LA CONVERSIONE DI SAN PAOLO: TRE TESTI NEL LIBRO DEGLI ATTI, COMMENTO DEL PROF. FRANCESCO BIANCHI
LA CONVERSIONE DI SAN PAOLO: TRE TESTI NEL LIBRO DEGLI ATTI, COMMENTO DEL PROF. FRANCESCO BIANCHI
Rileggendo il commento agli Atti degli Apostoli del Prof. Francesco Bianchi, mi sono sembrati, più di prima, particolarmente interessanti i tre diversi racconti sulla conversione di San Paolo, ossia l’episodio di Damasco; il primo (Atti 9,3-9) è quello classico che conosciamo di più e quello più raffigurato nei dipinti; gli altri due si trovano quasi alla fine del libro, dopo che Paolo, ritornato dai viaggi missionari, si trova a Gerusalemme e li viene arrestato; a Gerusalemme Paolo, condotto dal tribuno romano davanti al sinedrio, racconta la sua conversione e testimonia la sua fede (Atti 22,6-11); il terzo racconto si svolge a Cesarea davanti al re Agrippa, dopo che Paolo, come cittadino romano, si era appellato a Cesare; ciò che mi ha incuriosito ed emozionato è una certa diversità dei tre testi, soprattutto con l’ultimo, così come scrive il professore Bianchi nel suo libro; prima metto i tre racconti e poi l’analisi del docente, la traduzione che metto io è diversa da quella del libro, io utilizzo la traduzione CEI, il professore non lo scrive, ma ritengo abbia utilizzato in buona parte il testo greco;
dal libro: Bianchi F., Atti degli Apostoli, Città Nuova Editrice, Roma 2003;
ATTI, 9, 3-9
3 E avvenne che, mentre era in viaggio e stava per avvicinarsi a Damasco, all`improvviso lo avvolse una luce dal cielo 4 e cadendo a terra udì una voce che gli diceva: « Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? ». 5 Rispose: « Chi sei, o Signore? ». E la voce: « Io sono Gesù, che tu perseguiti! 6 Orsù, alzati ed entra nella città e ti sarà detto ciò che devi fare ». 7 Gli uomini che facevano il cammino con lui si erano fermati ammutoliti, sentendo la voce ma non vedendo nessuno. 8 Saulo si alzò da terra ma, aperti gli occhi, non vedeva nulla. Così, guidandolo per mano, lo condussero a Damasco, 9 dove rimase tre giorni senza vedere e senza prendere né cibo né bevanda.
Atti 22, 6-11
6 Mentre ero in viaggio e mi avvicinavo a Damasco, verso mezzogiorno, all`improvviso una gran luce dal cielo rifulse attorno a me; 7 caddi a terra (suolo) [differenza solo nel testo greco non in quello latino mi sembra] e sentii una voce che mi diceva: Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? 8 Risposi: Chi sei, o Signore? Mi disse: Io sono Gesù il Nazareno, che tu perseguiti. 9 Quelli che erano con me videro la luce, ma non udirono colui che mi parlava. 10 Io dissi allora: Che devo fare, Signore? E il Signore mi disse: Alzati e prosegui verso Damasco; là sarai informato di tutto ciò che è stabilito che tu faccia. 11 E poiché non ci vedevo più, a causa del fulgore di quella luce, guidato per mano dai miei compagni, giunsi a Damasco.
ATTI 26, 12-18
12 In tali circostanze, mentre stavo andando a Damasco con autorizzazione e pieni poteri da parte dei sommi sacerdoti, verso mezzogiorno 13 vidi sulla strada, o re, una luce dal cielo, più splendente del sole, che avvolse me e i miei compagni di viaggio. 14 Tutti cademmo a terra e io udii dal cielo una voce che mi diceva in ebraico: Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? Duro è per te ricalcitrare contro il pungolo. 15 E io dissi: Chi sei, o Signore? E il Signore rispose: Io sono Gesù, che tu perseguiti. 16 Su, alzati e rimettiti in piedi; ti sono apparso infatti per costituirti ministro e testimone di quelle cose che hai visto e di quelle per cui ti apparirò ancora. 17 Per questo ti libererò dal popolo e dai pagani, ai quali ti mando 18 ad aprir loro gli occhi, perché passino dalle tenebre alla luce e dal potere di satana a Dio e ottengano la remissione dei peccati e l`eredità in mezzo a coloro che sono stati santificati per la fede in me.
