Archive pour mai, 2008

Papa Benedetto: San Giacomo minore – per: « La Chiesa di Gerusalemme »

dal sito:

http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/audiences/2006/documents/hf_ben-xvi_aud_20060628_it.html

BENEDETTO XVI UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 28 giugno 2006

Giacomo, il Minore

Cari fratelli e sorelle,

accanto alla figura di Giacomo il Maggiore, figlio di Zebedeo, del quale abbiamo parlato mercoledì scorso, nei Vangeli compare un altro Giacomo, che viene detto il Minore. Anchegli fa parte delle liste dei dodici Apostoli scelti personalmente da Gesù, e viene sempre specificato come figlio di Alfeo (cfr Mt 10,3; Mc 3,18; Lc 5; At 1,13). E stato spesso identificato con un altro Giacomo, detto il Piccolo (cfr Mc 15,40), figlio di una Maria (cfr ibid.) che potrebbe essere la Maria di Cleofa presente, secondo il Quarto Vangelo, ai piedi della Croce insieme alla Madre di Gesù (cfr Gv 19,25). Anche lui era originario di Nazaret e probabile parente di Gesù (cfr Mt 13,55; Mc 6,3), del quale alla maniera semitica viene detto fratello (cfr Mc 6,3; Gal 1,19). Di quest’ultimo Giacomo, il libro degli Atti sottolinea il ruolo preminente svolto nella Chiesa di Gerusalemme. Nel Concilio apostolico là celebrato dopo la morte di Giacomo il Maggiore, affermò insieme con gli altri che i pagani potevano essere accolti nella Chiesa senza doversi prima sottoporre alla circoncisione (cfr At 15,13). San Paolo, che gli attribuisce una specifica apparizione del Risorto (cfr 1 Cor 15,7), nelloccasione della sua andata a Gerusalemme lo nomina addirittura prima di Cefa-Pietro, qualificandolo colonna di quella Chiesa al pari di lui (cfr Gal 2,9). In seguito, i giudeo-cristiani lo considerarono loro principale punto di riferimento. A lui viene pure attribuita la Lettera che porta il nome di Giacomo ed è compresa nel canone neotestamentario. Egli non vi si presenta come fratello del Signore, ma come servo di Dio e del Signore Gesù Cristo (Gc 1,1).

Tra gli studiosi si dibatte la questione dellidentificazione di questi due personaggi dallo stesso nome, Giacomo figlio di Alfeo e Giacomo fratello del Signore. Le tradizioni evangeliche non ci hanno conservato alcun racconto né sulluno né sullaltro in riferimento al periodo della vita terrena di Gesù. Gli Atti degli Apostoli, invece, ci mostrano che un Giacomo ha svolto un ruolo molto importante, come abbiamo già accennato, dopo la risurrezione di Gesù, allinterno della Chiesa primitiva (cfr At 12,17; 15,13-21; 21,18). Latto più rilevante da lui compiuto fu lintervento nella questione del difficile rapporto tra i cristiani di origine ebraica e quelli di origine pagana: in esso egli contribuì insieme a Pietro a superare, o meglio, a integrare l’originaria dimensione giudaica del cristianesimo con l’esigenza di non imporre ai pagani convertiti lobbligo di sottostare a tutte le norme della legge di Mosè. Il libro degli Atti ci ha conservato la soluzione di compromesso, proposta proprio da Giacomo e accettata da tutti gli Apostoli presenti, secondo cui ai pagani che avessero creduto in Gesù Cristo si doveva soltanto chiedere di astenersi dallusanza idolatrica di mangiare la carne degli animali offerti in sacrificio agli dèi, e dall’“impudicizia, termine che probabilmente alludeva alle unioni matrimoniali non consentite. In pratica, si trattava di aderire solo a poche proibizioni, ritenute piuttosto importanti, della legislazione mosaica.In questo modo, si ottennero due risultati significativi e complementari, entrambi validi tuttora: da una parte, si riconobbe il rapporto inscindibile che collega il cristianesimo alla religione ebraica come a sua matrice perennemente viva e valida; dall

altra, si concesse ai cristiani di origine pagana di conservare la propria identità sociologica, che essi avrebbero perduto se fossero stati costretti a osservare i cosiddetti precetti cerimoniali mosaici: questi ormai non dovevano più considerarsi obbliganti per i pagani convertiti. In sostanza, si dava inizio a una prassi di reciproca stima e rispetto, che, nonostante incresciose incomprensioni posteriori, mirava per natura sua a salvaguardare quanto era caratteristico di ciascuna delle due parti.

La più antica informazione sulla morte di questo Giacomo ci è offerta dallo storico ebreo Flavio Giuseppe. Nelle sue Antichità Giudaiche (20,201s), redatte a Roma verso la fine del I° secolo, egli ci racconta che la fine di Giacomo fu decisa con iniziativa illegittima dal Sommo Sacerdote Anano, figlio dellAnnas attestato nei Vangeli, il quale approfittò dell’intervallo tra la deposizione di un Procuratore romano (Festo) e l’arrivo del successore (Albino) per decretare la sua lapidazione nellanno 62. Al nome di questo Giacomo, oltre all

apocrifo Protovangelo di Giacomo, che esalta la santità e la verginità di Maria Madre di Gesù, è particolarmente legata la Lettera che reca il suo nome. Nel canone del Nuovo Testamento essa occupa il primo posto tra le cosiddette ‘Lettere cattoliche’, destinate cioè non a una sola Chiesa particolare come Roma, Efeso, ecc. -, ma a molte Chiese. Si tratta di uno scritto assai importante, che insiste molto sulla necessità di non ridurre la propria fede a una pura dichiarazione verbale o astratta, ma di esprimerla concretamente in opere di bene. Tra l’altro, egli ci invita alla costanza nelle prove gioiosamente accettate e alla preghiera fiduciosa per ottenere da Dio il dono della sapienza, grazie alla quale giungiamo a comprendere che i veri valori della vita non stanno nelle ricchezze transitorie, ma piuttosto nel saper condividere le proprie sostanze con i poveri e i bisognosi (cfr Gc 1,27).

Così la lettera di san Giacomo ci mostra un cristianesimo molto concreto e pratico. La fede deve realizzarsi nella vita, soprattutto nellamore del prossimo e particolarmente nellimpegno per i poveri. E su questo sfondo che devessere letta anche la frase famosa: Come il corpo senza lo spirito è morto, così anche la fede senza le opere è morta (Gc 2,26). A volte questa dichiarazione di Giacomo è stata contrapposta alle affermazioni di Paolo, secondo cui noi veniamo resi giusti da Dio non in virtù delle nostre opere, ma grazie alla nostra fede (cfr Gal 2,16; Rm 3,28). Tuttavia, le due frasi, apparentemente contraddittorie con le loro prospettive diverse, in realtà, se bene interpretate, si completano. San Paolo si oppone allorgoglio delluomo che pensa di non aver bisogno dellamore di Dio che ci previene, si oppone allorgoglio dellautogiustificazione senza la grazia semplicemente donata e non meritata. San Giacomo parla invece delle opere come frutto normale della fede: Lalbero buono produce frutti buoni, dice il Signore (Mt 7,17). E san Giacomo lo ripete e lo dice a noi.

Da ultimo, la lettera di Giacomo ci esorta ad abbandonarci alle mani di Dio in tutto ciò che facciamo, pronunciando sempre le parole: Se il Signore vorrà” (Gc 4,15). Così egli ci insegna a non presumere di pianificare la nostra vita in maniera autonoma e interessata, ma a fare spazio allimperscrutabile volontà di Dio, che conosce il vero bene per noi. In questo modo san Giacomo resta un sempre attuale maestro di vita per ciascuno di noi.

