LA PREGHIERA PASTORALE IN SAN PAOLO, Père Jean Lévêque (traduzione) – n. 1
LA PREGHIERA PASTORALE IN SAN PAOLO
di Père Jean Lévêque
il testo è abbastanza lungo: sono circa 14 pagine « A4″, la traduzione è mia, penso che farò 4 post, pubblico mano a mano poi rivedo tutto, non elaboro troppo il testo, lo lascio il più possibile così come l’ha scritto il professore; per le citazioni dalla Bibbia utilizzo la versione CEI; per rileggere il testo francese della Bibbia utilizzo la: « Bible de Jerusalem » originale; per qualche confronto (quei pochi che sono in grado di fare) con il testo greco utilizzo: Nestle-Aland, Novum Testamentum Graece et Latine, che, comunque, devo traslitterare;
http://perso.jean-leveque.mageos.com/pri.paul.htm
Riguardo i testi del Nuovo Testamento sulla preghiera, le lettere di Paolo meritano una attenzione tutta speciale, perché Paolo, il convertito, è il primo Pastore, nella Chiesa di Gesù, del quale noi abbiamo conservato le confidenze e gli insegnamenti.
È vero che le preghiere si trovano disseminate in tutte le Epistole, e questa dispersione rende malagevole il lavoro di sintesi. Inoltre tutte le lettere sono scritti di circostanza, che non riflettono che una parte delle preoccupazioni e delle speranze d’un uomo, e non si può pretendere di trovare nella corrispondenza di Paolo tutti gli aspetti e tutte le particolarità del suo insegnamento pastorale sulla preghiera. Ma per fortuna Paolo, molto spontaneo di carattere, ci offre volentieri i suoi ricordi e le sua esperienza, e i passaggi dove prega o parla della preghiera sono sufficientemente numerosi e molteplici per permette dei raggruppamenti assai convincenti.
Uno dei fatti il più impressionanti che appaiono all’evidenza di chi percorre le epistole di Paolo è che è impossibile separare, presso di lui (nei suoi scritti), la preghiera dalla vita in Gesù Cristo e l’attività missionaria (ossia la preghiera dalla vita che in Paolo è missionaria). Questa osmosi intensa della vita e della preghiera è l’oggetto della prima parte.
I. L’OSMOSI DELLA VITA E DELLA PREGHIERA
Presso San Paolo la preghiera e la missione non fanno che tutt’uno, e prima di rivelare le grandi scostanti della sua vita di preghiera, è, forse, interessante domandarci quali sono le ragioni di questa armonia tra la vita profonda e la testimonianza dell’Apostolo. Senza voler tracciare un ritratto spirituale completo di Paolo, noi conserviamo quattro tratti, quelli che più caratterizzano la sua fisionomia di pastore.
1. Paolo si è donato irrevocabilmente
Dio, per lui, è sempre un « Qualcuno », il grande presente e il grande vivente, e Paolo non gli ha mai riposto a metà. L’avvenimento sul cammino di Damasco ha molto meno inaugurato una conversione di Paolo che orientato di nuovo (e definitivamente) tutte le sue forze vive verso la testimonianza da rendere a Gesù risuscitato.
Ma questo incontro con Cristo ha creato in lui una novità radicale, e oramai Paolo non vive più per se stesso. Egli non cerca più né felicità, né successo, né potere, né la realizzazione di se stesso fuori di Cristo: « Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me. » (Gal 2,20b) « Ma quando colui che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia si compiacque di rivelare in me suo Figlio perché lo annunciassi in mezzo ai pagani… » (Gal 1,15-16a); e dal qual giorno Paolo non ha più altro progetto che co-rispondere con il progetto di Dio, il « mistero » per lungo tempo velato e, ora, svelato. Paolo è stato preso da Gesù Cristo e ora, dice: « mi sforzo di correre per conquistarlo » (Fil 3,12). Per lui vivere è Cristo (cfr Fil 1,21); egli vive, certo, ma nella stessa misura con la quale che Cristo vive in lui (cfr. 2,20b): « Se noi viviamo – scrive – viviamo per il Signore (cfr. Rm 14,8).