COMMENTO AD:
Atti 9,3-9
(pagg. 106-108)
3-4. Il racconto della visione, che riflette lo stile delle teofanie bibliche, viene introdotto da un “e avvenne” [si trova prima del testo citato, sempre 3] di chiaro colore biblico e dalla locuzione avverbiale “all’improvviso” che allude ad un evento fuori dal controllo umano (Lc 2, 13; 9, 39). La descrizione si muove su due piani, il primo visivo e l’altro auditivo, che ricordano soprattutto le teofanie presenti nel libro di Ezechiele. La luce proveniente dal cielo caratterizza infatti molti passi di questo profeta (Ez 1,4.26-28; 43,2), come anche la caduta a terra (Ez 2,1). Quest’ultimo dettaglio svela l’influsso di 2Mac 3,26 che descrive la punizione di Eliodoro, il profanatore del tempio. L’eco di questo racconto si farà sentire ancora nelle tenebre che avvolgono Paolo e nella sua successiva conversione.
Rispetto alle teofanie già ricordate, compare però un nuovo elemento, quello della voce. Il dialogo che ne nasce segue uno schema ben noto alla letteratura biblica, come testimoniano il dialogo fra Dio e Giacobbe a Betel (Gn 31, 11-13) e quello fra Dio e Giacobbe prima della discesa in Egitto (Gn 2-3). Questi colloqui sono caratterizzati da una doppia chiamata da parte di Dio (Es 3,4; Lc 8,24; 10,41), dalla reazione assai guardinga del chiamato e dalla autopresentazione di Dio che gli affida invece una missione. All’interno di questo schema, Luca introduce, tuttavia, alcune importanti variazioni: prima che la voce si presenti, il rimprovero espresso dalla domanda “perché mi perseguiti?” riassume la carriera di Paolo come persecutore dei cristiani. Il verbo “perseguitare” (diokein) ricorre anche nei passi autobiografici di Paolo – 1Cor 15,9; Gal 1, 13.23; Fil 3,6 – che ne descrivono appunto lo zelo di persecutore ed indica l’immedesimazione di cristo con i suoi stessi seguaci (Lc 10, 16).
5-6. Questo è il punto centrale della chiamata. La domanda di Paolo, che si serve del termine “Signore” (kyrie), fa salire la tensione e la suspence. Quasi per confondere il lettore, Luca adombra la possibilità che l’evento somigli alle teofanie dell’Antico Testamento e veicoli una rivelazione dello stesso JHWH, come potrebbe confermare la frase “Io sono”; questa espressione introduce invece l’autopresentazione di Gesù che dichiara di essere “colui che era perseguitato”. La congiunzione avversativa “ma” serve allora per presentare il comando, assai frequente nei racconti di vocazione profetico (Ez 2,1), di alzarsi ed eseguire quanto Dio ha ordinato. L’ordine di entrare in città rappresenta la necessaria mediazione della Chiesa.
7-8. Entrano in scena, a questo punto, i compagni di viaggio di Paolo. Questi uomini non costituivano una scorta militare, ma erano membri della carovana alla quale l’apostolo si era aggregato. Come “testimoni muti”, essi ascoltano la voce, senza vedere nessuno: c’è forse qui un’allusione a Di 4,12 “voi avete ascoltato, ma non avete visto niente; si sentiva soltanto la voce”.
La cecità che coglie subito Paolo è considerata dagli esegeti un simbolo del cammino di conversione che l’apostolo deve percorrere; per percorrerlo all’apostolo è necessaria una guida che lo accompagni; i suoi compagni lo conducono dunque a Damasco, come i soldati di Eliodoro avevano portato via il ministro del re dal cospetto Signore.
9. “Per tre giorni” Paolo vive nell’oscurità, senza mangiare e bere. I commentatori vi vedono lo sconvolgimento prodotto dalla visione stessa, ovvero un’allusione alla preparazione liturgica del battesimo. Non mancano, però, buoni paralleli veterotestamentari, come il digiuno di Mosè sull’Oreb per quaranta giorni e quaranta notti (Es 9, 18; Dt 9,9), quelli di Elia (1Re 19,8) e di Daniele (Dn 9,3; 10,2-3); nel giudaesimo intertestamentario il digiuno avrà un’importanza sempre più grande nei riti penitenziali comunitari e nella pietà popolare.
COMMENTO AD:
Atti 22, 6-11
(pagg. 255-256)
6-11. Proseguendo in questa retrospettiva [Paolo si era cominciato a presentare già da Atti 22,1], Paolo narra allora l’episodio sulla via di Damasco, ma rispetto a quanto narrato in At 9,3 Luca aggiunge alcuni nuovi dettagli. Il primo riguarda l’indicazione cronologica che colloca l’episodio a mezzogiorno: esso manca nel racconto di Atti 9,3, ma si ritrova in Atti 26,13; il secondo sposta l’attenzione dalle parole pronunciate dalla voce misteriosa (At 9,7) alla luce sfolgorante che acceca Paolo e lo getta al suolo – l’altro racconto parlava di terra -, dando quasi l’impressione di schiacciarlo. Essa diviene quasi un epifania della gloria divina. Tutto il racconto di At 22,4-5 è narrato, infine, in prima persona singolare con la doppia chiamata da parte di Gesù, la risposta di Paolo e l’autorivelazione di Gesù Nazareno, mentre la reazione dei compagni ne fanno degli attoniti testimoni dell’evento. Paolo chiede dunque che cosa deve fare e in questo fare sta … l’eco di tutte le teofanie bibliche, davanti alle quali l’uomo risponde agendo: la risposta di Gesù racchiude tutto ciò che Paolo farà, trasformandosi da strumento di persecuzione e di morte in mezzo del disegno divino di salvezza.
