue l’uso degli scrittori classici, che appunto erano soliti dedicare le loro opere a personaggi insigni. Luca, infatti, ha studiato, è medico, e tra gli evangelisti è l’unico non ebreo. Forse viene da Antiochia di Siria (oggi Antakya, in Turchia). Un convertito, un ex pagano, che Paolo di Tarso si associa nell’apostolato, chiamandolo « compagno di lavoro » (Filemone 24) e indicandolo nella Lettera ai Colossesi come « caro medico » (4,14). Il medico segue Paolo dappertutto, anche in prigionia: due volte. E la seconda, mentre in un duro carcere attende il supplizio, Paolo scrive a Timoteo che ormai tutti lo hanno abbandonato. Meno uno. « Solo Luca è con me » (2Timoteo 4,11). E questa è l’ultima notizia certa dell’evangelista. Luca scrive il suo vangelo per i cristiani venuti dal paganesimo. Non ha mai visto Gesù, e si basa sui testimoni diretti, tra cui probabilmente alcune donne, fra le prime che risposero all’annuncio. C’è un’ampia presenza femminile nel suo vangelo, cominciando naturalmente dalla Madre di Gesù: Luca è attento alle sue parole, ai suoi gesti, ai suoi silenzi. Di Gesù egli sottolinea l’invitta misericordia, e quella forza che uscendo da lui  » Gli Atti degli Apostoli raccontano il primo espandersi della Chiesa cristiana fuori di Palestina, con i problemi e i traumi di questa universalizzazione. Nella seconda parte è dominante l’attività apostolica di Paolo, dall’Asia all’Europa; e qui Luca si mostra attraente narratore quando descrive il viaggio, la tempesta, il naufragio, le buone accoglienze e le persecuzioni, i tumulti e le dispute, gli arresti, dal porto di Cesarea Marittima fino a Roma e alle sue carceri. Secondo un’antica leggenda, Luca sarebbe stato anche pittore e, in particolare, autore di numerosi ritratti della Madonna. Altre leggende dicono che, dopo la morte di Paolo, egli sarebbe andato a predicare fuori Roma; e si parla di molti luoghi. Di troppi. In realtà, nulla sappiamo di lui dopo le parole di Paolo a Timoteo dal carcere. Ma il vangelo di Luca continua a essere annunciato insieme a quelli di Matteo, Marco e Giovanni in tutto il mondo. E con esso anche gli Atti degli Apostoli. Nella liturgia della Parola, durante la Messa e in tutte le lingue, Luca continua davvero a predicare; anche ai nostri giorni, incessantemente.
Autore: Domenico Agasso

c’è anche un « commento alla liturgia del giorno » su San Luca del sito EAQ:

http://www.levangileauquotidien.org/www/main.php?language=FR&ordo=&localTime=10/18/2008#

Cardinale John Henry Newman (1801-1890), sacerdote, fondatore di una comunità religiosa, teologo
PPS, vol. 3 no. 22 : « The Good Part of Mary »,

San Luca, evangelista, « servo della Parola » (Lc 1,2)

Buona è ogni parola di Cristo, ha la sua missione e la sua meta, non non si disperde. È impossibile che il Verbo di Dio abbia mai pronunciato parole effimere, poiché Egli esprime, secondo il suo volere, i consigli profondi e la volontà santa del Dio invisibile. Ogni parola di Cristo è buona. Anche se le sue parole ci fossero state trasmesse da gente qualsiasi, possiamo essere sicuri che nulla di ciò che è arrivato fino a noi – che si tratti di parole a un discepolo o a un oppositore, di avvertimenti, avvisi, rimproveri, parole di conforto, di persuasione o di condanna – nulla di queste ha un significato meramente accidentale, una portata limitata o parziale…Anzi, tutte le parole di Cristo, pur rivestite di una forma temporanea e ordinate a uno scopo immediato, e per questo difficili da estrapolare da ciò che in esse c’è di momentaneo o contingente, conservano tutta la loro forza in ogni secolo. Rimanendo nella Chiesa, sono destinate a durare per sempre nei cieli (cfr Mt 24,35); si prolungano fino nell’eternità. Sono la nostra regola santa, giusta e buona, «lampada per i nostri passi, luce sul nostro cammino» (Sal 118,105), così pienamente e intimamente adatte a nostro tempo come quando sono state pronunciate. Questo sarebbe stato vero anche se la premura di un solo uomo avesse raccolto queste briciole dalla tavola di Cristo. Ma abbiamo una speranza molto più grande, perché le riceviamo non dagli uomini bensì da Dio (1 Tes 2,13). Lo Spirito Santo, che è venuto a glorificare Cristo e a dare agli evangelisti l’ispirazione per scrivere, non ha tracciato per noi un Vangelo sterile. Sia lodato di aver scelto e salvaguardato per noi le parole che sarebbero dovute essere particolarmente utili nei tempi a venire, le parole cioè che possono servire di legge alla Chiesa, per la fede, la morale e la disciplina. Non una legge scritta su delle tavole di pietre (Es 24,12), bensì una legge di fede e di amore, dello spirito non della lettera (Rm 7,6), una legge per dei cuori generosi, che accettano di «vivere di ogni parola – per quanto modesta e umile sia – che esce dalla bocca di Dio» (Dt 8,3; Mt 4,4).

