Giovanni Paolo II, 1990, omelia durante la visita a Monteruscello-Pozzuoli (Atti 28)
dal sito:
VISITA PASTORALE IN CAMPANIA
CELEBRAZIONE EUCARISTICA IN PIAZZA ANTONIO DE CURTIS
OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II
Monteruscello-Pozzuoli (Napoli) – Lunedì, 12 novembre 1990
1. Ci troviamo sul luogo di un’importante tappa dell’itinerario di san Paolo. Non molto tempo fa ho potuto visitare l’isola di Malta, dove è sempre vivo il ricordo dell’apostolo. Come è noto, dopo il naufragio, Malta divenne per Paolo e i suoi compagni di viaggio l’isola della salvezza. Gli “Atti degli apostoli” descrivono la continuazione di questo viaggio lungo il litorale dell’Italia. Sono nominate le città di Siracusa, Reggio e Pozzuoli, la vostra città. Cari fratelli e sorelle, certamente con grande commozione voi rileggete questo testo degli “Atti degli apostoli”. Esso rappresenta una particolare testimonianza storica sulla vostra città, sui vostri antenati e, in modo speciale, sulle origini della vostra Chiesa. Leggiamo: “. . . arrivammo a Pozzuoli. Qui trovammo alcuni fratelli, i quali ci invitarono a restare con loro una settimana” (At 28, 13-14). Da queste parole risulta che già prima dell’arrivo di san Paolo c’era qui una comunità cristiana, la “Chiesa locale” di Pozzuoli. San Paolo, grazie alla sua sosta di sette giorni, impresse il sigillo apostolico su questa vostra Chiesa pozzuolese.
2. Oggi ringraziamo la santissima Trinità per questi inizi apostolici della vostra comunità cristiana. Desideriamo anche guardare – sia pur brevemente – al suo passato quasi bimillenario. Nella vostra Chiesa vi sono stati singolari esempi di convinta adesione al messaggio annunziato da Paolo e di zelante ministero per la diffusione e la purezza della fede. Ricordiamo, anzitutto, i martiri dei primi secoli, che voi venerate come primizie del cristianesimo nella regione campana: il vescovo di Benevento, san Gennaro, che fu decapitato sulla pietra che, irrorata dal suo sangue, tuttora è conservata quale vivo segno del suo martirio; i diaconi Sosio, Festo e Procolo; il lettore Desiderio; i laici cristiani Eutiche e Acuzio; tutti modelli di fedeltà a Cristo e al Vangelo, che hanno predicato con la parola e con il sangue. Appartiene, altresì, alla storia della fede di Pozzuoli la predicazione del vescovo Giuliano, al quale il Papa san Leone Magno affidò la lettera per il patriarca di Costantinopoli Flaviano. Tale documento, com’è noto, contribuì alla conoscenza più approfondita del Cristo, vero Dio e vero Uomo. Tale formulazione di fede, ricevuta nella Chiesa come autentica e normativa, sarà tramandata nei secoli come espressione indubitabile della verità su Cristo.
3. Nobili tradizioni stanno, dunque, alle vostre spalle. Voi siete eredi di un patrimonio prezioso di dottrina e di vita, che è venuto arricchendosi nel corso dei secoli grazie all’apporto delle generazioni cristiane, che qui hanno testimoniato la loro adesione a Cristo. Oggi, dopo il Concilio Vaticano II, noi professiamo le stesse certezze su Cristo, vivendo una simile esperienza di Chiesa. Professiamo la nostra adesione alla verità su Cristo insieme con l’adesione a tutte le altre verità rivelate; in particolare con la verità su Dio Uno e Trino, Padre, Figlio e Spirito Santo. La Chiesa, infatti, come insegna il Concilio, “si presenta come un popolo adunato nell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo” (Gaudium et spes, 4). Questa è l’unità che vive la Chiesa nella sua dimensione universale. Questa è pure l’unità di ogni Chiesa particolare, nella quale il mistero universale della Chiesa e della sua struttura trova una propria incarnazione.
4. È quindi, nello Spirito di questa universale comunione di fede e di carità che sono venuto tra voi per incontrarvi e conoscervi. Saluto con gioia il vostro vescovo, mons. Salvatore Sorrentino, con tutto il presbiterio, i religiosi e le religiose, i laici impegnati nei diversi ministeri, specialmente quelli che collaborano nella catechesi e nelle attività caritative. Saluto anche le autorità cittadine e tutti coloro che hanno voluto partecipare a questa celebrazione. Nel testo degli “Atti degli apostoli” abbiamo letto: “I fedeli di là – cioè i fedeli di Roma – ci vennero incontro . . . Paolo, al vederli, rese grazie a Dio e prese coraggio” (At 28, 15). Ecco, sono venuto per confortarvi e darvi coraggio. Merita, infatti, attenzione ed encomio il vostro impegno ecclesiale e il vostro sforzo per la diffusione del Vangelo. Sono qui per esortarvi a perseverare nel cammino intrapreso. Il vostro vescovo mi ha presentato alcune difficoltà che la diocesi oggi sta affrontando: il recente terremoto e il caratteristico bradisismo della zona flegrea hanno diviso la comunità, disperdendo parte delle famiglie e delle parrocchie; importanti luoghi di culto sono stati resi inagibili, a cominciare dalla cattedrale sorta sull’antica acropoli. Più acuta è poi la preoccupazione pastorale, connessa con l’espansione edilizia e con gli insediamenti a carattere precario di nuove famiglie sul territorio diocesano. Ciò comporta, com’è ovvio, un insieme di problemi: dal primo approccio pastorale con i nuovi arrivati, all’edificazione di adeguati luoghi di culto. Come costruire o come ricomporre la comunità cristiana senza una elementare struttura per raccogliersi e per celebrare l’Eucaristia domenicale? Forse in molti di voi, sacerdoti e laici, comincia ad affacciarsi lo scoraggiamento o la tentazione di resa di fronte a queste difficoltà. Sono venuto tra voi per condividere anche questa vostra ansia e per recarvi una speciale parola di incoraggiamento e di speranza.