Publié dans:La Chiesa di Gerusalemme |on 15 mai, 2008 |Pas de commentaires »

IL FABBRO – MEDITAZIONE/PREGHIERA – NON SOLO, MA ANCHE SU PAOLO

questa preghiera/meditazione, non riguarda solo Paolo, anche Paolo, ma mi è piaciuta e la posto, forse fa parte di quei « frammenti » del pensiero di Paolo o su Paolo che spero che il Signore mi faccia scoprire, grazie questo « don Luciano » che non conosco, dal sito: 

http://www.comeunafonte.it/Index_file/page0204.htm

Il Fabbro

INCONTRI CON LA PAROLA
« Il fabbro e il fuoco »
(Isaia 54, 16)


Finché vivo, e anche in Paradiso, sarò per sempre grato a mio padre,
e riconoscente a Dio per avermelo dato. Sono passati tanti anni dalla
sua morte, ma parlo spessissimo con lui, gli dico che gli voglio
bene, gli dico grazie di tutto quello che ha fatto per noi, gli dico:
« A presto, papà ». Sì: io ho avuto un grande papà. Aveva cominciato a
lavorare prestissimo, facendo il fabbro ferraio – e questa era
rimasta anche la passione della sua vita. A casa si era costruito una
piccola officina e lavorava il ferro battuto. Era affascinante
vederlo lavorare. Prendeva un informe pezzo di ferro… lo lasciava
nel fuoco della fornace fino a quando non diventava di un rosso
incandescente… e poi a colpi sapienti di martello ora vigorosi ora
teneri lo modellava in qualcosa che prima non esisteva – in qualcosa
di utile. Eri grande, papà!
Come mi sembra viva questa Parola di Dio, in Isaia 54, 16 che parla del fabbro:
«Ecco, io ho creato il fabbro
che soffia sul fuoco delle braci
e ne trae gli strumenti per il suo lavoro».

Dio non solo ha creato il fabbro – LUI è il fabbro. O almeno lo è
stato per la mia vita. In alcuni momenti della mia vita mi ha messo
nel fuoco – in modo che Lui potesse rimodellarmi.

Magari Dio sta facendo lo stesso nella tua vita in questo periodo.
Ecco perché l’atmosfera che respiri è incandescente… La fatica, la
sofferenza, le aspettative, la pressione su di te… tutto ormai
sembra arrivato al punto di essere insopportabile. E dentro di te la
tua anima grida: « Perché, Signore? » O ancora: « Fino a quando Signore? »

Ricordati di come il fabbro lavora. Egli «soffia sul fuoco delle
braci». Perché? Perché quella situazione – o tu stesso – possa essere
rimodellato, e Dio ne possa trarre «gli strumenti per il suo lavoro».
Questo è il modo che usa Dio per rimodellare un figlio che ama ad
immagine di Gesù, e tirarne fuori una persona capace di testimoniarLo
dovunque vada. Ti porta al livello di incandescenza… in modo che tu
sia malleabile… per farti diventare utile. Quello che il fabbro fà
con un pezzo di ferro, Dio lo fà con la mia vita e con la tua.

L’apostolo Pietro scrive a della gente che aveva perso i propri beni
e persino le persone che amavano a causa della loro fedeltà a Cristo.
Erano nella fornace, incandescenti. E Pietro dice: «Perciò siete
ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere un po’ afflitti da varie
prove, perché il valore della vostra fede, molto più preziosa
dell’oro, che, pur destinato a perire, tuttavia si prova col fuoco,
torni a vostra lode, gloria e onore nella manifestazione di Gesù
Cristo» (1 Pietro 1, 6-7). Il fuoco che in questo momento sta
attraversando la tua vita non è per distruggerti o annientarti – è
per rimuovere le tue impurità… per far aumentare la tua fiducia in
Dio, dal momento che non c’è nessun altro che possa aiutarti… e,
soprattutto, per farti aumentare di valore, renderti più prezioso.

Il fuoco dei problemi che stiamo vivendo rende il nostro cuore più
soffice e malleabile, come lo è il metallo incandescente. Senza quel
calore intenso, non cambieremo – saremmo come sempre.

In 2 Corinzi, al capitolo 1, Paolo parla di essere stato sottoposto

a problemi che erano oltre la sua capacità di sopportazione…

di difficoltà che lo hanno gettato nel più profondo sconforto…

e poi di come lui ha capito perché Dio lo stava facendo

attraversare quelle situazioni.

Paolo dice che è stato messo sul fuoco «per imparare a non riporre
fiducia in noi stessi, ma nel Dio che risuscita i morti» (2 Corinzi
1, 9). Paolo era un carattere forte, testardo, conscio delle sue
capacità – probabilmente mai avrebbe lasciato il controllo a Dio, non
avrebbe mai imparato ad abbandonarsi a Lui, se il fuoco dei problemi
non lo avesse reso malleabile al punto da essere rimodellato.
Non posso chiederti di gioire perché sei nel fuoco – ma ti posso
incoraggiare a fidarti del Fabbro. E’ tuo Padre. Lui sa fino a quale
grado di calore puoi resistere… Lui sa le belle cose che vuole fare
in te e attraverso di te – per questa ragione ora sei nel fuoco. Sta
rimuovendo le scorie che ti rendono sgradevole e ti sta ricreando in
un capolavoro.
C’è un canto molto bello e famoso, che ha delle parole straordinarie:
« Spirito di Dio scendi su di me.
Fondimi, plasmami, riempimi, usami.
Spirito di Dio scendi su di me. »

Il Fabbro, che è tuo Padre, ti sta scaldando per renderti più
lavorabile – in modo da trasformarti in qualcosa di così utile che tu
adesso nemmeno puoi immaginare.

Vi accompagno con la preghiera, sempre con riconoscenza e affetto.
don Luciano

LE LETTERE PASTORALI: 1 E 2 TIMOTEO, LETTERA A TITO – INTRODUZIONE

LE LETTERE PASTORALI:

LETTERE 1 E 2 A TIMOTEO

LETTERA A TITO

riguardo le lettere pastorali l’autenticità di esse è discussa, non solo in passato, ma mi sembra ancora oggi, ossia se siano di Paolo o di qualche suo discepolo, cioè pseudoepigrafiche; presento, per prima cosa, uno stralcio della introduzione dal libro sotto citato, tuttavia trovo delle dissonanze, dei pareri diversi, propongo qualcosa anche di questi, ma brevemente,

dal libro di: Reynier C., Trimaille M., Vanhye A., Lettere di Paolo, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2000; Trimaille M., Lettere 1 e 2 Timoteo e Tito;

« INTRODUZIONE

L’insieme formato dalle due lettere a Timoteo e dalla lettera a Tito ha ricevuto, nel corso del XVIII secolo, il nome di , perché sono le uniche a essere indirizzate a pastori e a trattare di quella che a noi oggi chiamiamo .

I destinatari

Timoteo e Tito sono due tra i compagni più noti di Paolo. Secondo Atti 16, 1-3, Paolo ha conosciuto Timoteo passando da Listra, nel corso del suo secondo viaggio. Deciso ad associarlo alla sua équipe (con Sila o Silvano), lo fece circoncidere, dal momento che, se la madre era ebrea, il padre era pagano (in Atti: per riguardo ai Giudei). La sua presenza a fianco di Paolo è quasi costante: è cofondatore delle chiese di Tessalonica, Berea, Corinto; è con Paolo mentre questi è prigioniero ad Efeso (Fm 1) e si trova a Corinto quando l’Apostolo vi scrive la lettera ai Romani (Rm 16,21). Paolo ne fa il coautore di quattro lettere: 1Tessalonicesi, Filippesi, Filemone e 2 Corinzi.