MESSA DEL GIORNO

Prima Lettura  2 Tm 4, 10-17
Solo Luca è con me.
 
Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo Timòteo
Carissimo, Dema mi ha abbandonato avendo preferito il secolo presente ed è partito per Tessalònica; Crescente è andato in Galàzia, Tito in Dalmazia. Solo Luca è con me. Prendi Marco e portalo con te, perché mi sarà utile per il ministero. Ho inviato Tìchico a Efeso. Venendo, portami il mantello che ho lasciato a Tròade in casa di Carpo e anche i libri, soprattutto le pergamene. Alessandro, il ramaio, mi ha procurato molti mali. Il Signore gli renderà secondo le sue opere; guàrdatene anche tu, perché è stato un accanito avversario della nostra predicazione. Nella mia prima difesa in tribunale nessuno mi ha assistito; tutti mi hanno abbandonato. Non se ne tenga conto contro di loro. Il Signore però mi è stato vicino e mi ha dato forza, perché per mio mezzo si compisse la proclamazione del messaggio e potessero sentirlo tutti i Gentili.

UFFICIO DELLE LETTURE

Prima Lettura
Dagli Atti degli Apostoli 9, 27-31; 11, 19-26

La Chiesa è colma del conforto dello Spirito Santo
Un giorno Barnaba prese con sé Paolo, lo presentò agli apostoli e raccontò loro come durante il viaggio aveva visto il Signore che gli aveva parlato, e come in Damasco aveva predicato con coraggio nel nome di Gesù. Così egli poté stare con loro e andava e veniva a Gerusalemme, parlando apertamente nel nome del Signore e parlava e discuteva con gli Ebrei di lingua greca; ma questi tentarono di ucciderlo. Venutolo però a sapere i fratelli, lo condussero a Cesarèa e lo fecero partire per Tarso. La Chiesa era dunque in pace per tutta la Giudea, la Galilea e la Samaria; essa cresceva e camminava nel timore del Signore, colma del conforto dello Spirito Santo. Intanto quelli che erano stati dispersi dopo la persecuzione scoppiata al tempo di Stefano, erano arrivati fin nella Fenicia, a Cipro e ad Antiochia e non predicavano la parola a nessuno fuorché ai Giudei. Ma alcuni fra loro, cittadini di Cipro e di Cirène, giunti ad Antiochia, cominciarono a parlare anche ai Greci, predicando la buona novella del Signore Gesù. E la mano del Signore era con loro e così un gran numero credette e si convertì al Signore. La notizia giunse agli orecchi della Chiesa di Gerusalemme, la quale mandò Barnaba ad Antiochia. Quando questi giunse e vide la grazia del Signore, si rallegrò e, da uomo virtuoso qual era e pieno di Spirito Santo e di fede, esortava tutti a perseverare con cuore risoluto nel Signore. E una folla considerevole fu condotta al Signore. Barnaba poi partì alla volta di Tarso per cercare Saulo e trovatolo lo condusse ad Antiochia. Rimasero insieme un anno intero in quella comunità e istruirono molta gente; ad Antiochia per la prima volta i discepoli furono chiamati Cristiani.
 
Responsorio At 12, 24; 13, 48. 52
R. La parola di Dio cresceva e si diffondeva. * E abbracciarono la fede i predestinati alla vita eterna.
V. I discepoli erano pieni di gioia e di Spirito Santo.
R. E abbracciarono la fede i predestinati alla vita eterna.

LODI

Lettura Breve 1 Cor 15, 1-2a.3-4
Vi rendo noto, fratelli, il Vangelo che vi ho annunziato e che voi avete ricevuto, nel quale restate saldi, e dal quale anche ricevete la salvezza. Vi ho trasmesso dunque, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture.

