un bellissimo commento a Rm 8, 18-27, di Père Jean Lévêque;
di Jean Lèvêque
(di San Giovanni della Croce ho utilizzato il testo in traduzione italiana che ho, tuttavia non completamente perché è una traduzione dallo spagnolo e il professore ha probabilmente, perché potrebbe aver utilizzato l’originale, letto da testo francese)
(Études, commentaires et homélies, proposés par Jean Lévêque, carme, de la Province de Paris) dal sito:
http://perso.jean-leveque.mageos.com/
Il triplo gemito
Commento spirituale di Rm 8, 18-27
« Rm 8, 18,27
18 Io ritengo, infatti, che le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi. 19 La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio; 20 essa infatti è stata sottomessa alla caducità – non per suo volere, ma per volere di colui che l`ha sottomessa – e nutre la speranza 21 di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. 22 Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto; 23 essa non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l`adozione a figli, la redenzione del nostro corpo. 24 Poiché nella speranza noi siamo stati salvati. Ora, ciò che si spera, se visto, non è più speranza; infatti, ciò che uno già vede, come potrebbe ancora sperarlo? 25 Ma se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza. 26 Allo stesso modo anche lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare, ma lo Spirito stesso intercede con insistenza per noi, con gemiti inesprimibili; 27 e colui che scruta i cuori sa quali sono i desideri dello Spirito, poiché egli intercede per i credenti secondo i disegni di Dio. »
commento spirituale del professore:
Se arrivassimo a fare silenzio, se riuscissimo per un istante ad allontanare il rumore delle nostre passioni o dei nostri desideri insoddisfatti, potremmo percepire, come San Paolo, nel cuore del mondo, nel cuore della storia, un triplo gemito.
Il primo non ha voce e non ne avrà mai: è il gemito della creazione, distorta dall’inizio a causa del peccato dell’uomo, schiava dei capricci dell’uomo, devastata, inquinata e resa sterile dall’ egoismo degli uomini. C’ è questa miseria originale della creazione deviata dall’ uomo dal suo scopo, che il vecchio poeta della Genesi interpretava come una maledizione di Dio: » Maledetto sia il suolo per causa tua! …spine e cardi produrrà per te. » (Gn 3,17a. 18a). Ma questo gemito della creazione non è disperato. La creazione geme tutta intera, ma non si rassegna; poiché ha qualcosa da attendere, e conserva la speranza. Al giorno della gloria dove nell’ uomo trasparirà interamente il figlio di Dio, il mondo avrà la sua parte di gloria e di libertà: vibrerà all’ unisono della gloria dell’uomo, in un modo che rimane per noi misterioso.
La creazione geme, non di disperazione, ma d’impazienza, poiché sa, sente, che la sua schiavitù cesserà e che i suoi dolori partoriscono un mondo diverso, realmente fatto per l’ uomo nell’amicizia di Dio.
Ma la creazione, che il genio poetico di Paolo personifica come una madre dolorosa, non è sola a gemere. Gemiamo anche, noi, gli uomini, noi, i credenti, perché dobbiamo attendere l’ accoglienza definitiva, da soli, la salvezza offerta in Gesù Cristo, quindi il momento dell’universo. Siamo adottati, ma ci occorre attendere la consegna del nostro corpo; noi possediamo le primizie dello Spirito, ma è solo un acconto sulla vita eterna.
Gemiamo, perché Dio ci dona di scorgere da lontano, sempre da lontano, e come impercettibili, delle meraviglie protette da uno schermo di gloria, e ciò che afferriamo, per grazia, della sua presenza ravviva la nostra impazienza dell’incontro definitivo: « Dove ti nascondesti, in gemiti, o Diletto? scriveva San Giovanni della Croce, che commenta immediatamente: » È l’ assenza del Bene-amato che causa un gemito continuo presso quello che ama, perché, non gradendo nulla che Lui, non trova affatto riposo e sollievo. A ciò si riconosce chi ama veramente Dio: non si accontenta di qualcosa che sia meno di Dio (…) All’interno dei nostri cuori dove abbiamo il pegno, noi sentiamo quello che ci da pena, ed è l’ assenza. C’ è, sì, il gemito che abbiamo sempre considerando l’ assenza dell’Amico, soprattutto quando, avendo gustato qualche dolce e « gustosa » comunicazione di Lui, noi rimaniamo aridi e soli, dicendo: » Simile al cervo fuggisti, dopo avermi ferito; »
Gemiamo a causa anche della nostra speranza, poiché « mette la memoria a vuoto ed in oscurità delle cose di questa vita e di quelle degli altri » (Montée 11.6); « svuota e separa la memoria di qualsiasi possesso, perché, dice San Paolo, la speranza è speranza di ciò di che non si possiede. Così evita alla memoria ciò che può possedersi, e la mette in quello che spera. E questo perché solo la speranza di Dio dispone la memoria per ad unirsi a Dio » (Notte oscura 17,22).