Di Tito, un greco convertito, l’autore degli Atti degli Apostoli non parla mai, ma sappiamo che Paolo lo condusse a Gerusalemme (Gal 2), dove le autorità rinunciarono a farlo circoncidere. È l’uomo di fiducia di Paolo nell’ambito dei suoi difficili rapporti con la chiesa di Corinto (2Cor 2,13; 7,6-7.13-16) e sarà lui a condurre in porto la colletta per Gerusalemme (2Cor 8,6.16-24).

La successione delle lettere pastorali

(Trimaille scrive che l’ordine che troviamo nelle nostre Bibbie non è quello nel quale furono scritte, seguendo alcune considerazioni propone questa successione di redazione: Tito, 1Timoteo e 2Timoteo.)

La critica storica

Si può riscrivere secondo quest’ordine la sequenza degli avvenimenti evocati nelle tre lettere: Paolo ha soggiornato a lungo a Creta dove ha lasciato Tito (Tt 1,5), probabilmente mentre si sta recando ad Efeso…Da Efeso Paolo parte per la Macedonia (1Tm 1,3), poi per Nicopoli, sulla costa albanese (Tt 3,12), dove Tito lo raggiunge (2Tm 4,10). In 2 Tm Paolo è a Roma, detenuto in attesa della condanna e della morte. Queste soste e questi spostamenti fanno pensare a un periodo di tempo di almeno tre anni. »

il professore prosegue valutando la storicità di questi dati, ritiene, però, difficile collocarli nella vita di Paolo in quanto, ad esempio, l’imprigionamento in 2Tm non può essere la residenza di Atti 28, i tempi non sono verosimili, il racconto richiederebbe un tempo maggiore di quello che si conosce degli ultimi anni della vita romana di Paolo;

il titolo successivo della introduzione è: « Deuteropaolinismo o pseudoepigrafia »;

praticamente l’autore propende per la pseudeoepigrafia di queste lettere che è un artificio letterario, conosciuto già nella letteratura greco-romana, per conferire autorità ad un documento, non è, come si potrebbe ritenere oggi, un falso, ma un modo per presentare un argomento, attribuendolo ad un autore autorevole, dal testo: « per attualizzare il pensiero di un maestro celebre del passato, uno scrittore gli faceva affrontare problemi nuovi. Allo stesso modo in cui nell’Antico Testamento il Deuteronomio si presenta come una nuova versione della legge di Mosè, così le pastorali sono una nuova espressione del pensiero paolino in circostanze ulteriori di qui il nome di deuteropaolinismo »

devo dire che, consultando la presentazione delle lettere paoline in alcune Bibbie – non trascrivo perché è lungo – alcuni le ritengono autentiche, ossia vengono fatti i confronti con i tempi storici della vita di Paolo e, per alcuni, è possibile concordare i fatti conosciuti dagli scritti sicuramente autentici con quelli di queste lettere, non tutti, quindi, concordano con la pseudoepigrafia, ma credono nella possibilità che siano paoline;

anche la Bibbia di Gerusalemme, però, sembra ritenerle non autentiche, il testo originale francese introduce le tre lettere in questo modo (traduco dal francese): « Indirizzate a due dei più fedeli discepoli di Paolo, le due lettere a Timoteo e la lettera a Tito offrono delle direttive per l’organizzazione e la condotta della comunità che era a loro affidata. L’autenticità di queste lettere « pastorali » è discussa. Se la « 1Timoteo può essere stata scritta la Paolo, le preoccupazioni quasi burocratiche di rispettabilità e di integrazione alla società (all’ambiente, atmosfera) dei ministri della Chiesa che si esprime in 1Tm e Tt contrasta con il dinamismo missionario e l’entusiasmo nello Spirito della Chiesa di Paolo »

Buscemi presenta le due posizioni, tuttavia ritiene che vadano valutate caso per caso: « … ci riportano…elementi decisamente genuini molto utili per ricostruire la vita di Paolo, l’ambiente in cui è vissuto e gli sviluppi del suo pensiero »;

questo è quello che sono riuscita a capire;

HO COMBATTUTO LA BUONA BATTAGLIA (2Tm 4,6.8)

HO COMBATTUTO LA BUONA BATTAGLIA

(il titolo è tratto dalla seconda Lettera a Timoteo cap.4, 6-8)

« Quanto a me, il mio sangue sta per essere sparso in libagione ed è giunto il momento di sciogliere le vele. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta solo la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, mi consegnerà in quel giorno; e non solo a me, ma anche a tutti coloro che attendono con amore la sua manifestazione « 

http://www.prayerpreghiera.it/padri/padri.html

Dalle « Omelie » di san Giovanni Crisostomo, vescovo
(Om. 2, Panegirico di san Paolo; PG 50,480-484)
Ho combattuto la buona battaglia

Paolo se ne stava nel carcere come se stesse in cielo e riceveva percosse e ferite più volentieri di coloro che ricevono il palio nelle gare: amava i dolori non meno dei premi, perché stimava gli stessi dolori come fossero ricompense; perciò li chiamava anche una grazia divina. Ma sta’ bene attento in qual senso lo diceva. Certo era un premio essere sciolto dal corpo ed essere con Cristo (cfr. Fil 1,23), mentre restare nel corpo era una lotta continua; tuttavia per amore di Cristo rimandava il premio per poter combattere: cosa che giudicava ancora più necessaria.
L’essere separato da Cristo costituiva per lui lotta e dolore, anzi assai più che lotta e dolore. Essere con Cristo era l’unico premio al di sopra di ogni cosa. Paolo per amore di Cristo preferì la prima cosa alla seconda.
Certamente qui qualcuno potrebbe obiettare che Paolo riteneva tutte queste realtà soavi per amore di Cristo. Certo, anch’io ammetto questo, perché quelle cose che per noi sono fonti di tristezza, per lui erano invece fonte di grandissimo piacere. Ma perché io ricordo i pericoli ed i travagli? Poiché egli si trovava in grandissima afflizione e per questo diceva: « Chi è debole, che anch’io non lo sia? Chi riceve scandalo che io non ne frema? » (2Cor 11,29).
Ora, vi prego, non ammiriamo soltanto, ma anche imitiamo questo esempio così magnifico di virtù. Solo così infatti potremo essere partecipi dei suoi trionfi.
Se qualcuno si meraviglia perché abbiamo parlato così, cioè che chiunque avrà i meriti di Paolo avrà anche i medesimi premi, può ascoltare lo stesso
Apostolo che dice: « Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta solo la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, mi consegnerà in quel giorno, e non solo a me, ma anche a tutti coloro che attendono con amore la sua manifestazione » (2Tm 4,7-8). Puoi vedere chiaramente come chiama tutti alla partecipazione della medesima gloria.
Ora, poiché viene presentata a tutti la medesima corona di gloria, cerchiamo tutti di diventare degni di quei beni che sono stati promessi.
Non dobbiamo inoltre considerare in lui solamente la grandezza e la sublimità delle virtù e la tempra forte e decisa del suo animo, per la quale ha meritato di arrivare ad una gloria così grande, ma anche la comunanza di natura, per cui egli è come noi in tutto. Così anche le cose assai difficili ci sembreranno facili e leggere e, affaticandoci in questo tempo così breve, porteremo quella corona incorruttibile ed immortale, per grazia e misericordia del Signore nostro Gesù Cristo, a cui appartiene la gloria e la potenza ora e sempre, nei secoli d secoli. Amen.
 