XXVIII SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO – VENERDÌ 17 OTTOBRE 2008

XXVIII SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

VENERDÌ 17 OTTOBRE 2008

SANT’IGNAZIO D’ANTIOCHIA – Vescovo e martire

Sull’Osservatore Romano del 17 ottobre 2008 c‘era un articolo su Sant’Ignazio d’Antiochia, l’articolo faceva l’ipotesi che Sant’Ignazio fosse stato un Papa, non posso mettere il link all’Osservatore Romano perché stupidamente l’ho dimenticato e ora c’è l’edizione del 18, ossia di domani (su internet), ho trovato, però, chi l’ha già postato, quindi, se volete leggerlo lo trovate al link:

http://testispirituali.splinder.com/post/18747630/Ipotesi+su+Sant’Ignazio+d’Anti

MESSA DEL GIORNO

Prima Lettura   Ef 1, 11-14
Fratelli, in Cristo siamo stati fatti anche eredi, 
essendo stati predestinati secondo il piano di colui 
che tutto opera efficacemente, conforme alla sua volontà, 
perché noi fossimo a lode della sua gloria, 
noi, che per primi abbiamo sperato in Cristo. 
In lui anche voi, dopo aver ascoltato la parola della verità, 
il vangelo della vostra salvezza e avere in esso creduto, 
avete ricevuto il suggello dello Spirito Santo che era stato promesso, 
il quale è caparra della nostra eredità, 
in attesa della completa redenzione di coloro 
che Dio si è acquistato, a lode della sua gloria  

UFFICIO DELLE LETTURE

Metto la seconda lettura dal proprio di San Ignazio, non ci sono riferimenti, ma l’epoca e l’importanza di questo santo martire sono tali che riferimenti agli apostoli ed a Paolo sono pensabili se non evidenti;

Seconda Lettura
Dalla «Lettera ai Romani» di sant’Ignazio di Antiochia, vescovo e martire
(Capp. 4, 1-2; 6, 1 – 8, 3; Funk, 1, 217-223)

Sono frumento di Dio: sarò macinato dai denti delle fiere
Scrivo a tutte le chiese, e a tutti annunzio che morrò volentieri per Dio, se voi non me lo impedirete. Vi scongiuro, non dimostratemi una benevolenza inopportuna. Lasciate che io sia pasto delle belve, per mezzo delle quali mi sia dato di raggiungere Dio. Sono frumento di Dio e sarò macinato dai denti delle fiere per divenire pane puro di Cristo. Supplicate Cristo per me, perché per opera di queste belve io divenga ostia per il Signore. A nulla mi gioveranno i godimenti del mondo né i regni di questa terra. E’ meglio per me morire per Gesù Cristo che estendere il mio impero fino ai confini della terra. Io cerco colui che è morto per noi, voglio colui che per noi è risorto. E’ vicino il momento della mia nascita. Abbiate compassione di me, fratelli. Non impeditemi di vivere, non vogliate che io muoia. Non abbandonate al mondo e alle seduzioni della materia chi vuol essere di Dio. Lasciate che io raggiunga la pura luce; giunto là, sarò veramente un uomo. Lasciate che io imiti la passione del mio Dio. Se qualcuno lo ha in sé, comprenda quello che io voglio e mi compatisca, pensando all’angoscia che mi opprime. Il principe di questo mondo vuole portarmi via e soffocare la mia aspirazione verso Dio. Nessuno di voi gli dia mano; state piuttosto dalla mia parte, cioè da quella di Dio. Non siate di quelli che professano Gesù Cristo e ancora amano il mondo. Non trovino posto in voi sentimenti meno buoni. Anche se vi supplicassi, quando sarà tra voi, non datemi ascolto: credete piuttosto a quanto vi scrivo ora nel pieno possesso della mia vita. Vi scrivo che desidero morire.
Ogni mio desiderio terreno è crocifisso e non c’è più in me nessun’aspirazione per le realtà materiali, ma un’acqua viva mormora dentro di me e mi dice: «Vieni al Padre». Non mi diletto più di un cibo corruttibile, né dei piaceri di questa vita. Voglio il pane di Dio, che è la carne di Gesù Cristo, della stirpe di David; voglio per bevanda il suo sangue che è la carità incorruttibile. Non voglio più vivere la vita di quaggiù. E il mio desiderio si realizzerà, se voi lo vorrete. Vogliatelo, vi prego, per trovare anche voi benevolenza. Ve lo domando con poche parole: credetemi. Gesù Cristo vi farà comprendere che dico il vero: egli è la bocca verace per mezzo della quale il Padre ha parlato in verità. Chiedete per me che io possa raggiungerlo. Non vi scrivo secondo la carne, ma secondo il pensiero di Dio. Se subirò il martirio, ciò significherà che mi avete voluto bene. Se sarò rimesso in libertà, sarà segno che mi avete odiato.