Abbiamo una voce per esprimerci, e tuttavia, allora che si tratta delle cose di Dio, di Dio nell’uomo, gemiamo « interiormente »; poiché queste cose non si richiedono né si ottengono a colpi di furia e d’ impazienza. Occorre « attenderle con perseveranza ».
Così il nostro gemito è allo stesso tempo il segno della nostra speranza e della nostra impotenza: « non sappiamo neppure come sia conveniente domandare. » (Rm 8.. .)
Ma l’ Spirito di Dio « viene in aiuto alla nostra debolezza. » Questa debolezza, che segna inevitabilmente la nostra testimonianza e tutte le nostre imprese missionari, è legata, in profondità, alla nostra condizione di pellegrini ed alle: « sofferenze del tempo presente. » Essa è sempre finitudine e spesso colpevolezza, in ogni caso limite al sapere e ferita della volontà dell’uomo. È questa debolezza che ci rende incapace di sapere « che cosa sia conveniente domandare » cioè a chiedere « secondo Dio » ciò che non è salito (neppure capito) al cuore dell’uomo e che tuttavia Dio prepara per lui.
C’è, sì, anche questa debolezza che ci fa gemere, e, paradossalmente, lo Spirito Santo ci viene in aiuto e geme lui stesso. C’è un terzo gemito, quello che misteriosamente porta e prolunga gli altri due. Nello stesso modo, in effetti, il gemito umano non soffoca il gemito cosmico, come il gemito dello Spirito non interrompe il gemito dell’uomo, ma l’ accompagna per completarlo e condurre a termine.
La nostra impotenza rimane, ma lo Spirito l’abita e l’ orienta verso la gloria, « secondo Dio ». Le parole continuano a mancare, ma lo Spirito stesso intercede con gemiti senza parole, oltre a qualsiasi parola.
Queste intercessioni dello Spirito restano come un gemito, che attraversa quello del mondo ed entra in risonanza con il nostro, ma grazie a lui il nostro gemito di debolezza diventa realmente filiale e passa in Dio. Tutte le nostre domande impotenti e gementi, la nostra preoccupazione multipla e la nostra ricerca ansiosa del Regno confluiscono allora in una semplice aspirazione alla gloria, « secondo Dio ». E Dio che scruta i cuori legge nel nostro un desiderio che lo Spirito ha fatto suo. Ciò che s’opera così nella profondità delle sofferenze del tempo presente e con il gemito dello Spirito è un parto misterioso alla gloria.
Lo Spirito non è parola. È il soffio di Dio, è sospiro verso Dio; è, poiché, è, allo stesso tempo, Dono del Figlio e Dono del Padre, vuole trasformare tutta la nostra vita in una sola aspirazione filiale verso Dio.
Se il gemito dello Spirito è intraducibile nella nostra lingua di uomini, è senza dubbio perché egli riprende la preghiera del « Primogenito ». Quando Dio esplora il nostro cuore, è questa preghiera che desidera trovare, sotto forma di gemito, di grido o di mormorio, perché questa preghiera soffiata dallo Spirito Santo viene sempre prima del disegno di Dio. Non siamo mai più conformi all’immagine del Figlio che quando lasciamo lo Spirito riprendere in noi la sua preghiera; non inevitabilmente al livello emozionale, ma al livello della fede viva, al livello della consacrazione di tutto il nostro essere, a livello quotidiano della fedeltà e dell’amore. Ovunque dove lo Spirito geme, Dio intende il grido di un figlio o di una figlia. Ovunque dove lo Spirito intercede, l’immagine del Figlio si stampa in un cuore.
Nel frastuono delle città o nel silenzio dei luoghi di preghiera, basta che coincida un momento con il progetto di Dio, con il nostro essere filiale, per intendere nuovamente il gemito dello Spirito. Gemito paradossale, che ci rende felici ed fiduciosi e che sveglia in noi la certezza di essere amati, scelti, consacrati, inviati, con una folla di fratelli. Gemito di speranza, che viene ad essere in noi il seguito più profondo della preghiere: « Abba Padre! »
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