VI SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

VI SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO dans LETTURE DI SAN PAOLO NELLA LITURGIA DEL GIORNO ♥♥♥ 81559,1205593076,1

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IL TEMPO LITURGICO – IL TEMPO ORDINARIO (o per annum)

UNA PRESENTAZIONE DEL CAMMINO DELL’ANNO LITURGICO:

per tutto l’articolo, compreso il commento al tempo di Pasqua, di quaresima, di avvento, di Natale e le feste, dal sito: 

http://www.diocesi.torino.it/pastorale/eucarestia2004/scheda2_d.htm

Spezzare il pane
L’Eucaristia, centro della domenica
Sussidio per l’anno pastorale 2004-2005

Il cammino dell’anno liturgico

L’anno liturgico è lo spazio-tempo della Chiesa, all’interno del quale si sviluppano e si compiono tutte le azioni liturgiche del popolo di Dio. Esso si caratterizza per la sua forte e compatta unità, considerato come un tempo unico, che scorre dalla Pentecoste alla Parusia, dal dono dello Spirito effuso sulla Chiesa nascente fino al giorno ultimo, alla fine dei tempi.

Considerato in se stesso e in rapporto alle azioni cultuali della Chiesa, l’anno liturgico si presenta come la struttura portante dell’intero edificio liturgico. Esso non è un’azione cultuale strettamente intesa, ma è ciò che sorregge le singole celebrazioni. L’anno liturgico può considerarsi, a ragione, la vera « introduzione alla liturgia ». All’interno di questa ampia unità si collocano e si articolano i singoli momenti celebrativi: sacramenti e sacramentali.

L’anno liturgico della Chiesa è segnato da diverse tappe che possono sembrare degli inizi e degli sviluppi nuovi, tutti reali, ma sempre in continuità, anche se non così nettamente classificabili:

Ogni giorno, lungo l’intero corso dell’anno liturgico, celebriamo sempre e ininterrottamente Cristo Gesù risorto nel suo mistero di salvezza:

« La santa madre Chiesa considera suo dovere celebrare con sacra memoria in giorni determinati nel corso dell’anno l’opera della salvezza del suo Sposo divino. Ogni settimana, nel giorno a cui ha dato il nome di domenica, fa la memoria della risurrezione del Signore, che ogni anno, unitamente alla sua beata passione, celebra a Pasqua, la più grande delle solennità. Nel corso dell’anno poi, distribuisce tutto il mistero di Cristo, dall’incarnazione e dal-la natività fino all’ascensione, al giorno di Pentecoste e all’attesa della bea-ta speranza e dell’avvento glorioso del Signore. Ricordando in tal modo i misteri della redenzione, essa apre ai fedeli le ricchezze delle azioni salvifi-che e dei meriti del suo Signore, in modo tale da renderli in qualche modo presenti a tutti i tempi, perché i fedeli possano venirne a contatto ed essere ri-pieni della grazia della salvezza » (SC 102).

Considerato nella sua struttura e nei suoi contenuti, l’anno liturgico si presenta come una magnifica « inclusione »; nel suo sviluppo, dalla domenica 1ª di Avvento alla solennità di Cristo Re (34ª dom. del Tempo Ordinario), celebra Cristo Gesù nella varietà dei suoi misteri, in tensione escatologica, sostenendo il cammino dei cristiani incontro al Signore che viene nello splendore della sua gloria per trasfigurarci nella sua luce di risorto.

La Chiesa vive in prospettiva escatologica, protesa verso la parusia, cioè l’avvento glorioso del Signore. Il nuovo anno liturgico, infatti, si apre come si era chiuso quello precedente, e si concluderà come si è aperto, cioè con la stessa tensione escatologica, in un continuo movimento elicoidale e ascensionale, che sollecita la comunità cristiana a invocare la manifestazione gloriosa del Signore anticipando nel tempo la venuta finale di « colui che viene » e il compimento definitivo della storia della salvezza in atto nella liturgia e nell’intera vita della Chiesa.

Il tema della parusia attraversa come costante l’intero anno liturgico: all’inizio e alla fine; dall’inizio alla fine. Ogni volta che la Chiesa celebra l’Eucaristia acclama: « celebriamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell’attesa della tua venuta ». Il memoriale storico degli eventi salvifici di Cristo con lo Spirito è fatto di continuo « nell’attesa della sua venuta nella gloria », « nell’attesa che si compia la beata speranza e venga il nostro salvatore Gesù Cristo ».

I fedeli devono essere educati, pertanto, al primato e alla centralità del mistero di Cristo nella liturgia in modo che il loro animo « sia indirizzato prima di tutto verso le feste del Signore, nelle quali, durante il corso dell’anno, si celebrano i misteri della salvezza. Perciò il proprio del tempo abbia il suo giusto posto sopra le feste dei santi, in modo che sia convenientemente celebrato l’intero ciclo dei misteri della salvezza » (SC 108).

Il tempo ordinario

Oltre i “tempi forti” ci sono 33 o 34 settimane durante il corso dell’anno, le quali sono destinate non a celebrare un particolare aspetto del mistero di Cristo, ma a venerarlo nella sua globalità, specialmente nelle domeniche. Questo periodo si chiama tempo “per annum” (Cfr. Norme generali sull’Anno Liturgico, n. 43).

In questo periodo la comunità cristiana approfondisce nella fede il mistero pasquale e sottolinea le esigenze della “vita nuova”.

Esso è formato da due parti: la prima va dal lunedì dopo la domenica del Battesimo del Signore fino al martedì precedente il mercoledì delle ceneri: La seconda parte riprende dal lunedì dopo la solennità di Pentecoste e termina il sabato prima della prima domenica di Avvento.

Nel periodo del “tempo ordinario” va richiamato e coltivato il senso della domenica come Pasqua settimanale e giorno dell’assemblea:

La lettura semicontinua dei vangeli sinottici permette una profonda educazione alla fede fondata sulla teologia della vicenda storica di Gesù come viene presentata dal racconto dei singoli evangelisti: Matteo per l’anno A, Marco per l’anno B, Luca per l’anno C.

Tempo basato sul già del Regno di Dio, il tempo ordinario si apre sul non ancora in cui nella celebrazione facciamo esperienza. La speranza, il colore verde, ne scandisce ogni ritmo. Filo verde che porta sempre a trovare il centro non in cose, ma in Colui che vive per sempre: il “Cristo ieri e oggi, Principio e Fine, Alfa e Omega” (Apocalisse), l’oggetto perenne del Mistero Pasquale e della sua celebrazione ordinaria: il tempo ordinario è, grazie al Mistero celebrato, “tempo dell’irruzione e dell’inatteso”, che ci mantiene vigilanti nell’attesa del Suo ritorno definitivo.

TEMPO ORDINARIO – VI SETTIMANA

con questo lunedì ritorniamo alla settimana del tempo ordinario, la parte che va da oggi all’inizio dell’Avvento è il secondo periodo che va dalla VI alla XXXIV settimana; il Gesù che abbiamo incontrato nel tempo della Pasqua, noi noi lo ritroviamo; noi celebriamo i misteri di Cristo e gli avvenimento della storia della salvezza, proprio, e perché, c’è il mistero pasquale ed in esso sono contenuti tutti i misteri da celebrare;

per continuare a seguire San Paolo in questo tempo nel quale le letture, sia degli Atti sia delle lettere non è così continua come nel tempo pasquale, io proporrei – oltre alle letture che, comunque troveremo nei prossimi giorni – una lettura di quelli che chiamerei i « frammenti » della parola di San Paolo nella liturgia, ossia quei passaggi nei quali, sia nella lettura di un brano dell’Uffico delle Letture, sia a presentazione dei salmi – questi brevi citazioni si chiamano sentenze, sotto metto la spiegazione – sia nell’ora media, troviamo una breve lettura o una citazione da San Paolo; io credo che i « frammenti » che noi troviamo siano altrettanto importanti dei testi interi, perché ritroviamo un pensiero di Paolo come colui che continua ad accompagnare il cammino della Chiesa, come colui che offre, sempre di nuovo, una parola autorevole di conferma, un percorso irrinunciabile;

per questo tipo di lettura dalla liturgia non ho alcun appoggio da testi liturgici o da introduzioni a San Paolo, è qualcosa che tento di fare, leggendo, cerco di comprendere e lo presento, come per altre introduzioni, faccio quello posso, come sono capace, però con amore;

dal sito: 

http://www.celebrare.it/documenti/pnlo/04-pnlo-cap03.htm

[111. Nel salterio della Liturgia delle Ore, ad ogni salmo è premesso un titolo sul suo significato e la sua importanza per la vita umana del credente. Questi titoli, nel Libro della liturgia delle Ore, sono proposti unicamente ad utilità di coloro che recitano i salmi. Per alimentare la preghiera alla luce della rivelazione nuova, si aggiunge una sentenza del Nuovo Testamento o dei Padri che invita a pregare in senso cristologico.]  quindi quella che cito sui salmi si chiama « sentenza » (l’ho imparato adesso anche io) 