LODI

Lettura Breve 2 Cor 1, 3-5
Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione, il quale ci consola in ogni nostra tribolazione perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in qualsiasi genere di afflizione con la consolazione con cui siamo consolati noi stessi da Dio. Infatti, come abbondano le sofferenze di Cristo in noi, così, per mezzo di Cristo, abbonda anche la nostra consolazione.

XXVIII SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO – GIOVEDÌ 16 OTTOBRE

XXVIII SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO 

GIOVEDÌ 16 OTTOBRE 

Margherita Maria Alacoque (mf) 

MESSA DEL GIORNO 

Prima Lettura   Ef 1, 1-10
Paolo, apostolo di Gesù Cristo per volontà di Dio, ai santi che sono in Efeso, credenti in Cristo Gesù: grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo. 
Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, 
che ci ha benedetti 
con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo. 
In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, 
per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità, 
predestinandoci a essere suoi figli adottivi 
per opera di Gesù Cristo, 
secondo il beneplacito della sua volontà. 
E questo a lode e gloria della sua grazia, 
che ci ha dato nel suo Figlio diletto; 
nel quale abbiamo la redenzione mediante il suo sangue, 
la remissione dei peccati 
secondo la ricchezza della sua grazia. 
Egli l’ha abbondantemente riversata su di noi 
con ogni sapienza e intelligenza, 
poiché egli ci ha fatto conoscere il mistero della sua volontà, 
secondo quanto nella sua benevolenza aveva in lui prestabilito 
per realizzarlo nella pienezza dei tempi: 
il disegno cioè di ricapitolare in Cristo tutte le cose, 
quelle del cielo come quelle della terra.    

LODI 

Lettura Breve   Rm 8, 18-21
Io ritengo, che le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi. La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio; essa infatti è stata sottomessa alla caducità — non per suo volere, ma per volere di colui che l’ha sottomessa — e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. 

VESPRI 

Lettura breve   Cfr. Col 1, 23
Rimanete fondati e fermi nella fede e non vi lasciate allontanare dalla speranza promessa nel Vangelo che avete ascoltato, il quale è stato annunziato ad ogni creatura sotto il cielo.
 

XXVIII SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO – MERCOLEDÌ 15 OTTOBRE

XXVIII SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO 

MERCOLEDÌ 15 OTTOBRE 

Santa Teresa D’Avila (m) 

MESSA DEL GIORNO 

Prima Lettura   Gal 5, 18-25
Fratelli, se vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete più sotto la legge. Del resto le opere della carne sono ben note: fornicazione, impurità, libertinaggio, idolatrìa, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere; circa queste cose vi preavviso, come già ho detto, che chi le compie non erediterà il regno di Dio. Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé; contro queste cose non c’è legge. Ora quelli che sono di Cristo Gesù hanno crocifisso la loro carne con le sue passioni e i suoi desideri. Se pertanto viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito.    

UFFICIO DELLE LETTURE – DAL PROPRIO DELLA SANTA 

citazione 

Seconda Lettura
Dalle «Opere» di santa Teresa di Gesù, Vergine
(Opusc. «Il libro della vita», cap. 22, 6-7, 14)

