Archive pour mai, 2008

riguardo la preghiera in San Paolo

 COME HO SCRITTO NELLA CORNICE « PREGHIERA » STO TRADUCENDO QUESTO TESTO, TRADUCO TUTTO, FRA QUALCHE GIORNO QUESTO POST LO TOLGO 

riguardo la preghiera in San Paolo sto cercando di studiare meglio tutto prima di elaborare una proposta di lettura, ho trovato, su un sito francese, una bella presentazione della « preghiera pastorale di San Paolo » vorrei tradurla, ma per non fare una scortesia ho scritto al professore, Jean Lévêque, per chiedergli il permesso, dovrebbe essere a Parigi, ma non sono sicura di avere trovato la mail giusta, se risponde, e positivamente, traduco tutto altrimenti faccio una sintesi; è interessante quello che scrive all’inizio del suo studio, traduco questo per il momento perché coglie la difficoltà di mettere insieme ed in ordine o catalogare per temi la preghiera in San Paolo, cosa che a me, infatti fa un po’ di difficoltà (se coglie la difficoltà lui figurarsi io!), il titolo è:

« La preghiera pastorale in San Paolo

http://perso.jean-leveque.mageos.com/pri.paul.htm

Riguardo i testi del Nuovo Testamento sulla preghiera, le lettere di Paolo meritano una attenzione tutta speciale, perché Paolo, il convertito, è il primo Pastore, nella Chiesa di Gesù, del quale noi abbiamo conservato le confidenze e gli insegnamenti.

È vero che le preghiere si trovano disseminate in tutte le Epistole, e questa dispersione rende malagevole il lavoro di sintesi. Inoltre tutte le lettere sono scritti di circostanza, che non riflettono che una parte delle preoccupazioni e delle speranze d’un uomo, e non si può pretendere di trovare nella corrispondenza di Paolo tutti gli aspetti e tutte le particolarità del suo insegnamento pastorale sulla preghiera. Ma per fortuna Paolo, molto spontaneo di carattere, ci offre volentieri i suoi ricordi e le sua esperienza, e i passaggi dove prega o parla della preghiera sono sufficientemente numerosi e molteplici per permette dei raggruppamenti assai convincenti.

Uno dei fatti il più impressionanti che appaiono all’evidenza di chi percorre le epistole di Paolo è che è impossibile separare, presso di lui (nei suoi scritti), la preghiera dalla vita in Gesù Cristo e l’attività missionaria (ossia la preghiera dalla vita che in Paolo è missionaria). Questa osmosi intensa della vita e della preghiera è l’oggetto della prima parte. »

qui io mi fermo e non traduco oltre, se il professore riceve la mail e mi risponde faccio come dice lui altrimenti traduco per conto mio e faccio una sintesi; come avete visto il professore mi ha risposto ed ho tradotto, c’è ancora qualche testo molto bello;

insieme, da Cesarea a Roma, e tu sei con me Paolo

insieme, da Cesarea a Roma, e tu sei con me Paolo

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da Cesarea a Roma, dove sei Paolo?

mi trovo nella tua nave e navigo con te,

un’avventura, su una nave ondeggiante

sbandata dal vento con le vele gonfie,

io tremo, eppure,

tu sei con me, Paolo

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mi inviti a lasciarmi sballottare

dalle onde, a lasciami cullare

dalla tempesta, ad ascoltare

l’urlo del vento, lo scalpiccio

delle acque, perché

tu sei con me, Paolo

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un naufragio, come tanti altri,

nella vita, il timore delle serpi

il fuoco, il calore,

la sicurezza che Dio è vicino,

si riposa in terra accogliente,

tu sei con me Paolo

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verso Roma, l’ultimo viaggio,

l’ultima fatica, per me: a casa,

per te? cos’era Roma per te?

ma insieme per l’incontro ultimo

ecco, la mano del carnefice, Dio è vicino,

tu sei con me Paolo

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20 maggio 2008

Gabriella

Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani: San Paolo e l’ecumenismo – Prima Lettera ai Tessalonicesi

dal sito:

http://www.vatican.va/roman_curia/pontifical_councils/chrstuni/weeks-prayer-doc/rc_pc_chrstuni_doc_20080117_fortino-ecumenismo_it.html

PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA PROMOZIONE DELL’UNITÀ DEI CRISTIANI

RIFLESSIONE DI MONS. ELEUTERIO F. FORTINO*

Prima lettera ai Tessalonicesi
San Paolo e l’ecumenismo

L’attualità dell’iniziativa di padre Paul Wattson e
i fondamenti teologici nel Concilio Vaticano II

« Ancora e ancora preghiamo il Signore ». Quest’invito del diacono, spesso ripetuto nel corso delle celebrazioni bizantine, sembra fare eco al tema scelto per la Settimana di preghiera per l’unità di quest’anno. A cento anni dall’inizio della prassi organizzata di una preghiera per l’unità dei cristiani, viene rivolto l’invito a « pregare continuamente », incessantemente, « senza interruzione » (1 Tessalonicesi 5, 17).

1. Il Decreto del Concilio Vaticano II sull’ecumenismo si chiude con l’affermazione che « questo santo proposito di riconciliare tutti i Cristiani nell’unica Chiesa di Cristo, una e unica, supera le forze e le doti umane », e « perciò » il Concilio « ripone tutta la sua speranza nell’orazione di Cristo per la Chiesa » (UR, 24). Quando il Decreto tratta l’esercizio dell’ecumenismo, chiede di situare le preghiere private e pubbliche in quel nucleo centrale che indica come « l’anima di tutto il movimento ecumenico », sottolineando che « queste preghiere in comune sono senza dubbio un mezzo molto efficace per impetrare la grazia dell’unità » (UR, 8). 2. In quest’anno 2008 ricorre il centenario dell’inizio della prassi di pregare regolarmente per l’unit

à dei cristiani per opera di padre Paul Wattson, un ministro episcopaliano (anglicano degli Stati Uniti), co-fondatore della Society of the Atonement (Comunità dei frati e delle suore dell’Atonement) a Graymoor (Garrison, New York), che in seguito aderì alla Chiesa cattolica; la sua iniziativa continua fino ai nostri giorni. A Roma la Congregazione dei Frati francescani dell’Atonement è presente e impegnata nella promozione della ricerca dell’unità dei cristiani attraverso il « Centro Pro Unione ».