LUNEDÌ 12 MAGGIO 2008

nella seconda lettura dell’Ufficio delle Letture, potete vedere sul sito Maranathà:

http://www.maranatha.it/Ore/ord/LetLun/06LUNpage.htm

c’è una lettura da San Bernardo essa tratta, in concomitanza con la prima dai Proverbi, della Sapienza, noi dobbiamo agire alla luce della Sapienza, dobbiamo cercarla, domandarla a Dio: « Cercala dunque mentre la puoi trovare perché essa ti è vicina: « Vicina a te è la parola nel tuo cuore e nella tua bocca » (cfr. Rm 10,8); hai trovato la Sapienza « se sulla bocca hai la confessione della tua iniquità, se hai il ringraziamento e il canto di lode, se infine hai anche una conversazione edificante. In realtà « con il cuore si crede per ottenere la giustizia e con la bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza » (Rm, 10,10);

nell’ora media:

http://www.maranatha.it/Ore/ord/FerMedie/02LUNpage.htm

il secondo salmo, il 39, è introdotto da un passo agli Ebrei: « Entrando nel mondo Cristo dice: Tu non hai preparato né sacrificio, né offerta, un corpo invece mi hai preparato (Eb 10, 5);

al Vespro c’è l’inno di Efesini 1,3-10, che non metto perché gli Inni posto separatamente;

VESPRI

Lettura breve 1 Ts 2, 13
13. Noi ringraziamo Dio continuamente, perché, avendo ricevuto da noi la parola divina della predicazione, l’avete accolta non quale parola di uomini, ma, come è veramente, quale parola di Dio, che opera in voi che credete.

MARTEDÌ 13 MAGGIO 2008

MESSA DEL GIORNO Canto al Vangelo (Ef 1,17-18)
Alleluia, alleluia.
17a. Il Padre del Signore nostro Gesù Cristo
ci conceda lo spirito di sapienza,
18b. perché possiamo conoscere
qual è la speranza della nostra chiamata.
Alleluia. 
(traduzione liturgica) 
UFFICIO DELLE LETTURE  « FRAMMENTO » 

(cioè quello che metto e che ho denominato « frammenti »)  (metto il testo per intero perché facendo una sintesi mi sembra che non si capisce il passaggio di Paolo citato dall’autore, in questo caso Sant’Atanasio) 

Seconda Lettura 
Dai «Discorsi contro gli Ariani» di sant’Atanasio, vescovo
(Disc. 2, 78. 81-82; PG 26, 311. 319)
La conoscenza del Padre ci viene 
per mezzo della Sapienza creatrice e incarnata

La Sapienza unigenita di Dio è creatrice e autrice di tutte le cose. Perciò è detto: Hai fatto tutte le cose nella tua sapienza e anche: La terra è stata riempita dalla tua creazione (cfr. Sal 103, 24). Ora perché le cose create non solo esistessero, ma esistessero ordinatamente, piacque a Dio di commisurare se stesso alle cose create con la sua Sapienza, per imprimere in tutte e in ciascuna di esse una certa impronta e sembianza della sua immagine e fosse così ben manifesto che le cose create erano state adornate dalla Sapienza, e che le opere costruite erano degne di Dio.
Come infatti la nostra parola è immagine del Verbo, che è Figlio di Dio, così in noi la sapienza è fatta ad immagine del medesimo Verbo, che è la Sapienza stessa. Il dono della sapienza ci dà la facoltà di apprendere e di conoscere, ci rende capaci di accogliere la Sapienza creatrice, e di poter conoscere, per mezzo di essa, lo stesso Padre. Infatti chi possiede il Figlio, possiede anche il Padre (cfr. 1 Gv 2, 23) e ancora: «Chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato» (Mt 10, 40). Poiché dunque l’immagine di questa stessa Sapienza è stata creata in noi e in tutte le cose, giustamente la vera Sapienza, quella creatrice, attribuendo a se stessa le proprietà che appartengono alla sua immagine, afferma: Il Signore mi ha creato nelle sue opere».
Ma «poiché nel disegno sapiente di Dio», come abbiamo spiegato, «il mondo con tutta la sua sapienza non ha conosciuto Dio, è piaciuto a Dio di salvare i credenti con la stoltezza della predicazione» (1 Cor 1, 21). Dio non ha più voluto essere conosciuto come nei tempi passati, attraverso l’immagine e l’ombra della sapienza. Volle che la stessa vera Sapienza assumesse la carne, si facesse uomo, e sopportasse la morte di croce, perché attraverso la fede, che in lei si fonda, tutti i credenti potessero di nuovo essere salvi.
La Sapienza di Dio manifestava se stessa e il Padre attraverso la propria immagine, impressa nelle cose create. Per questo fatto si dice che viene creata. In seguito, quella stessa Sapienza, che è il Verbo, si è fatta carne, come afferma san Giovanni. Distrutta la morte e liberato il genere umano, manifestò se stessa più chiaramente e, per mezzo suo, il Padre; donde queste sue parole: Concedi loro «che conoscano te, l’unico veri Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo» (Gv 17, 3).
Dunque la terra intera è ripiena della sua conoscenza. Poiché una sola è la conoscenza del Padre per mezzo del Figlio e del Figlio da parte del Padre. Della stessa gioia di cui si compiacque il Padre, gioisce pure il Figlio nel Padre, come risulta da questa espressione: Ero io colui del quale si compiaceva. Ogni giorno mi dilettavo al suo cospetto (cfr. Pro 8, 3).
Responsorio    Cfr. Col 2, 6. 9; Mt 23, 10
R. Camminate nel Signore Gesù Cristo, come l’avete ricevuto. * Abita in lui corporalmente la pienezza di Dio.
V. Un solo è il vostro Maestro, il Cristo.
R. Abita in lui corporalmente la pienezza di Dio. 

LODI 

Lettura Breve   1 Ts 5, 4-5
4. Voi, fratelli, non siete nelle tenebre, così che il giorno del Signore possa sorprendervi come un ladro: 5. voi tutti infatti siete figli della luce e figli del giorno; noi non siamo della notte, né delle tenebre. 
VESPRI 

Inno Ef 1, 3-10   

Lettura breve   1 Ts 2, 13
13. Noi ringraziamo Dio continuamente, perché, avendo ricevuto da noi la parola divina della predicazione, l’avete accolta non quale parola di uomini, ma, come è veramente, quale parola di Dio, che opera in voi che credete.