Ricordiamoci sempre dell’amore di Cristo
Chi ha come amico Cristo Gesù e segue un capitano così magnanimo come lui, può certo sopportare ogni cosa; Gesù infatti aiuta e dà forza, non viene mai meno ed ama sinceramente. Infatti ha sempre riconosciuto e tuttora vedo chiaramente che non possiamo piacere a Dio e da lui ricevere grandi grazie, se non per le mani della sacratissima umanità di Cristo, nella quale egli ha detto di compiacersi. Ne ho fatto molte volte l’esperienza, e me l’ha detto il Signore stesso. Ho visto nettamente che dobbiamo passare per questa porta, se desideriamo che la somma Maestà ci mostri i suoi grandi segreti. Non bisogna cercare altra strada, anche se si è raggiunto il vertice della contemplazione, perché per questa via si è sicuri. E’ da lui, Signore nostro, che ci vengono tutti i beni. Egli ci istruirà. Meditando la sua vita, non si troverà modello più perfetto. Che cosa possiamo desiderare di più, quando abbiamo al fianco un così buon amico che non ci abbandona mai nelle tribolazioni e nelle sventure, come fanno gli amici del mondo? Beato colui che lo ama per davvero e lo ha sempre con sé! Guardiamo il glorioso apostolo Paolo che non poteva fare a meno di avere sempre sulla bocca il nome di Gesù, perché l’aveva ben fisso nel cuore. Conosciuta questa verità, ho considerato e ho appreso che alcuni santi molto contemplativi, come Francesco, Antonio da Padova, Bernardo, Caterina da Siena, non hanno seguito altro cammino. Bisogna percorrere questa strada con grande libertà, abbandonandoci nelle mani di Dio. Se egli desidera innalzarci fra i principi della sua corte, accettiamo volentieri tale grazia. Ogni volta poi, che pensiamo a Cristo, ricordiamoci dell’amore che lo ha spinto a concederci tante grazie e dell’accesa carità che Dio ci ha mostrato dandoci in lui un pegno della tenerezza con cui ci segue: amore infatti domanda amore. Perciò sforziamoci di considerare questa verità e di eccitarci ad amare. Se il Signore ci facesse la grazia, una volta, di imprimerci nel cuore questo amore, tutto ci diverrebbe facile e faremmo molto, in breve e senza fatica.

Bartolomeo I: San Paolo, il primo “teologo dell’unità”

dal sito:

http://www.zenit.org/article-15773?l=italian

Un incontro panortodosso promuove l’unità dei cristiani

Bartolomeo I: San Paolo, il primo “teologo dell’unità”

di Miriam Díez i Bosch

ISTANBUL (Turchia), mercoledì, 15 ottobre 2008 (ZENIT.org).- San Paolo, l’unità della Chiesa, la bioetica, la creazione, la laicità e l’annuncio cristiano al mondo. Sono i temi che emergono dalla dichiarazione finale di un incontro tra leader ortodossi svoltosi a Istanbul (Turchia) con la presidenza del Patriarca Ecumenico Bartolomeo I.

Nel suo intervento iniziale, il 10 ottobre, il Patriarca ha presentato l’apostolo Paolo come forse il “primo teologo dell’unità” e ha ricordato che “non si può onorare San Paolo in modo adeguato se allo stesso tempo non si lavora per l’unità della Chiesa”.

L’incontro, chiamato “Sinaxis”, ha riunito i maggiori rappresentanti delle Chiese ortodosse legate al Patriarcato di Costantinopoli per tre giorni a El Fanar, la sede del Patriarcado Ecumenico.

“Per San Paolo l’unità della Chiesa non è meramente una questione interna alla Chiesa stessa. Insiste tanto nel mantenere l’unità perché questa è inestricabilmente legata all’unità di tutta l’umanità”, ha affermato Bartolomeo I.

La proposta dell’ortodossia oggi, ha aggiunto, “non dovrebbe essere aggressiva, come purtroppo accade a volte, ma dialogica, dialettica e riconciliatrice”.

In un comunicato finale emesso al termine dell’incontro, i leader ortodossi presenti hanno ricordato che, nonostante i conflitti interni alla Chiesa ortodossa per motivi “nazionalisti ed etnici o per estremismi ideologici del passato”, è importante trovare un modo per far sì che l’ortodossia abbia un “impatto” sul mondo contemporaneo.

Ricordando anche l’apostolo Paolo, affermano che “il dovere supremo della Chiesa è l’evangelizzazione del Popolo di Dio, ma anche di coloro che non credono a Cristo”, e questo dovere deve essere realizzato “non in modo aggressivo o con varie forme di proselitismo”, ma “con amore, umiltà e rispetto per l’identità di ogni individuo e per la particolarità culturale di ogni persona”.

I leader hanno ammesso che tutti i cristiani ortodossi “condividono la responsabilità della crisi contemporanea di questo pianeta con altra gente, credente o no”, e hanno ricordato l’attenzione che merita la natura e la sensibilità di fronte alla bioetica, chiedendo la creazione di un comitato ortodosso che dia il suo punto di vista su vari temi bioetici.