Sicuro della chiamata di Dio, cosciente di essere, ogni giorno, inviato, Paolo si affretta « perché il tempo si è fatto breve » (1Cor 7,29); il tempo ha « ripiegato le vele » (non conosco il termine esatto) come una nave, un veliero, quando il porto è in vista, e, con tutta l’umanità tutte le « nazioni » che Paolo vorrebbe sbarcare nel porto di Dio: « Non è infatti per me un vanto predicare il vangelo; è un dovere per me: guai a me se non predicassi il vangelo! » (1Cor 9,16)
Non c’è dunque più spazio, nella vita di Paolo,, per una vita parallela a quella dell’evangelizzare (dell’ essere pastore), per dei momenti neutri, staccati dalla missione. Sempre, ovunque, e in tutti i momenti, fino alla impotenza della prigione, Paolo è un ambasciatore per il Cristo (2Cor 5,20; Ef 6,20).
2. Ma se Paolo può identificarsi così con la sua missione, è che lui stesso, una volte per tutte, ha identificato la sua missione a quella di Cristo Servitore di Dio
fermiamoci un momento su questo secondo aspetto.
Come Gesù nella sua prima omelia nella Sinagoga di Nazareth (Lc 4,17-21) Paolo ha visto la sua missione prefigurata in quella del Servo di JHWH chiamato da Dio « al tempo favorevole per essere alleanza delle nazioni » e portare la salvezza alle estremità della terra (cfr. Is 49,6.8; 2Cor 6,1-2; At 13,47; Lc 2.32). Abitato (dentro di se) da questo disegno universale, Paolo ha davanti ai suoi occhi le sofferenze paradossali attraverso le quali il Servo Gesù a compiuto l’opera di salvezza. A questo ricordo, l’amore di Cristo lo spinge (2Cor 5,14), nello stesso tempo l’amore che Cristo a mostrato e l’amore che Paolo vuole donare a Cristo. Questo amore lo « tiene alle strette », lo stringe senza lasciargli riposo, un pensiero si sofferma nello spirito dell’Apostolo: il Cristo è morto per tutti, dunque il vivente, tutti i viventi, non devono più vivere per se stessi, ma per Lui, che è morto e risuscitato per loro. E lui stesso, Paolo, attraverso la sua azione missionaria e pastorale, vuole penetrare a fondo in questo mistero di Gesù Servo, conoscerlo, Lui, con la potenza della sua risurrezione e la comunione alle sue sofferenze (Fil 3,9-11). Dato che la vita opera nei cristiani, egli accetta che la morte operi in lui stesso (2Cor 4,12). Oramai, crocifisso con Cristo (Gal 2,20), quello che manca alle afflizioni di Cristo, egli le completa nella sua carne, nella sua vita d’uomo limitato e fragile, in favore del suo corpo che è la Chiesa (Col 1,24).
Ugualmente, l’eventualità della morte, è inserita in questa prospettiva missionaria. Paolo non teme la morte, perché egli sa che deve divenire conforme a Cristo anche nella morte alfine di arrivare alla resurrezione (Fil 3,10, il passo di filippesi è così: E questo perché io possa conoscer lui, la potenza della sua risurrezione, la partecipazione alle sue sofferenze, diventandogli conforme nella morte; in questo senso la morte è un guadagno « andarsene (essere sciolto da corpo in Fil) (Fil 1,21.23). L’importante ai suoi occhi è che il Cristo sia esaltato nel suo corpo d’apostolo, sia nella vita, sia nella morte (Fil 1,20); il fine è che l’esistenza dei convertiti divenga un sacrificio che Dio gradirà. Allora Paolo non avrà corso invano, né sofferto invano: « Se anche il mio sangue deve essere versato in libagione sul sacrificio e sull’offerta della vostra fede, sono contento, e ne godo con tutti voi » (Fil 2,17)
3. Questo ministero della nuova alleanza, questa diaconia della riconciliazione, che è il suo orgoglio, questo tesoro del Vangelo a lui affidato da Cristo, Paolo sa che egli lo porta in un vaso di creta; e questa umiltà di fronte alla missione e di fronte a Dio che lo invia è una costante della spiritualità pastorale di Paolo.