Proprio per commemorare questo avvenimento, il Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani ha chiesto alla Comunità dell’Atonement di Graymoor di ospitare il Comitato misto per la preghiera composto da rappresentanti del Consiglio ecumenico delle Chiese e della Chiesa cattolica che annualmente prepara i sussidi che vengono poi divulgati nel mondo intero. Dal 1908 la prassi della preghiera per l’unità ha avuto una lenta, ma graduale evoluzione, nella sua impostazione e nella diffusione nel mondo. La Settimana di preghiera per l’unit

à dei cristiani nel 2008 celebra il centenario dell’istituzione dell’Ottavario per l’unità della Chiesa. Questo titolo scelto da padre Wattson è stato trasformato in Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani in seguito all’impostazione data dall’abbé Paul Couturier (1936). Il cambiamento di terminologia rispecchia lo sviluppo della storia della preghiera per l’unità. Per la Chiesa cattolica, il Decreto del Concilio Vaticano II ha dato un’impostazione teologicamente fondata ed ecumenicamente aperta tanto da rendere possibile un’ampia partecipazione degli altri cristiani alla preghiera comune. Dal 1968 si è instaurata una feconda collaborazione con il Consiglio ecumenico delle Chiese, elaborando e divulgando insieme i sussidi su un tema concordato, diverso di anno in anno.

In relazione a questo centenario, il Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani ha chiesto alla Commissione ecumenica dei vescovi degli Stati Uniti di scegliere e di proporre un primo progetto per i sussidi dell’anno 2008. È stato scelto il tema « Pregate continuamente », indicando come testo base una breve pericope della Lettera di san Paolo ai primi cristiani di Tessalonica (1 Ts 5, 12a.13b-18), una delle più antiche lettere di Paolo. La prima comunità cristiana di Tessalonica era stata fondata da Paolo; in seguito egli aveva sentito che serie difficoltà, provenienti dall’esterno, ma anche da divisioni interne, agitavano quella comunità provocando divisioni e opposizioni. Informato, Paolo si indirizzò a quella comunità con due lettere. 3. Il breve ma denso testo biblico contiene una serie di consigli, esortazioni, ordini paterni emananti dall’amore che Paolo nutriva per questa comunit

à sorta dalla sua predicazione. Egli si rivolge ai Tessalonicesi con « Vi prego … vivete in pace tra voi » (1 Ts 5, 13b). I cristiani riconciliati in Cristo devono dare testimonianza della redenzione ricevuta e della comunione ristabilita con Dio. Il tema della riconciliazione e della pace tra i discepoli di Cristo è dominante nell’insegnamento di Paolo.

Anche ai primi cristiani di Efeso egli ricorda questo tema fondamentale e lo collega direttamente a quello della vocazione cristiana. « Vi scongiuro di tenere una condotta degna della vocazione a cui siete stati chiamati … studiandovi di conservare l’unità di spirito nel vincolo della pace » (Ef 4, 3). E ripresenta loro il fondamento teologico: « Non c’è che un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo » (Ef 4, 5). La pace è un dono di Dio che i discepoli ricevono e che sono chiamati a tradurre nelle espressioni concrete della vita personale e comunitaria. 4. Nel corpo del testo scelto, Paolo d

à alcune « indicazioni per risolvere le tensioni » della comunità di Tessalonica, indicazioni che vengono proposte come utili anche per la situazione attuale dei cristiani per la ricerca della loro riconciliazione e della loro piena unità. La divisione, e spesso le contrapposizioni polemiche tra i cristiani nel nostro tempo, vanno risolte per mezzo del dialogo teologico, ma vi è un grande spazio di relazioni fraterne da istituire e realizzare per creare nuove condizioni di vita fraterna e pacifica.

Il brano si conclude con l’affermazione che « questa è la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi », verso i discepoli: fare il bene reciprocamente, evitare le ritorsioni al male ricevuto, sostenere i deboli, esercitare la pazienza con tutti, vivere nella letizia, rendere grazie a Dio in ogni cosa. Il testo paolino dà altre indicazioni valide pure come metodo per l’ecumenismo e come apertura al futuro: « Non spegnete lo Spirito, non disprezzate le profezie, esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono » (1 Ts 5, 19). Quest’ultima indicazione favorisce un atteggiamento positivo verso il patrimonio delle altre Chiese e Comunità ecclesiali con cui si può avere uno scambio di beni per la crescita cristiana e quindi ecumenica comune. Un tale processo nella storia dell’ecumenismo recente è stato indicato come « dialogo della carità« , essenziale per ristabilire il clima di fraternità, necessario per una cooperazione di tutti verso l’unità. Paolo non presenta questo orientamento come semplice strumento utilitaristico di politica ecclesiastica, ma lo riconduce a Dio stesso. Questa è la volontà di Dio in Cristo verso l’insieme dei discepoli. In questa prospettiva Paolo auspica che « il Dio della pace vi santifichi fino alla perfezione » (1 Ts 5, 23). 5. Tra le indicazioni date da san Paolo vi

è il consiglio che è stato proposto come titolo del tema della preghiera per l’unità di quest’anno: « Pregate continuamente » (1 Ts 5, 17), pregate di continuo, « senza interruzione » (adialèiptos), « incessantemente », « senza intermissione », secondo altre traduzioni. In « ogni tempo e luogo », come richiede la preghiera delle ore nella Chiesa bizantina. Il paradossale consiglio di san Paolo – pregare senza interruzione – ha fatto molto riflettere gli uomini spirituali. I Racconti di un pellegrino russo hanno inizio proprio con questo problema: « Come è possibile pregare senza interruzione? ». Eppure il consiglio di san Paolo si riferisce a tutti i discepoli di Cristo. Il Comitato misto che ha proposto il tema applica il consiglio della preghiera ininterrotta anche alla promozione dell’unità di tutti i cristiani. La proposta della preghiera non è limitata ad « una » settimana, ma si estende all’intero anno.