Riconoscendo inoltre che gli sforzi per separare la religione dalla vita sociale costituiscono “la tendenza comune di molti Stati moderni”, sottolineano che anche se il principio dello Stato secolare deve essere preservato è “inaccettabile che tale principio venga interpretato come una radicale emarginazione della religione dalla sfera della vita pubblica”.

La distanza tra ricchi e poveri “cresce drammaticamente a causa della crisi finanziaria”, hanno proseguito i leader ortodossi, chiedendo “un’economia che combini l’efficacia con la giustizia e la solidarietà sociale”.

Il documento è stato firmato dai Primati delle Chiese ortodosse di Costantinopoli, russa, greca, albanese, di Alessandria, Antiochia, Gerusalemme, Cipro, dal Primate della Chiesa ortodossa della Cechia e della Slovacchia e dai rappresentanti delle Chiese georgiana, serba, rumena, bulgara e polacca.

Benedetto XVI e la dimensione ecclesiologica del pensiero di Paolo

 dal sito:

http://www.zenit.org/article-15769?l=italian

Benedetto XVI e la dimensione ecclesiologica del pensiero di Paolo

Catechesi per l’Udienza generale del mercoledì

CITTA’ DEL VATICANO, mercoledì, 15 ottobre 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il testo della catechesi tenuta da Benedetto XVI in occasione dell’Udienza generale del mercoledì svoltasi in piazza San Pietro, dove il Santo Padre ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli giunti dall’Italia e da ogni parte del mondo.

Nel discorso in lingua italiana, continuando il ciclo di catechesi sulla figura di San Paolo, il Papa si è soffermato sul tema: « La dimensione ecclesiologica del pensiero di Paolo« .

* * *

Cari fratelli e sorelle,

nella catechesi di mercoledì scorso ho parlato della relazione di Paolo con il Gesù pre-pasquale nella sua vita terrena. La questione era: « Che cosa ha saputo Paolo della vita di Gesù, delle sue parole, della sua passione? ». Oggi vorrei parlare dell’insegnamento di san Paolo sulla Chiesa. Dobbiamo cominciare dalla costatazione che questa parola « Chiesa » nell’italiano – come nel francese « Église » e nello spagnolo « Iglesia » – essa è presa dal greco « ekklēsía »! Essa viene dall’Antico Testamento e significa l’assemblea del popolo di Israele, convocata da Dio, particolarmente l’assemblea esemplare ai piedi del Sinai. Con questa parola è ora significata la nuova comunità dei credenti in Cristo che si sentono assemblea di Dio, la nuova convocazione di tutti i popoli da parte di Dio e davanti a Lui. Il vocabolo ekklēsía fa la sua apparizione solo sotto la penna di Paolo, che è il primo autore di uno scritto cristiano. Ciò avviene nell’incipit della prima Lettera ai Tessalonicesi, dove Paolo si rivolge testualmente « alla Chiesa dei Tessalonicesi » (cfr poi anche « la Chiesa dei Laodicesi » in Col 4,16). In altre Lettere egli parla della Chiesa di Dio che è in Corinto (1 Cor 1,2; 2 Cor 1,1), che è in Galazia (Gal 1,2 ecc.) – Chiese particolari, dunque – ma dice anche di avere perseguitato « la Chiesa di Dio »: non una determinata comunità locale, ma « la Chiesa di Dio ». Così vediamo che questa parola « Chiesa » ha un significato pluridimensionale: indica da una parte le assemblee di Dio in determinati luoghi (una città, un paese, una casa), ma significa anche tutta la Chiesa nel suo insieme. E così vediamo che « la Chiesa di Dio » non è solo una somma di diverse Chiese locali, ma che le diverse Chiese locali sono a loro volta realizzazione dell’unica Chiesa di Dio. Tutte insieme sono « la Chiesa di Dio », che precede le singole Chiese locali e si esprime, si realizza in esse.