MERCOLEDÌ 14 MAGGIO 2008

SAN MATTIA APOSTOLO, FESTA

UFFICIO DELLE LETTURE – DAL COMUNE DEGLI APOSTOLI

PRIMA LETTURA

1. Ognuno ci consideri come ministri di Cristo e amministratori dei misteri di Dio. 2 Ora, quanto si richiede negli amministratori è che ognuno risulti fedele. 3 A me però, poco importa di venir giudicato da voi o da un consesso umano; anzi, io neppure giudico me stesso, 4 perché anche se non sono consapevole di colpa alcuna non per questo sono giustificato. Il mio giudice è il Signore! 5 Non vogliate perciò giudicare nulla prima del tempo, finché venga il Signore. Egli metterà in luce i segreti delle tenebre e manifesterà le intenzioni dei cuori; allora ciascuno avrà la sua lode da Dio. 6 Queste cose, fratelli, le ho applicate a modo di esempio a me e ad Apollo per vostro profitto perché impariate nelle nostre persone a stare a ciò che è scritto e non vi gonfiate d’orgoglio a favore di uno contro un altro. 7 Chi dunque ti ha dato questo privilegio? Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto? E se l’hai ricevuto, perché te ne vanti come non l’avessi ricevuto? 8 Già siete sazi, già siete diventati ricchi; senza di noi già siete diventati re. Magari foste diventati re! Così anche noi potremmo regnare con voi. 9 Ritengo infatti che Dio abbia messo noi, gli apostoli, all’ultimo posto, come condannati a morte, poiché siamo diventati spettacolo al mondo, agli angeli e agli uomini. 10 Noi stolti a causa di Cristo, voi sapienti in Cristo; noi deboli, voi forti; voi onorati, noi disprezzati. 11 Fino a questo momento soffriamo la fame, la sete, la nudità, veniamo schiaffeggiati, andiamo vagando di luogo in luogo, 12 ci affatichiamo lavorando con le nostre mani. Insultati, benediciamo; perseguitati, sopportiamo; 13 calunniati, confortiamo; siamo diventati come la spazzatura del mondo, il rifiuto di tutti, fino ad oggi. 14 Non per farvi vergognare vi scrivo queste cose, ma per ammonirvi, come figli miei carissimi. 15 Potreste infatti avere anche diecimila pedagoghi in Cristo, ma non certo molti padri, perché sono io che vi ho generato in Cristo Gesù, mediante il vangelo. 16 Vi esorto dunque, fatevi miei imitatori!

LODI

Lettura Breve Ef 2, 19-22
Voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio, edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, e avendo come pietra angolare lo stesso Cristo Gesù. In lui ogni costruzione cresce ben ordinata per essere tempio santo nel Signore; in lui anche voi insieme con gli altri venite edificati per diventare dimora di Dio per mezzo dello Spirito.

VESPRI

Lettura Breve Ef 4, 11-13
E’ Cristo che ha stabilito alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e maestri, per rendere idonei i fratelli a compiere il ministero, al fine di edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo.

GIOVEDÌ 15 MAGGIO 2008-05-16 

UFFICIO DELLE LETTURE  « sentenza » 

(per il termine « sentenza » vedi sopra nella spiegazione in rosso) sul Salmo  SALMO 43, 2-9   (I) Il popolo di Dio nella sventura
In tutte le tribolazioni noi siamo più che vincitori, per virtù di colui che ci ha amati (Rm 8, 37)

[nella seconda lettura, senza citazione – ho sottolineato – c'è un passaggio di San Paolo, direi 1Cor 12,4-11, poi sotto, citato un passaggio da 1Tm 2,8] 

Seconda Lettura
Dal «Commento sui salmi» di sant’Ambrogio, vescovo
(Sal 36, 65-66; CSEL 64, 123-125)
Apri la tua bocca alla parola di Dio
Sia sempre nel nostro cuore e sulla nostra bocca la meditazione della sapienza e la nostra lingua esprima la giustizia. La legge del nostro Dio sia nel nostro cuore (cfr. Sal 36, 30). Per questo la Scrittura ci dice: «Parlerai di queste quando sarai seduto in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai» (Dt 6, 7). Parliamo dunque del Signore Gesù, perché egli è la Sapienza, egli è la Parola, è la Parola di Dio. Infatti è stato scritto anche questo: Apri la tua bocca alla parola di Dio.
Chi riecheggia i suoi discorsi e medita le sue parole la diffonde. Parliamo sempre di lui. Quando parliamo della sapienza, è lui colui di cui parliamo, così quando parliamo della virtù, quando parliamo della giustizia, quando parliamo della pace, quando parliamo della verità, della vita, della redenzione, è di lui che parliamo.
Apri la tua bocca alla parola di Dio, sta scritto. Tu la apri, egli parla. Per questo Davide ha detto: Ascolterò che cosa dice in me il Signore (cfr. Sal 84, 9) e lo stesso Figlio di Dio dice: «Apri la tua bocca, la voglio riempire» (Sal 80, 11). Ma non tutti possono ricevere la perfezione della sapienza come Salomone e come Daniele. A tutti però viene infuso lo spirito della sapienza secondo la capacità di ciascuno, perché tutti abbiano la fede. Se credi, hai lo spirito di sapienza.
Perciò medita sempre, parla sempre delle cose di Dio, «quando sarai seduto in casa tua» (Dt 6, 7). Per casa possiamo intendere la chiesa, possiamo intendere il nostro intimo, per parlare all’interno di noi stessi. Parla con saggezza per sfuggire al peccato e per non cadere con il troppo parlare. Quando stai seduto parla con te stesso, quasi come dovessi giudicarti. Parla per strada, per non essere mai ozioso. Tu parli per strada se parli secondo Cristo, perché Cristo è la via. In cammino parla a te stesso, parla a Cristo. Senti come devi parlargli: «Voglio, dice, che gli uomini preghino dovunque si trovino, alzando al cielo mani pure senza ira e senza contese» (1 Tm 2, 8). Parla, o uomo, quando ti corichi affinché non ti sorprenda il sonno di morte. Senti come potrai parlare sul punto di addormentarti: «Non concederò sonno ai miei occhi né riposo alle mie palpebre, finché non trovi una sede per il Signore, una dimora per il Potente di Giacobbe» (Sal 131, 4-5).
Quando ti alzi, parlagli per eseguire ciò che ti è comandato. Senti come Cristo ti sveglia. La tua anima dice: «Un rumore! E’ il mio diletto che bussa» (Ct 5, 2) e Cristo dice: «Aprimi, sorella mia, mia amica» (Ivi). Senti come tu devi svegliare Cristo. L’anima dice: «Io vi scongiuro, figlie di Gerusalemme, svegliate, ridestate l’amore» (Ct 3, 5). L’amore è Cristo.

Responsorio    Cfr. 1 Cor 1, 30-31; Gv 1, 16
R. Cristo Gesù è diventato per noi sapienza e giustizia, santificazione e redenzione. Come sta scritto: *
Chi si vanta, si vanti nel Signore.
V. Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto grazia su grazia.
R. Chi si vanta, si vanti nel Signore. 

LODI 

( sentenza sul salmo 80): 

SALMO 80   Solenne rinnovazione dell’alleanza
Guardate, fratelli, che non si trovi in nessuno di voi un cuore perverso e senza fede (Eb 3, 12)

Lettura Breve   Rm 14, 17-19
17. Il regno di Dio non è questione di cibo o di bevanda, ma è giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo: 18. chi serve il Cristo in queste cose, è bene accetto a Dio e stimato dagli uomini. 19. Diamoci dunque alle opere della pace e alla edificazione vicendevole. 