In un’indicazione sull’uso dei sussidi, il Comitato misto, che ha preparato i testi, afferma: « Incoraggiamo i fedeli a considerare il materiale presentato in questa sede come un invito a trovare opportunità in tutto l’arco dell’anno per esprimere il grado di comunione già raggiunto tra le Chiese e per pregare insieme per il raggiungimento della piena unità che è il volere di Cristo stesso. Il testo viene proposto nella convinzione che, ove possibile, venga adattato agli usi locali, con particolare attenzione alle pratiche liturgiche nel loro contesto socio-culturale e alla dimensione ecumenica ». Cento anni or sono ha avuto inizio la pratica della preghiera per l’unit

à. Quest’anno si celebra quell’inizio per una nuova sollecitazione. Si incoraggia a continuare la preghiera per l’unità e a farla « senza interruzione ». Il pellegrinaggio verso la piena unità ha bisogno assoluto del viatico della grazia di Dio da invocare ogni giorno. La piena unità è dono di Dio.

6. La prassi della preghiera per l’unità offre l’opportunità a tutti i battezzati di partecipare al movimento ecumenico e non si limita a coloro che vivono in contesti interconfessionali, ma a tutti coloro che professano la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica.

Nell’enciclica sull’ecumenismo (UUS, 22) il servo di Dio Giovanni Paolo II ha sottolineato l’importanza della preghiera comune e continua: « Sulla via ecumenica verso l’unità, il primato spetta senz’altro alla preghiera comune, all’unione orante di coloro che si stringono insieme attorno a Cristo stesso ».

* Sottosegretario del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani

VII SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

DOMENICA 18 MAGGIO 2008

FESTA DELLA SANTISSIMA TRINITÀ

VII SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO dans LETTURE DI SAN PAOLO NELLA LITURGIA DEL GIORNO ♥♥♥

http://santiebeati.it/

dal sito francese « Evangile Au Quotidien »:

http://www.levangileauquotidien.org/www/main.php?language=FR&localTime=05/18/2008#

Sant’Efrem Siro (circa 306-373), diacono in Siria, dottore della Chiesa
Inno sulla Trinità

« Un unico Dio, un unico Signore, nella trinità delle persone e nell’unità della natura » (Prefazio)

Ritornello : Sia benedetto colui che ti manda ! Prendi come simboli il sole per il Padre,
per il Figlio, la luce,
e per lo Spirito Santo, il calore.
Pur essendo un solo essere, una trinità percepiamo in lui.
Afferrare l’inesplicabile, chi può farlo?

Questo unico essere è molteplice: uno è formato di tre e tre formano uno solo,
grande mistero e palese meraviglia!

Il sole è distinto dai suoi raggi
pur essendogli unito;
anche il suo raggio è pure sole.

Eppure nessuno parla di due soli,
pur essendo il raggio
quaggiù anch’esso sole.

Neanche diciamo che ci siano due Dei.
Dio, è il nostro Signore,
anch’Egli al di sopra del creato.

Chi può mostrare come e dove
son uniti il raggio del sole
e il suo calore, pur essendo liberi?

Non sono né separati né confusi,
uniti, benché distinti,
liberi, benché attaccati, o meraviglia!

Chi può, scrutandoli, avere presa su di essi?
Eppure non sono forse apparentemente semplicissimi, così facili da comprendere?

Mentre il sole dimora lassù,
il suo chiarore, il suo ardore
sono per coloro di quaggiù, un simbolo evidente.

Sì, i suoi raggi sono scesi sulla terra
e dimorano nei nostri occhi
come se rivestissero la nostra carne.

Quando si chiudono gli occhi quando viene il sonno,
come morti, egli lascia
coloro che verrano poi svegliati.

E come la luce entra nell’occhio,
nessuno può capirlo.
Così, il nostro Signore nel seno…

Così, il nostro Salvatore rivestì un corpo
in tutta la sua debolezza,
per venire a santificare l’universo.

Ma quando il raggio risale verso la sua sorgente, non è mai stato separato
da colui che lo genera.

Lascia il suo calore per coloro che sono quaggiù
come il Nostro Signore
ha lasciato lo Spirito Santo ai discepoli.

Guarda queste immagini nel mondo creato
e non dubitare riguardo alle Tre Persone,
altrimenti ti perderai!

Ciò che era oscuro, l’ho reso chiaro:
come le Tre Persone fanno una sola cosa,
trinità che fanno una sola essenza.

Ritornello : Sia benedetto colui che ti manda !

SOLENNITÀ DELLA SANTISSIMA TRINITÀ

MESSA DEL GIORNO

2Cor 13,11-13
La grazia di Gesù Cristo, l’amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo.

Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi11. Fratelli, siate gioiosi, tendete alla perfezione, fatevi coraggio a vicenda, abbiate gli stessi sentimenti, vivete in pace e il Dio dell’amore e della pace sarà con voi. 12. Salutatevi a vicenda con il bacio santo. Tutti i santi vi salutano. 13. La grazia del Signore Gesù Cristo, l’amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi.

PRIMI VESPRI

Lettura Breve Rm 11, 33-36
33. O profondità della ricchezza, della sapienza e della scienza di Dio! Quanto sono imperscrutabili i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie! 34. Infatti, chi mai ha potuto conoscere il pensiero del Signore? O chi mai è stato suo consigliere? 35. O chi gli ha dato qualcosa per primo, sì che abbia a riceverne il contraccambio? (cfr. Gb 15, 8; Sap 9, 13). 36. Poiché da lui, grazie a lui e per lui sono tutte le cose. A lui la gloria nei secoli. Amen.