È importante osservare che quasi sempre la parola « Chiesa » appare con l’aggiunta della qualificazione « di Dio »: non è una associazione umana, nata da idee o interessi comuni, ma da una convocazione di Dio. Egli l’ha convocata e perciò è una in tutte le sue realizzazioni. L’unità di Dio crea l’unità della Chiesa in tutti i luoghi dove essa si trova. Più tardi, nella Lettera agli Efesini, Paolo elaborerà abbondantemente il concetto di unità della Chiesa, in continuità col concetto di Popolo di Dio, Israele, considerato dai profeti come « sposa di Dio », chiamata a vivere una relazione sponsale con Lui. Paolo presenta l’unica Chiesa di Dio come « sposa di Cristo » nell’amore, un solo corpo e un solo spirito con Cristo stesso. È noto che il giovane Paolo era stato accanito avversario del nuovo movimento costituito dalla Chiesa di Cristo. Ne era stato avversario, perché aveva visto minacciata in questo nuovo movimento la fedeltà alla tradizione del popolo di Dio, animato dalla fede nel Dio unico. Tale fedeltà si esprimeva soprattutto nella circoncisione, nell’osservanza delle regole della purezza cultuale, dell’astensione da certi cibi, del rispetto del sabato. Questa fedeltà gli Israeliti avevano pagato col sangue dei martiri, nel periodo dei Maccabei, quando il regime ellenista voleva obbligare tutti i popoli a conformarsi all’unica cultura ellenistica. Molti israeliti avevano difeso col sangue la vocazione propria di Israele. I martiri avevano pagato con la vita l’identità del loro popolo, che si esprimeva mediante questi elementi. Dopo l’incontro con il Cristo risorto, Paolo capì che i cristiani non erano traditori; al contrario, nella nuova situazione, il Dio di Israele, mediante Cristo, aveva allargato la sua chiamata a tutte le genti, divenendo il Dio di tutti i popoli. In questo modo si realizzava la fedeltà all’unico Dio; non erano più necessari segni distintivi costituiti da norme e osservanze particolari, perché tutti erano chiamati, nella loro varietà, a far parte dell’unico popolo di Dio della « Chiesa di Dio » in Cristo.

Una cosa fu per Paolo subito chiara nella nuova situazione: il valore fondamentale e fondante di Cristo e della « parola » che Lo annunciava. Paolo sapeva che non solo non si diventa cristiani per coercizione, ma che nella configurazione interna della nuova comunità la componente istituzionale era inevitabilmente legata alla « parola » viva, all’annuncio del Cristo vivo nel quale Dio si apre a tutti i popoli e li unisce in un unico popolo di Dio. È sintomatico che Luca negli Atti degli Apostoli impieghi più volte, anche a proposito di Paolo, il sintagma « annunciare la parola » (At 4,29.31; 8,25; 11,19; 13,46; 14,25; 16,6.32), con l’evidente intenzione di evidenziare al massimo la portata decisiva della « parola » dell’annuncio. In concreto, tale parola è costituita dalla croce e dalla risurrezione di Cristo, in cui hanno trovato realizzazione le Scritture. Il Mistero pasquale, che ha provocato la svolta della sua vita sulla strada di Damasco, sta ovviamente al centro della predicazione dell’Apostolo (cfr 1 Cor 2,2;15,14). Questo Mistero, annunciato nella parola, si realizza nei sacramenti del Battesimo e dell’Eucaristia e diventa poi realtà nella carità cristiana. L’opera evangelizzatrice di Paolo non è finalizzata ad altro che ad impiantare la comunità dei credenti in Cristo. Questa idea è insita nella etimologia stessa del vocabolo ekklēsía, che Paolo, e con lui l’intero cristianesimo, ha preferito all’altro termine di « sinagoga »: non solo perché originariamente il primo è più ‘laico’ (derivando dalla prassi greca dell’assemblea politica e non propriamente religiosa), ma anche perché esso implica direttamente l’idea più teologica di una chiamata ab extra, non quindi di un semplice riunirsi insieme; i credenti sono chiamati da Dio, il quale li raccoglie in una comunità, la sua Chiesa.

In questa linea possiamo intendere anche l’originale concetto, esclusivamente paolino, della Chiesa come « Corpo di Cristo ». Al riguardo, occorre avere presente le due dimensioni di questo concetto. Una è di carattere sociologico, secondo cui il corpo è costituito dai suoi componenti e non esisterebbe senza di essi. Questa interpretazione appare nella Lettera ai Romani e nella Prima Lettera ai Corinti, dove Paolo assume un’immagine che esisteva già nella sociologia romana: egli dice che un popolo è come un corpo con diverse membra, ognuna delle quali ha la sua funzione, ma tutte, anche le più piccole e apparentemente insignificanti, sono necessarie perché il corpo possa vivere e realizzare le proprie funzioni. Opportunamente l’Apostolo osserva che nella Chiesa ci sono tante vocazioni: profeti, apostoli, maestri, persone semplici, tutti chiamati a vivere ogni giorno la carità, tutti necessari per costruire l’unità vivente di questo organismo spirituale. L’altra interpretazione fa riferimento al Corpo stesso di Cristo. Paolo sostiene che la Chiesa non è solo un organismo, ma diventa realmente corpo di Cristo nel sacramento dell’Eucaristia, dove tutti riceviamo il suo Corpo e diventiamo realmente suo Corpo. Si realizza così il mistero sponsale che tutti diventano un solo corpo e un solo spirito in Cristo. Così la realtà va molto oltre l’immagine sociologica, esprimendo la sua vera essenza profonda, cioè l’unità di tutti i battezzati in Cristo, considerati dall’Apostolo « uno » in Cristo, conformati al sacramento del suo Corpo.