VENERDÌ 16 MAGGIO 2008

UFFICIO DELLE LETTURE 

(citazioni sottolineate da me: Fil 3, 13-14; 1Cor 2,9) 

Seconda Lettura
Dai «Trattati sulla prima lettera di Giovanni» di sant’Agostino, vescovo
(Tratt. 4, 6; PL 35, 2008-2009)
Il desiderio del cuore si spinge verso Dio
Che cosa ci è stato promesso? «Noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è » (1 Gv 3, 2). La lingua si è espressa meglio che ha potuto, ma il resto bisogna immaginarlo con la mente. Infatti cosa ha rivelato lo stesso Giovanni a paragone di colui che è , o che cosa possiamo dire noi creature che siamo così lontane dalla sua grandezza? Ritorniamo perciò a soffermarci sulla sua unzione, su quella unzione che ci insegna interiormente quanto non siamo capaci di esprimere in parole. E poiché ora non potete avere questa visione, vostro compito è desiderarla. L’intera vita del fervente cristiano è un santo desiderio. Ciò che poi desideri, ancora non lo vedi, ma vivendo di sante aspirazioni ti rendi capace di essere riempito quando arriverà il tempo della visione. Se tu devi riempire un recipiente e sai che sarà molto abbondante quanto ti verrà dato, cerchi di aumentare la capacità del sacco, dell’otre o di qualsiasi altro continente adottato. Ampliandolo lo rendi più capace. Allo stesso modo si comporta Dio. Facendoci attendere, intensifica il nostro desiderio, col desiderio dilata l’animo e, dilatandolo, lo rende più capace. Cerchiamo, quindi, di vivere in un clima di desiderio perché dobbiamo essere riempiti. Considerate l’apostolo Paolo che dilata il suo animo, per poter ricevere ciò che verrà. Dice infatti: «Fratelli, io non ritengo ancora di esservi giunto» (Fil 3, 13). Allora che cosa fai in questa vita, se non sei arrivato alla pienezza del desiderio? «Questo soltanto so: Dimentico del passato e proteso verso il futuro, corro verso la meta per arrivare al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù» (Fil 3, 13-14). Paolo ha dichiarato di essere proteso verso il futuro e di tendervi pienamente. Era consapevole di non essere ancora capace di ricevere «quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo» (1 Cor 2, 9). La nostra vita è una ginnastica del desiderio. Il santo desiderio sarà tanto più efficace quanto più strapperemo le radici della vanità ai nostri desideri. Già abbiamo detto altre volte che per essere riempiti bisogna prima svuotarsi. Tu devi essere riempito dal bene, e quindi devi liberarti dal male. Supponi che Dio voglia riempirti di miele? Bisogna liberare il vaso da quello che conteneva, anzi occorre pulirlo. Bisogna pulirlo magari con fatica e impegno, se occorre, perché sia idoneo a ricevere qualche cosa.
Quando diciamo miele, oro, vino, ecc., non facciamo che riferirci a quell’unica realtà che vogliamo enunziare, ma che è indefinibile. Questa realtà si chiama Dio. E quando diciamo Dio, che cosa vogliamo esprimere? Queste due sillabe sono tutto ciò che aspettiamo. Perciò qualunque cosa siamo stati capaci di spiegare è al di sotto della realtà. Protendiamoci verso di lui perché ci riempia quando verrà. «Noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è » (1 Gv 3, 2). 

LODI 

(sentenza sul salmo 50) 

SALMO 50   Pietà di me, o Signore
Rinnovatevi nello spirito della vostra mente e rivestite l’uomo nuovo (cfr Ef 4,23-24) 

Lettura Breve   Ef 2, 13-16
13. Ora, in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate i lontani siete diventati i vicini grazie al sangue di Cristo. 14. Egli infatti è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l’inimicizia, 15. annullando, per mezzo della sua carne, la legge fatta di prescrizioni e di decreti, per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace, 16. e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo, per mezzo della croce, distruggendo in se stesso l’inimicizia. 

VESPRI 

Lettura breve   1 Cor 2, 7-10a
7. Parliamo di una sapienza divina, misteriosa, che è rimasta nascosta, e che Dio ha preordinato prima dei secoli per la nostra gloria. 8. Nessuno dei dominatori di questo mondo ha potuto conoscerla; se l’avessero conosciuta, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria. 9. Sta scritto infatti: Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, queste ha preparato Dio per coloro che lo amano (cfr. Is 64,4). 10A. Ma a noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito.

SABATO 17 MAGGIO 2008-05-19

 

LODI

sentenza sul salmo 8

SALMO 8 Grandezza del Signore e dignità dell’uomo
Tutto ha sottomesso ai suoi piedi, e lo ha costituito su tutte le cose a capo della Chiesa (Ef 1, 22).

1. Al maestro di coro. Sul canto: « I Torchi… ». Salmo. Di Davide. 

2 O Signore, nostro Dio,quanto è grande il tuo nome su tutta la terra: sopra i cieli si innalza la tua magnificenza. 

3 Con la bocca dei bimbi e dei lattanti affermi la tua potenza contro i tuoi avversari,per ridurre al silenzio nemici e ribelli. 

4 Se guardo il tuo cielo, opera delle tue dita,la luna e le stelle che tu hai fissate, 

5 che cosa è l’uomo perché te ne ricordi e il figlio dell’uomo perché te ne curi? 

6 Eppure l’hai fatto poco meno degli angeli,di gloria e di onore lo hai coronato: 

7 gli hai dato potere sulle opere delle tue mani,tutto hai posto sotto i suoi piedi; 

8 tutti i greggi e gli armenti, tutte le bestie della campagna; 

9 Gli uccelli del cielo e i pesci del mare,che percorrono le vie del mare. 

10 O Signore, nostro Dio, 

quanto è grande il tuo nome su tutta la terra.

Lettura Breve Rm 12, 14-16a
14. Benedite coloro che vi perseguitano, benedite e non maledite. 15. Rallegratevi con quelli che sono nella gioia, piangete con quelli che sono nel pianto. 16a. Abbiate i medesimi sentimenti gli uni verso gli altri; non aspirate a cose troppo alte, piegatevi invece a quelle umili
.

10.5.08 – Il Papa concede l’indulgenza plenaria per l’Anno Paolino

dal sito della Radio Vaticana:

http://www.oecumene.radiovaticana.org/it1/Articolo.asp?c=204571

10/05/2008 Il Papa concede l’indulgenza plenaria per l’Anno Paolino
Benedetto XVI concede lindulgenza plenaria in occasione dellAnno Paolino indetto per celebrare i duemila anni dalla nascita di San Paolo. La Penitenzieria Apostolica ha pubblicato oggi il relativo Decreto che copre il periodo che va dal 28 giugno prossimo, ovvero dai Primi Vespri della prossima Solennità dei Santi Pietro e Paolo, fino al 29 giugno 2009.

Si può ottenere lindulgenza plenaria visitando in forma di pellegrinaggio la Basilica papale di San Paolo fuori le Mura a Roma. Sono necessarie le solite condizioni: la confessione, la comunione e la preghiera secondo le intenzioni del Papa, praticate con lanimo veramente pentito e distaccato da qualsiasi peccato, anche veniale. « L’indulgenza plenaria – precisa il Decreto – potrà essere lucrata dai fedeli cristiani sia per loro stessi, sia per i defunti, tante volte quanto verranno compiute le opere ingiunte; ferma restando tuttavia la norma secondo la quale si può ottenere l’indulgenza plenaria soltanto una volta al giorno ».E stabilito inoltre che i fedeli, oltre ad elevare le proprie suppliche davanti allaltare del Santissimo Sacramento, ognuno secondo la sua pietà, si dovranno portare allaltare della Confessione e devotamente recitare il Padre nostro e il Credo, aggiungendo pie invocazioni in onore della Beata Vergine Maria e di San Paolo. E tale devozione si aggiunge – sia sempre strettamente unita alla memoria del Principe degli Apostoli San Pietro

.