5. “Paolo rese grazie a Dio e prese coraggio”. Carissimi fratelli e sorelle, non temete, non lasciate cadere le braccia, non diffidate della grazia della parola divina che predicate. Al Signore non mancano modi per soccorrervi. Rendete anche voi grazie nella fatica quotidiana, sicuri che le promesse di Cristo si avvereranno e che le meraviglie della sua grazia sono riservate anche a voi, perché “la fedeltà del Signore dura in eterno” (Sal 117, 2). Desidero esortare soprattutto i presbiteri ad accogliere i propri impegni con animo generoso. La missione a voi affidata, cari fratelli, non sarà mai impoverita dalle difficoltà, se nel nome di Cristo andrete incontro alla gente con fiducia; se, come pastori premurosi, ravviverete la fede, nutrirete i fedeli con la parola e i sacramenti, e li conforterete con l’affetto di padri delle anime.
6. L’odierno brano del Vangelo ci presenta il colloquio di Cristo risorto con Simon Pietro, chiamato ad essere il fondamento della Chiesa e il continuatore dell’opera di Gesù, buon pastore. Nel momento del colloquio con Simon Pietro, Cristo ha già confermato pienamente di essere il pastore che “offre la vita per le pecore” (cf. Gv 10, 11). Dopo la risurrezione, ormai vicino alla partenza da questo mondo e al ritorno al Padre, egli porta sul suo corpo i segni del sacrificio in croce. Ma anche Pietro porta in sé – nel profondo dell’animo – il ricordo della delusione data al suo Maestro nella notte del tradimento. Egli ha deluso anche se stesso, e dolorosamente. Ora che Cristo gli chiede: “Mi vuoi bene?”, Pietro non si richiama, in primo luogo, a se stesso, ma al suo Maestro: “Signore tu sai tutto”; e soltanto dopo conferma: “Tu sai che ti voglio bene”. Dopo una tale risposta, ripetuta tre volte, Cristo conferma la missione pastorale di Pietro nella sua Chiesa. Gli dice: “Pasci le mie pecorelle” (Gv 21, 15-17).
7. Anche a voi, oggi, Gesù rivolge con insistenza la domanda: “Mi ami tu? . . . Mi ami più di costoro?”. Egli lo fa proprio perché conosce la situazione “delicata e difficile” – come ha detto il vostro vescovo – in cui vi trovate. Egli, il Signore, vi chiede di risolvere i vostri problemi tenendo anzitutto gli occhi della fede fissi su di lui, “pastore e guardiano delle vostre anime” (1 Pt 2, 25). Rispondete, dunque, anche voi come Pietro: “Signore, tu sai tutto, tu sai che ti amo”. Dite al Signore: Tu solo conosci le nostre fatiche e le nostre difficoltà; ma tu sai che nessuna di esse potrà mai separarci dal tuo amore (cf. Rm 8, 35), né potrà mai spegnere in noi il desiderio di servirti. E il Signore, di rimando, vi ripeterà: “Seguimi!”, nonostante le difficoltà. Seguimi nella predicazione del Vangelo. Seguimi nella testimonianza di una vita corrispondente al dono di grazia del Battesimo. Seguimi nel parlare di me a coloro con i quali vivi, giorno dopo giorno, nella fatica del lavoro, del dialogo e dell’amicizia. Seguimi nella catechesi ai piccoli, poiché a nessuno di essi deve mancare la parola che apra i loro occhi alla conoscenza del volto amabile del Figlio di Dio, fatto uomo.
8. Grande è la potenza di questo dialogo. Quando Paolo soggiornò nella vostra città, accingendosi a partire verso Roma, Pietro vi era già arrivato. Da quel momento i due apostoli si sarebbero trovati insieme. La Chiesa, che è a Roma, è stata edificata su questo duplice fondamento apostolico: Pietro e Paolo. Ciascuno di essi aveva camminato per una via diversa, ma sempre e solo seguendo Cristo. La Chiesa, da allora, come “popolo adunato nell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito”, ha sempre ricevuto questa missione dagli apostoli: sia la Chiesa apostolica e universale, sia ogni Chiesa “locale”. Così è stato ed è anche per la vostra Chiesa a Pozzuoli, per la città attraverso la quale è passato san Paolo: per la vostra Chiesa, nella quale, così come in ogni altra, non cessano di risuonare le parole di Pietro: “Signore, tu sai tutto; tu sai che ti voglio bene”. Appunto in questo amore sta la potenza universale. Nella potenza di questo amore lodano il Signore tutti i popoli, gli danno gloria tutte le nazioni. L’amore è la potenza universale che non muore, perché trascende l’uomo. Sono morti, martiri, gli apostoli Pietro e Paolo. Ma l’amore, il loro amore, non morirà mai, perché è da Dio. In esso si manifesta “la fedeltà del Signore”, quella fedeltà che “dura in eterno” (cf. Sal 117, 1-2). Amen!
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