Dicendo questo, Paolo mostra di saper bene e fa capire a noi tutti che la Chiesa non è sua e non è nostra: la Chiesa è corpo di Cristo, è « Chiesa di Dio« , « campo di Dio, edificazione di Dio, tempio di Dio » (1Cor 3,9.16). Quest’ultima designazione è particolarmente interessante, perché attribuisce a un tessuto di relazioni interpersonali un termine che comunemente serviva per indicare un luogo fisico, considerato sacro. Il rapporto tra Chiesa e tempio viene perciò ad assumere due dimensioni complementari: da una parte, viene applicata alla comunità ecclesiale la caratteristica di separatezza e purità che spettava all’edificio sacro, ma, dall’altra, viene pure superato il concetto di uno spazio materiale, per trasferire tale valenza alla realtà di una viva comunità di fede. Se prima i templi erano considerati luoghi della presenza di Dio, adesso si sa e si vede che Dio non abita in edifici fatti di pietre, ma il luogo della presenza di Dio nel mondo è la comunità viva dei credenti.

Un discorso a parte meriterebbe la qualifica di « popolo di Dio », che in Paolo è applicata sostanzialmente al popolo dell’Antico Testamento e poi ai pagani che erano « il non popolo » e sono diventati anch’essi popolo di Dio grazie al loro inserimento in Cristo mediante la parola e il sacramento. E finalmente un’ultima sfumatura. Nella Lettera a Timoteo Paolo qualifica la Chiesa come «casa di Dio» (1 Tm 3,15); e questa è una definizione davvero originale, poiché si riferisce alla Chiesa come struttura comunitaria in cui si vivono calde relazioni interpersonali di carattere familiare. L’Apostolo ci aiuta a comprendere sempre più a fondo il mistero della Chiesa nelle sue diverse dimensioni di assemblea di Dio nel mondo. Questa è la grandezza della Chiesa e la grandezza della nostra chiamata: siamo tempio di Dio nel mondo, luogo dove Dio abita realmente, e siamo, al tempo stesso, comunità, famiglia di Dio, il Quale è carità. Come famiglia e casa di Dio dobbiamo realizzare nel mondo la carità di Dio e così essere, con la forza che viene dalla fede, luogo e segno della sua presenza. Preghiamo il Signore affinchè ci conceda di essere sempre più la sua Chiesa, il suo Corpo, il luogo della presenza della sua carità in questo nostro mondo e nella nostra storia.

[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]

Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana, in particolare ai fedeli della diocesi di Ischia, venuti con il loro Pastore Mons. Filippo Strofaldi, in occasione della conclusione del sinodo diocesano, evento prezioso di rilancio dell’attività pastorale. Saluto le partecipanti ai Capitoli Generali delle Francescane Missionarie di Maria e delle Serve di Maria Ministre degli Infermi. Care Sorelle, mantenete vivi i vostri rispettivi carismi e continuate con rinnovato slancio di carità sulla via tracciata dai vostri Fondatori. Saluto le Infermiere volontarie della Croce Rossa Italiana, che ricordano il primo centenario di fondazione della loro Associazione e le incoraggio a proseguire nell’impegno di cristiana solidarietà verso il prossimo. Saluto l’Associazione regionale dei Cori pugliesi ed esorto ciascuno a fare del canto uno strumento di lode a Dio e un dono di gioia ai fratelli.

Il mio pensiero va infine ai giovani, ai malati ed agli sposi novelli. Cari amici, celebriamo oggi la festa di santa Teresa d’Avila. Questa grande Santa testimonia a voi cari giovani che l’amore autentico non può essere scisso dalla verità; mostra a voi, cari malati, che la croce di Cristo è mistero di amore redentore; per voi, cari sposi novelli, è modello di fedeltà a Dio, il quale affida ad ognuno una speciale missione.

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