UFFICIO DELLE LETTURE

Prima Lettura
Dalla prima lettera ai Corinzi di san Paolo, apostolo  2, 1-16
 
Il grande mistero della volontà di Dio
1. Fratelli, quando sono venuto tra voi, non mi presentai ad annunziarvi la testimonianza di Dio con sublimità di parola o di sapienza. 2. Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e questi crocifisso. 3. Io venni in mezzo a voi in debolezza e con molto timore e trepidazione; 4. e la mia parola e il mio messaggio non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza, 5. perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio.
6. Tra i perfetti parliamo, sì, di sapienza, ma di una sapienza che non è di questo mondo, né dei dominatori di questo mondo che vengono ridotti al nulla; 7. parliamo di una sapienza divina, misteriosa, che è rimasta nascosta, e che Dio ha preordinato prima dei secoli per la nostra gloria. 8. Nessuno dei dominatori di questo mondo ha potuto conoscerla; se l’avessero conosciuta, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria. 9. Sta scritto infatti: Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, queste ha preparato Dio per coloro che lo amano (Is 64, 4). 10. Ma a noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito; lo Spirito infatti scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio. 11. Chi conosce i segreti dell’uomo se non lo spirito dell’uomo che è in lui? Così anche i segreti di Dio nessuno li ha mai potuti conoscere se non lo Spirito di Dio. 12. Ora, noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio per conoscere tutto ciò che Dio ci ha donato. 13. Di queste cose noi parliamo, non con un linguaggio suggerito dalla sapienza umana, ma insegnato dallo Spirito, esprimendo cose spirituali in termini spirituali. 14. L’uomo naturale però non comprende le cose dello Spirito di Dio; esse sono follia per lui, e non è capace di intenderle, perché se ne può giudicare solo per mezzo dello Spirito. 15. L’uomo spirituale invece giudica ogni cosa, senza poter essere giudicato da nessuno. 16. Chi infatti ha conosciuto il pensiero del Signore in modo da poterlo dirigere? (Sap 9, 13). Ora, noi abbiamo il pensiero di Cristo.
Responsorio Cfr. Ef 1, 17. 18; 1 Cor 2, 12
R. Il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una più profonda conoscenza di lui. Illumini gli occhi della vostra mente * per comprendere a quale speranza egli vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità tra i santi.
V. Non avete ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio;
R. per comprendere a quale speranza egli vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità tra i santi.

« frammenti » dalle Lettere di Paolo, sottolineatura mia:

1. da Ef 4,6

2. da 1 Cor 12, 4-6

3. da 2 Cor 13, 13 Seconda Lettura
Dalle «Lettere» di sant’Atanasio, vescovo
(Lett. 1 a Serap. 28-30; PG 26, 594-595. 599)
 
Luce, splendore e grazia della Trinità
Non sarebbe cosa inutile ricercare l’antica tradizione, la dottrina e la fede della Chiesa cattolica, quella s’intende che il Signore ci ha insegnato, che gli apostoli hanno predicato, che i padri hanno conservato. Su di essa infatti si fonda la Chiesa, dalla quale, se qualcuno si sarà allontanato, per nessuna ragione potrà essere cristiano, né venir chiamato tale.
La nostra fede è questa: la Trinità santa e perfetta è quella che è distinta nel Padre e nel Figlio e nello Spirito Santo, e non ha nulla di estraneo o di aggiunto dal di fuori, né risulta costituita del Creatore e di realtà create, ma è tutta potenza creatrice e forza operativa. Una è la sua natura, identica a se stessa. Uno è il principio attivo e una l’operazione. Infatti il Padre compie ogni cosa per mezzo del Verbo nello Spirito Santo e, in questo modo, è mantenuta intatta l’unità della santa Trinità. Perciò nella Chiesa viene annunziato un solo Dio che è al di sopra di ogni cosa, agisce per tutto ed è in tutte le cose (cfr. Ef 4, 6). E’ al di sopra di ogni cosa ovviamente come Padre, come principio e origine. Agisce per tutto, certo per mezzo del Verbo. Infine opera in tutte le cose nello Spirito Santo.
L’apostolo Paolo, allorché scrive ai Corinzi sulle realtà spirituali, riconduce tutte le cose ad un solo Dio Padre come al principio, in questo modo
: «Vi sono diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito; e vi sono diversità di ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diversità di operazioni, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti» (1 Cor 12, 4-6).
Quelle cose infatti che lo Spirito distribuisce ai singoli, sono date dal Padre per mezzo del Verbo. In verità tutte le cose che sono del Padre sono pure del Figlio. Onde quelle cose che sono concesse dal Figlio nello Spirito sono veri doni del Padre. Parimenti quando lo Spirito è in noi, è anche in noi il Verbo dal quale lo riceviamo, e nel Verbo vi è anche il Padre, e così si realizza quanto è detto: «Verremo io e il Padre e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14, 23). Dove infatti vi è la luce, là vi è anche lo splendore; e dove vi è lo splendore, ivi c’è parimenti la sua efficacia e la sua splendida grazia.
Questa stessa cosa insegna Paolo nella seconda lettera ai Corinzi, con queste parole: «La grazia del Signore Gesù Cristo, l’amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi» (2 Cor 13, 13). Infatti la grazia è il dono che viene dato nella Trinità, è concesso dal Padre per mezzo del Figlio nello Spirito Santo. Come dal Padre per mezzo del Figlio viene data la grazia, così in noi non può avvenire la partecipazione del dono se non nello Spirito Santo. E allora, resi partecipi di esso, noi abbiamo l’amore del Padre, la grazia del Figlio e la comunione dello stesso Spirito.

LODI

Lettura Breve 1 Cor 12, 4-6
4. Vi sono diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito; 5. vi sono diversità di ministeri, ma uno solo è il Signore; 6. vi sono diversità di operazioni, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti.

SECONDI VESPRI

Lettura breve Ef 4, 3-6
3. Cercate di conservare l’unità dello Spirito per mezzo del vincolo della pace. 4. Un solo corpo, un solo Spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; 5. un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. 6. Un solo Dio Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti.

jesus_and_children_window_QWTPMPFH dans LETTURE DI SAN PAOLO NELLA LITURGIA DEL GIORNO ♥♥♥

http://awfsite.brickriver.com/photo_page.asp?PKValue=12&PrimaryKey=oPictures_Pages_HSBCSF_ID&TableName=oPictures_Pages_HSBCSF

(l’immagine fa riferimento al vangelo di sabato)

VII SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

nella settima settimana del T.O. continuano la lettura della Lettera di Giacomo, la lettera non è, con molta probabilità attribuibile a Giacomo il « fratello del Signore » per diversi motivi: se fosse stata di una persona autorevole nella comunità come Giacomo il fratello del Signore non avrebbe avuto problemi ad essere accolta come canonica come invece è accaduto, si impose solo verso il IV secolo d.C., inoltre lo stile, è stata scritta direttamente in greco, con eleganza e ricchezza di vocabolario che sorprenderebbero molto in un Galileo, inoltre la lettera è molto affine con gli scritti del I e del II secolo specialmente con la I Lettera di Clemente Romano e il Pastore d’Erma; si ispira particolarmente alla letteratura sapienziale per derivare lezioni di morale pratica. Ma dipende anche profondamente dagli insegnamenti del Vangelo; In conclusione è un saggio giudeo-cristiano che ripensa in modo originale le massime della sapienza giudaica in funzione del compimento che esse hanno ricevuto sulla bocca del Maestro;