Possono ottenere lindulgenza plenaria anche i fedeli delle varie Chiese locali che, adempiute le consuete condizioni, parteciperanno devotamente ad una sacra funzione o ad un pio esercizio pubblicamente svolti in onore dellApostolo delle Genti nei giorni della solenne apertura e chiusura dellAnno Paolino, in tutti i luoghi sacri, e in altri giorni determinati dallOrdinario del luogo, nei luoghi sacri intitolati a San Paolo e, per lutilità dei fedeli, in altri designati dallo stesso Ordinario.Lindulgenza plenaria è concessa anche a quei fedeli che, impediti da malattia o da altra legittima e rilevante causa e col proposito di adempiere alle consuete condizioni non appena sarà possibile, si uniscono spiritualmente ad una celebrazione giubilare in onore di San Paolo, offrendo a Dio le loro preghiere e sofferenze per lunità

dei Cristiani.

Il Decreto invita infine i sacerdoti ad essere disponibili con generosità ad accogliere le richieste dei fedeli per lascolto delle Confessioni.

Ricordiamo, con il Catechismo della Chiesa Cattolica, che l’indulgenza plenaria è la remissione totale dinanzi a Dio della pena temporale per i peccati, già rimessi quanto alla colpa. Infatti ogni peccato, anche veniale, provoca un attaccamento malsano alle creature, che ha bisogno di purificazione. La pena temporale è dunque quanto rimane da purificare del peccato: cosa che avviene in questa vita con la preghiera, con atti di penitenza e di fervente carità, o in Purgatorio. Lindulgenza libera dalle pene temporali attingendo al cosiddetto Tesoro della Chiesa, costituito dai beni spirituali della comunione dei santi che attraverso i meriti di Cristo acquistano un infinito ed inesauribile valore presso il Padre. (A cura di Sergio Centofanti)

Papa Benedetto XVI – Cantico: Col 1, 3.12-20

dal sito:

http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/audiences/2006/documents/hf_ben-xvi_aud_20060104_it.html

BENEDETTO XVI

UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
Mercoledì, 4 gennaio 2006

Cantico cfr Col 1,3.12-20
Cristo fu generato prima di ogni creatura,
è il primogenito di coloro che risuscitano dai morti
Vespri – Mercoledì 4a settimana

1. In questa prima Udienza generale del nuovo anno ci soffermiamo a meditare il celebre inno cristologico contenuto nella Lettera ai Colossesi, che è quasi il solenne portale d’ingresso di questo ricco scritto paolino ed è anche un portale di ingresso in questo anno. L’Inno proposto alla nostra riflessione è incorniciato da un’ampia formula di ringraziamento (cfr vv. 3.12-14). Essa ci aiuta a creare l’atmosfera spirituale per vivere bene questi primi giorni del 2006, come pure il nostro cammino lungo l’intero arco del nuovo anno (cfr vv. 15-20).

La lode dell’Apostolo e così la nostra sale a « Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo » (v. 3), sorgente di quella salvezza che è descritta in negativo come « liberazione dal potere delle tenebre » (v. 13), cioè come « redenzione e remissione dei peccati » (v. 14). Essa è poi riproposta in positivo come « partecipazione alla sorte dei santi nella luce » (v. 12) e come ingresso « nel regno del Figlio diletto » (v. 13).

2. A questo punto si schiude il grande e denso Inno, che ha al centro il Cristo, del quale è esaltato il primato e l’opera sia nella creazione sia nella storia della redenzione (cfr vv. 15-20). Due sono, quindi, i movimenti del canto. Nel primo è presentato Cristo come il primogenito di tutta la creazione, Cristo, « generato prima di ogni creatura » (v. 15). Egli è, infatti, l’ »immagine del Dio invisibile », e questa espressione ha tutta la carica che l’ »icona » ha nella cultura d’Oriente: si sottolinea non tanto la somiglianza, ma l’intimità profonda col soggetto rappresentato.

Cristo ripropone in mezzo a noi in modo visibile il « Dio invisibile ». In Lui vediamo il volto di Dio, attraverso la comune natura che li unisce. Cristo per questa sua altissima dignità precede « tutte le cose » non solo a causa della sua eternità, ma anche e soprattutto con la sua opera creatrice e provvidente: « per mezzo di lui sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili… e tutte sussistono in lui » (vv. 16-17). Anzi, esse sono state create anche « in vista di lui » (v. 16). E così san Paolo ci indica una verità molto importante: la storia ha una meta, ha una direzione. La storia va verso l’umanità unita in Cristo, va così verso l’uomo perfetto, verso l’umanesimo perfetto. Con altre parole san Paolo ci dice: sì, c’è progresso nella storia. C’è – se vogliamo – una evoluzione della storia. Progresso è tutto ciò che ci avvicina a Cristo e ci avvicina così all’umanità unita, al vero umanesimo. E così, dentro queste indicazioni, si nasconde anche un imperativo per noi: lavorare per il progresso, cosa che vogliamo tutti. Possiamo farlo lavorando per l’avvicinamento degli uomini a Cristo; possiamo farlo conformandoci personalmente a Cristo, andando così nella linea del vero progresso.

3. Il secondo movimento dell’Inno (cfr Col 1, 18-20) è dominato dalla figura di Cristo salvatore all’interno della storia della salvezza. La sua opera si rivela innanzitutto nell’essere « capo del corpo, cioè della Chiesa » (v. 18): è questo l’orizzonte salvifico privilegiato nel quale si manifestano in pienezza la liberazione e la redenzione, la comunione vitale che intercorre tra il capo e le membra del corpo, ossia tra Cristo e i cristiani. Lo sguardo dell’Apostolo si protende alla meta ultima verso cui converge la storia: Cristo è « il primogenito di coloro che risuscitano dai morti » (v. 18), è colui che dischiude le porte alla vita eterna, strappandoci dal limite della morte e del male.

Ecco, infatti, quel pleroma, quella « pienezza » di vita e di grazia che è in Cristo stesso e che è a noi donata e comunicata (cfr v. 19). Con questa presenza vitale, che ci rende partecipi della divinità, siamo trasformati interiormente, riconciliati, rappacificati: è, questa, un’armonia di tutto l’essere redento nel quale ormai Dio sarà « tutto in tutti » (1Cor 15, 28) e vivere da cristiano vuol dire lasciarsi in questo modo interiormente trasformare verso la forma di Cristo. Si realizza la riconciliazione, la rappacificazione.

4. A questo mistero grandioso della redenzione dedichiamo ora uno sguardo contemplativo e lo facciamo con le parole di san Proclo di Costantinopoli, morto nel 446. Egli nella sua Prima omelia sulla Madre di Dio Maria ripropone il mistero della Redenzione come conseguenza dell’Incarnazione.

Dio, infatti, ricorda il Vescovo, si è fatto uomo per salvarci e così strapparci dal potere delle tenebre e ricondurci nel regno del Figlio diletto, come ricorda questo inno della Lettera ai Colossesi. « Chi ci ha redento non è un puro uomo – osserva Proclo -: tutto il genere umano infatti era asservito al peccato; ma neppure era un Dio privo di natura umana: aveva infatti un corpo. Che, se non si fosse rivestito di me, non m’avrebbe salvato. Apparso nel seno della Vergine, Egli si vestì del condannato. Lì avvenne il tremendo commercio, diede lo spirito, prese la carne » (8: Testi mariani del primo millennio, I, Roma 1988, p. 561).

Siamo, quindi, davanti all’opera di Dio, che ha compiuto la Redenzione proprio perché anche uomo. Egli è contemporaneamente il Figlio di Dio, salvatore ma è anche nostro fratello ed è con questa prossimità che Egli effonde in noi il dono divino.

È realmente il Dio con noi. Amen!

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