COMMENTO AD:
Atti 26,12-18
(pagg. 289-290)
12-13. La descrizione di Paolo come persecutore della Chiesa cede quasi improvvisamente il posto al racconto dell’apparizione di Gesù sulla via di Damasco, che viene narrato così per la terza volta: sottolineando la continua riflessione su questo episodio, alcuni esegeti considerano Paolo “il padre della coscienza introspettive dell’occidente”. Rispetto agli altri due racconti (At 9; 22) non manca qualche elemento nuovo. Vi si coglie in primo luogo l’insistenza sullo splendore della luce, ben più forte del sole, che avvolge e fa cadere in terra Paolo insieme ai suoi compagni: la specificazione dell’ora indica che non si tratta perciò di un sogno, ma di un fatto concreto di fronte al quale tutti cadono in terra così come Mosè era caduto a terra di fronte al roveto ardente. Secondo Gargano la luce ricorda l’esperienza di Mosè sull’Oreb davanti al roveto che bruciava senza consumarsi e quella degli apostoli sul monte Tabor che furono avvolti insieme a Gesù da una luce sfolgorante. Di più, prosegue Gargano, non si può dire: la luce è in rapporto con Dio e nella sua indescrivibilità opera un cambiamento decisivo nella vita dell’apostolo.
14-15. Alla luce si accompagna anche la voce che parla a Paolo in aramaico. Oltre alla notissima frase, presente negli altri due racconti , la voce pronuncia una frase senza alcun riscontro nella Bibbia o nei testi apocrifi, ma ben attestata nella letteratura greca: Esichio ed Euripide la usano per ricordare il bue che resiste al contadino e nel nostro contesto indica che è impossibile resistere a Cristo e che non si può combatter contro Dio. In un certo senso, Paolo ripercorre il cammino degli eroi tragici della Grecia nel loro opporsi al fato e quello di Giacobbe e di Giobbe, che lottarono contro Dio. Segue infine la rivelazione: la voce è quella di Gesù, che Paolo ha perseguitato. Tutto è pronto perché Paolo riceva direttamente e senza la mediazione di Anania presente nel racconto precedente il suo incarico di apostolo e testimone.
16. Paolo può allora ricevere da Gesù l’incarico di essere suo ministro (hyperêtes) e testimone (martyres). Hyperétes è il servo che accudisce il padrone in tutte le sue necessità grandi o piccole che siano; il testimone, invece, è anche il martire che testimonia con la vita la fedeltà a Cristo. È facile rintracciare nella fraseologia l’eco dei testi veterotestamentari che narrano l’incarico affidato da Dio a un profeta o allo stesso Mosè: la richiesta di alzarsi in piedi ricorda l’investitura del profeta Ezechiele (Ez 2, 1-2); la menzione dei pagani riecheggia, invece, l’incarico affidato a geremia (Ger 1,5-8), mentre l’espressione “luce delle nazioni” rimanda alla chiamata del servo sofferente (Is 42,7.16). Questa fitta trama, intessuta di allusioni profetiche, indica perciò l’importanza della missione affidata a Paolo e la sua derivazione divina, rispondendo così alle accuse che gli erano mosse da più parti. La frase “le cose che hai veduto e le cose che ti mostrerò” avvalora anche le altre visioni che Paolo avrà nel corso della sua missione, a Corinto (At 18, 9) e a Gerusalemme (At 22,19-21;23,11).
17-18. L’incarico riceve adesso un’ulteriore precisazione: Paolo è liberato per liberare gli altri dalla schiavitù del peccato. Anche in questo caso è facile ritornare alla storia di Mosè che aveva liberato il popolo ebraico dalla schiavitù dell’Egitto. Si può osservare come manchi qualsiasi allusione alla cecità che negli altri racconti aveva colpito Paolo: essa acquista invece un valore esclusivamente metaforico e riservato ai soli pagani. Così facendo, Paolo diviene l’artefice della promessa fatta ad Abramo di essere padre di una moltitudine di genti. Nelle parole pronunciate da Gesù troviamo un richiamo evidente a quanto Paolo scriveva nella lettera ai Colossesi 1,13: anche qui sono presenti la definizione dei cristiani come “santi”, l’opposizione fra la luce e le tenebre, fra Dio e satana e infine la remissione dei peccati che attua attraverso l’azione salvifica di Cristo.
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