Paolo si considera come il più piccolo degli apostoli, nato alla fede cristiana come un aborto (« un peu en catastrophe » scrive il professore, a me viene da tradurre: nato come un aborto, un po’ come una disgrazia, ma non sono sicura), anche se egli lavora più di tutti (1Cor 15,10), anche se egli è stato, con Barnaba e tutto il gruppo di Antiochia, l’iniziatore de la missione presso i gentili, anche se ha udito nella sua preghiera delle parole indicibile che non è lecito ad alcuno pronunziare (2Cor 12,4), egli è cosciente in modo doloroso delle sue debolezze, e mantiene nella sua vita personale una disciplina d’atleta, « anzi tratto duramente il mio corpo e lo trascino in schiavitù perché non succeda che dopo aver predicato agli altri, venga io stesso squalificato. » (1Cor 9,27)
Paolo non vuole altro titolo di gloria che la Croce di Gesù Cristo (Gal 6,14). Tutto quello che resta, tutte le ragioni che avrebbe per appoggiare la sua fiducia in se stesso, tutto questo non è che spazzatura (Fil 3,8). Tuttavia questa diffidenza di Paolo per una vanagloria e una fama troppo facili non è dettata né da disfattismo, né a causa di un disprezzo sistematico della sua opera di testimone, la sua umiltà resta gioiosa: è il suo modo di riconciliarsi con i suoi limiti e con le sue insicurezze; Paolo mette il suo orgoglio nella debolezza (2Cor 12,8), perché dimori in lui la potenza di cristo (v. 9).
4. Un ultima riflessione che è bene rimarcare, per meglio rendere conto della preghiera missionaria di Paolo, è la sua fiducia inalterabile nella potenza di Dio, di Cristo, o dello Spirito.
È stato Dio a riconciliare a sé il mondo in Cristo (2Cor 5,19), e ora, ancora, egli è all’opera; Dio non è soltanto spettatore, ma attore nella storia degli uomini; Dio ha un progetto, e Dio riuscirà. Tali sono le certezze che su cui poggia l’ottimismo missionario di Paolo. Se Dio è per noi chi sarà contro di noi? Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa?…Ma in tute queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita…né presente, né avvenire…(niente) potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore. (Rm 8,31ss; 37ss)
Ugualmente è la certezza della vittoria di Gesù che è la fonte della grandezza dell’anima di Paolo. Certo, egli ha le sue idee, egli ama i suoi metodi, egli ha orrore che si costruisca in argilla (torchis, materiale da costruzione fatto di argilla, paglia, fibre vegetali, un materiale debole, credo) (vedere 1Cor 3, 12-13) la dove egli ha posto delle solide fondamenta, ma egli rifiuterà sempre che lo si opponga a gli altri missionari come un eroe o un maestro di scuola. Anche le piccolezze e i tradimenti non arrivano a turbarlo a lungo « quelli invece predicano Cristo con spirito di rivalità, con intenzioni non pure, pensando di aggiunger dolore alle mie catene. Ma questo che importa? Purché in ogni maniera, per ipocrisia o per sincerità, Cristo venga annunziato, io me ne rallegro e continuerò a rallegrarmene (Fil 1,17ss).
Alla fine, Paolo ne è convinto, solo la potenza dello Spirito può muovere le nazioni all’obbedienza della fede, solo essa (potenza/Spirito Santo) può fare abbondare la speranza (Rm 15, 13.16) ed è lo stesso Spirito che ha già santificato l’offerta dei popoli.
Ma se lo Spirito di Gesù collabora così attivamente al lavoro missionario, è ancora più vero dire testimone di Gesù nella testimonianza dello Spirito; e è per questo, agli occhi di Paolo, il servizio del Vangelo costituisce già una prestazione sacra, una « liturgia » della Parola (Rm 15,16).