lo scritto è da considerarsi una omelia, un saggio di una catechesi che doveva essere in uso nelle assemblee giudeo-cristiane del tempo; (la presentazione breve della Lettera di Giacomo l’ho tratta dalla « Introduzione alle Lettere Cattoliche » della Bibbia di Gerusalemme, testo italiano)

così in questa settimana leggiamo ancora gli insegnamenti sulla vera e falsa sapienza, sull’orgoglioso spirito del mondo, sulla durezza dei cuori dei ricchi e sicuri di sé ed egoisti, al venerdì si inserisce un’esortazione alla paziente attesa della parusia, un’attesa che deve essere, nel contempo, fiduciosa, perché il Signore è misericordia e compassione, la lettura di Sabato conclude la lettera di Giacomo ed è una esortazione alla preghiera nelle diverse situazioni della vita;

non inserisco il commento ai vangeli, lettura più omiletica, in ogni caso tendo a soffermarmi sulla prima quando sono testi neotestamentari o di Paolo e, inevitabilmente, posteriori a Paolo e che, di conseguenza presentano la comunità cristiana dei primi secoli e/o l’insegnamento ad essa;

LUNEDÌ 19 MAGGIO 2008

UFFICIO DELLE LETTURE

(in questa lettura più che « frammenti » del pensiero di Paolo sembra intrisa degli scritti dell’Apostolo, come di uno che li ha meditati e « ruminati » a lungo, è molto bella (certo è di Gregorio di Nissa), illuminante ed emozionante, per cui non sottolineo i riferimenti)

Seconda Lettura
Dalle «Omelie sull’Ecclesiaste» di san Gregorio di Nissa, vescovo
(Om. 5; PG 44, 683-686)

Il saggio ha gli occhi in fronte
Se l’anima solleverà gli occhi verso il suo capo, che è Cristo, come dichiara Paolo, dovrà ritenersi felice per la potenziata acutezza della sua vista, perché terrà fissi gli occhi là dove non vi è l’oscurità del male.
Il grande apostolo Paolo, e altri grandi come lui, avevano «gli occhi in fronte» e così pure tutti coloro che vivono, che si muovono e sono in Cristo.
Colui che si trova nella luce non vede tenebre, così colui che ha il suo occhio fisso in Cristo, non può contemplare che splendore. Con l’espressione «occhi in fronte», dunque, intendiamo la mira puntata sul principio di tutto, su Cristo, virtù assoluta e perfetta in ogni sua parte, e quindi sulla verità, sulla giustizia, sull’integrità; su ogni forma di bene. Il saggio dunque ha gli occhi in fronte, ma lo stolto cammina nel buio (Qo 2, 14). Chi non pone la lucerna sul candelabro, ma sotto il letto, fa sì che per lui la luce divenga tenebra. Quanti si dilettano di realtà perenni e di valori autentici sono ritenuti sciocchi da chi non ha la vera sapienza. E` in questo senso che Paolo si diceva stolto per Cristo. Egli nella sua santità e sapienza non si occupava di nessuna di quelle vanità, da cui noi spesso siamo posseduti interamente. Dice infatti: Noi stolti a causa di Cristo (1 Cor 4, 10) come per dire: Noi siamo ciechi di fronte a tutte quelle cose che riguardano al caducità della vita, perché fissiamo l’occhio verso le cose di lassù. Per questo egli era un senza tetto, non aveva una sua mensa, era povero, errabondo, nudo, provato dalla fame e dalla sete.
Chi non lo avrebbe ritenuto un miserabile, vedendolo in catene, percosso o oltraggiato? Egli era un naufrago trascinato dai flutti in alto mare e portato da un luogo all’altro, incatenato. Però, benché apparisse tale agli uomini, non distolse mai i suoi occhi da Cristo, ma li tenne sempre rivolti al capo dicendo: «Chi ci separerà dalla carità che è in Cristo Gesù? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada?«» (cfr. Rm 8, 35). Vale a dire: Chi mi strapperà gli occhi dalla testa? Chi mi costringerà a guardare ciò che è vile e spregevole?
Anche a noi comanda di fare altrettanto quando prescrive di gustare le cose di lassù (cfr. Col 3, 1-2) cioè di tenere gli occhi sul capo, vale a dire su Cristo.

LODI

sentenza sul salmo 83;

SALMO 83 Desiderio del tempio del Signore (sulla Bibbia : Canto del Pellegrinaggio, sul testo liturgico manca il verso 13;

Non abbiamo quaggiù una città stabile, ma cerchiamo quella futura (Eb 13, 14).

1. Al maestro del coro. Su Dei figli di Core. Salmo.
 
2.
Quanto sono amabili le tue dimore, *
Signore degli eserciti! 
3. L’anima mia languisce *
e brama gli atri del Signore. 

Il mio cuore e la mia carne *
esultano nel Dio vivente. 

4. Anche il passero trova la casa, *
la rondine il nido, dove porre i suoi piccoli, 
presso i tuoi altari, Signore degli eserciti, *
mio re e mio Dio. 

5. Beato chi abita la tua casa: *
sempre canta le tue lodi! 
6. Beato chi trova in te la sua forza *
e decide nel suo cuore il santo viaggio. 

7. Passando per la valle del pianto 
la cambia in una sorgente, *
anche la prima pioggia l’ammanta di benedizioni. 

8. Cresce lungo il cammino il suo vigore, *
finché compare davanti a Dio in Sion. 

9. Signore, Dio degli eserciti, ascolta la mia preghiera, *
porgi l’orecchio, Dio di Giacobbe. 
10. Vedi, Dio, nostro scudo, *
guarda il volto del tuo consacrato. 

11. Per me un giorno nei tuoi atri *
è più che mille altrove, 
stare sulla soglia della casa del mio Dio *
è meglio che abitare nelle tende degli empi.

12. Poiché sole e scudo è il Signore Dio; †
il Signore concede grazia e gloria, *
non rifiuta il bene a chi cammina con rettitudine.

13. Signore degli eserciti,

beato l’uomo che in te confida;

MARTEDÌ 20 MAGGIO 2008-05-21

UFFICIO DELLE LETTURE

sentenza sul salmo 67 dell’Ufficio delle Letture

SALMO 67, 2-11 (I) L’ingresso trionfale del Signore
Ascendendo in cielo ha portato con sé i prigionieri, ha distribuito doni agli uomini. Colui che discese è lo stesso che anche ascese al di sopra di tutti i cieli, per riempire tutte le cose (Ef 4, 8. 10). salmo 67:

http://www.bibbiaedu.it/pls/bibbiaol/GestBibbia.Ricerca?Libro=Salmi&Capitolo=67

Seconda Lettura
Dalle «Omelie sull’Ecclesiaste» di san Gregorio di Nissa, vescovo
(Om 6; PG 44, 702-705)

frammento: Paolo è sempre crocifisso per Cristo, sottolineatura mia

Tempo di nascere e tempo di morire
«Vi è un tempo per nascere», dice «e un tempo per morire» (Qo 3, 2). Voglia il cielo che sia concesso anche a me di nascere al tempo giusto e di morire al momento più opportuno.
Noi infatti siamo in certo modo padri di noi stessi, quando per mezzo delle buone disposizioni di animo e del libero arbitrio, formiamo, generiamo, diamo alla luce noi stessi.
Questo poi lo realizziamo quando accogliamo Dio in noi stessi e diveniamo figli suoi, figli della virtù e figli dell’Altissimo. Mentre invece rimaniamo imperfetti e immaturi, finché non si è formata in noi, come dice l’Apostolo, «l’immagine di Cristo». E’ necessario però che l’uomo di Dio sia integro e perfetto. Ecco la vera nascita nostra.
 
«C’è un tempo per morire». Per san Paolo ogni tempo era adatto per una buona morte. Grida infatti nei suoi scritti: «Ogni giorno io affronto la morte» (1 Cor 15, 31) e ancora: «Per causa tua siamo messi a morte tutto il giorno» (Rm 8, 36). E proprio in noi stessi portiamo la sentenza di morte. E’ chiaro poi in che modo Paolo muoia ogni giorno, egli che non vive per il peccato, ma mortifica il suo corpo e porta sempre in se stesso la mortificazione del corpo di Cristo, ed è sempre crocifisso con Cristo, lui che non vive mai per se stesso, ma porta in sé il Cristo vivente. Questa, secondo me, è stata la morte opportuna che ha dato la vera vita. Infatti dice: Io farò morire e darò la vita (cfr. Dt 32, 39) perché ci si persuada veramente che è un dono di Dio esser morti al peccato e vivificati nello spirito. La parola di Dio, infatti, promette la vita proprio come effetto della morte.

VESPRI

Lettura Breve Rm 12, 9-12
9. La carità non abbia finzioni: fuggite il male con orrore, attaccatevi al bene; 10. amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda. 11. Non siate pigri nello zelo; siate invece ferventi nello spirito, servite il Signore. 12. Siate lieti nella speranza, forti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera.

MERCOLEDÌ 21 MAGGIO 2008-05-21

UFFICIO DELLE LETTURE

« frammenti », Col 3,4, sottolineatura mia

 

Seconda Lettura
Dal «Commento all’Ecclesiaste» di san Girolamo, sacerdote
(PL 23, 1057-1059)

Cercate le cose di lassù
«Ogni uomo, a cui Dio concede ricchezze e beni, ha anche facoltà di goderli e prendersene la sua parte, e di godere delle sue fatiche: anche questo è dono di Dio. Egli non penserà infatti molto ai giorni della sua vita, poiché Dio lo tiene occupato con la gioia del suo cuore» (Qo 5, 18-19). A paragone di colui che si nutre delle sue sostanze nel turbinio delle sue preoccupazioni e dei suoi affanni e, con grave peso e tedio della vita, accumula cose destinate poi a perire, il sapiente afferma che è migliore colui che gode di quanto gli sta davanti. In questo secondo caso, infatti, per quanto piccola, una certa soddisfazione c’è e precisamente nell’uso dei beni. Nel primo caso c’è solo un cumulo di fastidi. Il sapiente dimostra anche perché deve ritenersi un dono di Dio poter godere delle ricchezze affermando: «non penserà molto ai giorni della sua vita».
Certamente il Signore concede gioia al suo cuore: non sarà nella tristezza, non sarà tormentato dall’ansia, assorbito com’è della letizia e dal piacere presente. Ma è meglio, secondo l’Apostolo, scorgere il bene da godere non tanto nel cibo e nella bevanda materiale, ma nel nutrimento dello spirito concesso da Dio. C’è un bene nelle fatiche proprio perché solo attraverso fatiche e sforzi possiamo arrivare alla contemplazione dei veri beni. Ed è proprio ciò che dobbiamo fare: rallegrarci nelle nostre occupazioni ed attività. Quantunque però questo sia un bene, tuttavia «fino a che Cristo nostra vita non si sarà manifestato» (cfr. Col 3, 4) non è ancora il bene completo.
Deve ritenersi veramente saggio colui che, istruito nelle divine Scritture, ha tutta la sua fatica sulle sue labbra e la sua brama non è mai sazia (cfr. Qo 6, 7), dal momento che sempre desidera di imparare. In questo il savio si trova in condizione migliore dello stolto (cfr. Qo 6, 8), perché, sentendosi povero (quel povero che è proclamato beato dal vangelo), si affretta ad abbracciare ciò che riguarda la vera vita, cammina sulla strada stretta e angusta che conduce alla vita ed è povero di opere malvagie, e sa dove risiede Cristo, che è la vita.

LODI

sentenza sul salmo

SALMO 85 Preghiera a Dio nell’afflizione
Sia benedetto Dio, il quale ci consola in ogni tribolazione (2 Cor 1, 3.4).

http://www.bibbiaedu.it/pls/bibbiaol/GestBibbia.Ricerca?Libro=Salmi&Capitolo=85

VESPRI

Lettura Breve Ef 3, 20-21
20. A colui che in tutto ha potere di fare molto più di quanto possiamo domandare o pensare, secondo la potenza che già opera in noi, 21. a lui la gloria nella Chiesa e in Cristo Gesù per tutte le generazioni, nei secoli dei secoli! Amen.