Così è la presenza vivente dello Spirito di Gesù che unifica nella vita di Paolo la testimonianza e la preghiera. Ora noi vedremo, in questa parte come vive e reagisce Paolo, testimone di Gesù, ora a noi non resta che ascoltarlo pregare (comprenderlo nella preghiera)
II. LE DOSSOLOGIE
La preghiera di Paolo si spiega innanzitutto su l’asse dossologico, quella della lode pura.
Questo traspare già dal modo sorprendente, nella maniera in cui Paolo parla di Dio. Se si raggruppano i diversi qualificativi che l’Apostolo unisce al nome di Dio si ottiene, non una fredda litania, ma una vera meditazione sul Padre e sul suo atteggiamento verso l’uomo.. Il Dio di Paolo est, quindi, secondo i testi:
il Creatore (Rm 1,26),
il Dio beato (1Tm 1,11),
il Dio vivente e vero (1Tess 1,9),
il Padre della gloria (Ef 1,17),
il Dio fedele (1Cor 10,13) che non fa preferenze di persone,
il Dio della pace (Rm 15,33; 16,20; cfr 1Tess 5,25), (Gal 2,6),
il Dio dell’amore e della pace (2Cor 13,11),
il Dio della speranza (Rm 15,3), il Dio della perseveranza e della consolazione (Rm 15,5),
e, nelle Lettere Pastorali, Dio nostro salvatore (1Tm 1,1; 2,3; 4,1; Tt 1,3; 2,10; 3,4).
Tuttavia è necessaria a Paolo tutta una frase per fissare una fisionomia nuova dell’essere e dell’agire di Dio, e ognuna di queste frasi est il condensato di una preghiera. Dio è:
Colui che dona la vita a tutte le cose (1Tm 6,13),
Colui che somministra il seme al seminatore e il pane per il nutrimento (2Cor 9,10),
il Re dei secoli, il Dio immortale, invisibile ed unico (1Tm 1,17, sulla Bibbia CEI invece di immortale c’è incorruttibile, sulla Bibbia di Gerusalemme, originale francese ugualmente: « incorruptible », ma in greco trovo « aionon » che dovrebbe significare eterno),
il Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione, il quale ci consola in ogni nostra tribolazione (2Cor 1,3),
Dio nostro Padre che ci ha amati e ci ha dato, per sua grazia, una consolazione eterna e una buona speranza (2 Tess 2,16),
Dio che da vita ai morti e che chiama all’esistenza le cose che ancora non esistono (Rm 4,17)
Le Lettere di Paolo sono così disseminate di brevi dossologie che l’Apostolo ama concluderle con l’Amen ebraico tradizionale, soprattutto quando « benedetto » e « gloria » si presentano in fine di frase:
Rm 1,25 …(i pagani)…hanno venerato e adorato la creatura al posto del creatore, che è benedetto nei secoli. Amen!
Gal 1,5 …secondo la volontà di Dio e Padre nostro, al quale sia gloria nei secoli dei secoli. Amen. Un Amen simile accompagna qualche volta dei brevi auguri che Paolo indirizza ai « suoi » cristiani: « Il Dio della pace sia con tutti voi. Amen » (Rm 15,33)
Paolo ama ugualmente concludere uno sviluppo dottrinale importante con una dossologia solenne:
Così, nella Lettera si Romani, i capitoli appassionati che Paolo consacra al rigetto di Israele e alla sua conversione finale (Rm 9-11) finiscono con una sorta di inno alla sapienza divina, ispirata in parte ad Isaia 40, 10-13 e Giobbe 41, 3:
« 33. O profondità della ricchezza, della sapienza e della scienza di Dio! Quanto sono imperscrutabili i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie! 34. Infatti chi ha mai potuto conoscere il pensiero del Signore? O chi mai è stato suo consigliere? 35. O chi gli ha dato qualcosa per primo? si che abbia a riceverne il contraccambio? (cfr. Is 40, 13,28) Perché da lui, grazie a lui e per lui sono tutte le cose. A lui la gloria nei secoli. Amen.
A questa lunga dossologia fa pendant quella che chiude l’Epistola in 16,25-27. Essa è indirizzata a Dio « solo saggio » che porta il suo « mistero (il suo piano d’amore) alla conoscenza di tutte le nazioni.
fine primo post;

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