GIOVEDÌ 22 MAGGIO 2008-05-23

 

UFFICIO DELLE LETTURE

« frammenti », sulla Trinità, la citazione da San Paolo è ripetuta anche nel Responsorio, sottolineatura mia

Seconda Lettura
Dalle «Istruzioni» di san Colombano, abate
(Istr. 1 sulla fede, 3-5; Opera, Dublino, 1957, pp. 62-66)

L’immensa profondità di Dio
Dio è dappertutto; egli è immenso e dovunque presente, secondo quanto egli ha detto di se stesso: Io sono un Dio vicino e non un Dio lontano (cfr. Ger 23, 23). Non cerchiamo dunque Dio come se stesse lontano da noi, perché lo possiamo avere dentro di noi. Egli dimora in noi come l’anima nel corpo, purché siamo suoi membri sani, siamo morti al peccato e immuni dalla corruzione di una volontà perversa. Allora abita veramente in noi, perché lo ha detto egli stesso: abiterò in essi e camminerò fra loro (cfr. Lv 26, 12).
Se noi siamo degni che egli abiti in noi, allora siamo vivificati da lui nella verità, come sue membra vive. «In lui, come dice l’Apostolo, viviamo, ci muoviamo ed esistiamo» (At 17, 28).
Chi mai, dico, potrà investigare la sublime essenza di Dio, ineffabile e incomprensibile? Chi potrà scrutare i suoi altissimi misteri? Chi oserà dire qualcosa di colui che è il Principio eternamente esistente di tutte le cose create? Chi potrà vantarsi di conoscere Dio infinito, che tutto riempie di sé e tutti abbraccia, tutto penetra e tutto trascende, tutto comprende e a tutti sfugge? Nessuno mai lo ha visto così com’è (cfr. Gv 1, 18). Nessuno pertanto presuma di investigare i misteri incomprensibili di Dio: che cosa sia, come sia, dove sia. Questi sono misteri ineffabili, inscrutabili, impenetrabili. Devi credere questo solo, però con tutta la forza del tuo cuore: che Dio è così, come è sempre stato e come sempre sarà, perché è immutabile.
Chi dunque è Dio? Il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono un solo Dio. Non cercare altro di Dio, perché volendo conoscere la misteriosa profondità di Dio, è necessario innanzi tutto investigare la natura delle cose. La conoscenza della Trinità infatti viene giustamente paragonata alla profondità del mare, secondo il detto del Sapiente: E l’immensa profondità chi potrà trovarla? (cfr. Qo 7, 24). Come la profondità del mare è invisibile agli sguardi umani, così la divinità della Trinità si dimostra incomprensibile ai sensi dell’uomo. Se dunque qualcuno vuol conoscere quello che deve credere, deve rendersi conto che non potrà capire di più parlandone, che credendo. La conoscenza di Dio, infatti, quanto più viene discussa, tanto più sembra allontanarsi da noi.
Cerca perciò la conoscenza di Dio più alta, quella che non sta nelle dispute verbose, ma nella santità di una buona vita; non nel parlare, ma nella fede che sgorga dalla semplicità del cuore; non quella conoscenza che si ottiene mettendo insieme le opinioni di una dotta empietà.
Se cercherai colui che è ineffabile con le discussioni, egli «fuggirà da te più lontano» (Qo 7, 23) di quanto non fosse prima. Se invece lo cercherai con la fede, troverai la sapienza presso le porte della città, dov’è la tua dimora. Lì almeno in parte la potrai vedere; anche allora però potrai raggiungerla solo in parte, proprio perché è invisibile e incomprensibile. Dio è invisibile e tale dobbiamo crederlo, anche se è possibile averne qualche conoscenza da parte di chi ha il cuore puro.

Responsorio Sal 35, 6-7; cfr. Rm 11, 33
R. Signore, la tua grazia è nel cielo, la tua fedeltà sino alle nubi, * la tua giustizia è come i monti più alti, il tuo giudizio come il grande abisso.
V. O profondità della ricchezza, della sapienza e della scienza di Dio! Quanto impenetrabili sono i suoi giudizi!
R. La tua giustizia è come i monti più alti, il tuo giudizio come il grande abisso.

sentenza sul salmo 86

SALMO 86 Gerusalemme, madre di tutti i popoli
La Gerusalemme di lassù è libera ed è la nostra madre (Gal 4, 26).

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CORPUS DOMINI CON IL PAPA – MESSA A SAN GIOVANNI IN LATERANO E PROCESSIONE

come sapete a Roma questo giovedì c’è la messa e la processione con il Papa, e, dato che sono a Roma, e di Roma, ci sono andata, devo dire che sia la messa è stata molto partecipata, più che negli anni passati, oramai da molti anni, tutti rispondevano e cantavano, tutti ci siamo scambiati la pace, come dentro una Chiesa, il prato antistante la Basilica è diventato veramente un’assemblea; poi la processione, eravamo moltissimi e poi, durante il percorso da San Giovanni a Santa Maria Maggiore siamo diventati sempre di più, stranamente, molti che, forse, non avevano partecipato alla messa hanno poi fatto la processione, sì, c’erano anche molti tedeschi, ma anche francesi, molti uomini, molti giovani; arrivati alla fine ossia sulla Piazza davanti alla Basilica di Santa Maria Maggiore – cioè molti, come me, non sono riusciti ad entrare, ma anche dalla strada si vedeva bene la Basilica e si partecipava bene – alla fine al canto del « Salve Regina » in latino, ovvio, la voce del coro è stata altissima e senza stonature, senza troppe, abbiamo cantato tutti, è stato bello;

Pope Benedict XVI takes part in a candlelit Corpus Domini procession between the basilicas San Giovanni in Laterano and Santa Maria Maggiore in Rome May 22, 2008.
REUTERS/Alessandro Bianchi (ITALY) 
 

photo:

http://news.yahoo.com/

OMELIA DI PAPA BENEDETTO XVI
http://www.zenit.org/article-14453?l=italian

Omelia del Papa al Laterano per la Solennità del Corpus Domini

ROMA, giovedì, 22 maggio 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il testo dell’omelia pronunciata questo giovedì da Benedetto XVI nel presiedere sul sagrato della Basilica di San Giovanni in Laterano la Messa per la Solennità del Corpus Domini, che in Italia e in altri Paesi sarà celebrata domenica prossima.

Cari fratelli e sorelle!

Dopo il tempo forte dell’anno liturgico, che incentrandosi sulla Pasqua si distende nell’arco di tre mesi – prima i quaranta giorni della Quaresima, poi i cinquanta giorni del Tempo pasquale –, la liturgia ci fa celebrare tre feste che hanno invece un carattere “sintetico”: la Santissima Trinità, quindi il Corpus Domini, e infine il Sacro Cuore di Gesù. Qual è il significato proprio della solennità odierna, del Corpo e Sangue di Cristo? Ce lo dice la celebrazione stessa che stiamo compiendo, nello svolgimento dei suoi gesti fondamentali: prima di tutto ci siamo radunati intorno all’altare del Signore, per stare insieme alla sua presenza; in secondo luogo ci sarà la processione, cioè il camminare con il Signore; e infine l’inginocchiarsi davanti al Signore, l’adorazione, che inizia già nella Messa e accompagna tutta la processione, ma culmina nel momento finale della benedizione eucaristica, quando tutti ci prostreremo davanti a Colui che si è chinato fino a noi e ha dato la vita per noi. Soffermiamoci brevemente su questi tre atteggiamenti, perché siano veramente espressione della nostra fede e della nostra vita.

Il primo atto, dunque, è quello di radunarsi alla presenza del Signore. E’ ciò che anticamente si chiamava “statio”. Immaginiamoci per un momento che in tutta Roma non vi sia che quest’unico altare, e che tutti i cristiani della città siano invitati a radunarsi qui, per celebrare il Salvatore morto e risorto. Questo ci dà l’idea di che cosa sia stata alle origini, a Roma e in tante altre città dove giungeva il messaggio evangelico, la celebrazione eucaristica: in ogni Chiesa particolare vi era un solo Vescovo e intorno a Lui, intorno all’Eucaristia da lui celebrata, si costituiva la Comunità, unica perché uno era il Calice benedetto e uno il Pane spezzato, come abbiamo ascoltato dalle parole dell’apostolo Paolo nella seconda Lettura (cfr 1 Cor 10,16-17). Viene alla mente quell’altra celebre espressione paolina: “Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (Gal 3,28). Tutti voi siete non solo una cosa ma uno! In queste parole si sente la verità e la forza della rivoluzione cristiana, la rivoluzione più profonda della storia umana, che si sperimenta proprio intorno all’Eucaristia: qui si radunano alla presenza del Signore persone diverse per età, sesso, condizione sociale, idee politiche. L’Eucaristia non può mai essere un fatto privato, riservato a persone che si sono scelte per affinità o amicizia. L’Eucaristia è un culto pubblico, che non ha nulla di esoterico, di esclusivo. Anche qui, stasera, non abbiamo scelto noi con chi incontrarci, siamo venuti e ci troviamo gli uni accanto agli altri, accomunati dalla fede e chiamati a diventare un unico corpo condividendo l’unico Pane che è Cristo. Siamo uniti al di là delle nostre differenze di nazionalità, di professione, di ceto sociale, di idee politiche: ci apriamo gli uni agli altri per diventare una cosa sola a partire da Lui. Questa fin dagli inizi è stata una caratteristica del cristianesimo realizzata visibilmente intorno all’Eucaristia, e occorre sempre vigilare perché le ricorrenti tentazioni di particolarismo, seppure in buona fede, non vadano di fatto in senso opposto. Pertanto, il Corpus Domini ci ricorda anzitutto questo: che essere cristiani vuol dire radunarsi da ogni parte per stare alla presenza dell’unico Signore e diventare uno con Lui e in Lui.

Il secondo aspetto costitutivo è il camminare con il Signore. E’ la realtà manifestata dalla processione, che vivremo insieme dopo la Santa Messa, quasi come un suo naturale prolungamento, muovendoci dietro Colui che è la Via, il Cammino. Con il dono di Se stesso nell’Eucaristia, il Signore Gesù ci libera dalle nostre “paralisi”, ci fa rialzare e ci fa “pro-cedere”, ci fa fare cioè un passo avanti, e poi un altro passo, e così ci mette in cammino, con la forza di questo Pane della vita. Come accadde al profeta Elia, che si era rifugiato nel deserto per paura dei suoi nemici, e aveva deciso di lasciarsi morire (cfr 1 Re 19,1-4). Ma Dio lo svegliò dal sonno e gli fece trovare lì accanto una focaccia appena cotta: “Alzati e mangia – gli disse – perché troppo lungo per te è il cammino” (1 Re 19, 5.7). La processione del Corpus Domini ci insegna che l’Eucaristia ci vuole liberare da ogni abbattimento e sconforto, ci vuole far rialzare, perché possiamo riprendere il cammino con la forza che Dio ci dà mediante Gesù Cristo. E’ l’esperienza del popolo d’Israele nell’esodo dall’Egitto, la lunga peregrinazione attraverso il deserto, di cui ci ha parlato la prima Lettura. Un’esperienza che per Israele è costitutiva, ma risulta esemplare per tutta l’umanità. Infatti l’espressione “l’uomo non vive soltanto di pane, ma … di quanto esce dalla bocca del Signore” (Dt 8,3) è un’affermazione universale, che si riferisce ad ogni uomo in quanto uomo. Ognuno può trovare la propria strada, se incontra Colui che è Parola e Pane di vita e si lascia guidare dalla sua amichevole presenza. Senza il Dio-con-noi, il Dio vicino, come possiamo sostenere il pellegrinaggio dell’esistenza, sia singolarmente che in quanto società e famiglia dei popoli? L’Eucaristia è il Sacramento del Dio che non ci lascia soli nel cammino, ma si pone al nostro fianco e ci indica la direzione. In effetti, non basta andare avanti, bisogna vedere verso dove si va! Non basta il “progresso”, se non ci sono dei criteri di riferimento. Anzi, se si corre fuori strada, si rischia di finire in un precipizio, o comunque di allontanarsi più rapidamente dalla meta. Dio ci ha creati liberi, ma non ci ha lasciati soli: si è fatto Lui stesso “via” ed è venuto a camminare insieme con noi, perché la nostra libertà abbia anche il criterio per discernere la strada giusta e percorrerla.

E a questo punto non si può non pensare all’inizio del “decalogo”, i dieci comandamenti, dove sta scritto: “Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d’Egitto, dalla condizione di schiavitù: non avrai altri dèi di fronte a me” (Es 20,2-3). Troviamo qui il senso del terzo elemento costitutivo del Corpus Domini: inginocchiarsi in adorazione di fronte al Signore. Adorare il Dio di Gesù Cristo, fattosi pane spezzato per amore, è il rimedio più valido e radicale contro le idolatrie di ieri e di oggi. Inginocchiarsi davanti all’Eucaristia è professione di libertà: chi si inchina a Gesù non può e non deve prostrarsi davanti a nessun potere terreno, per quanto forte. Noi cristiani ci inginocchiamo solo davanti a Dio, davanti al Santissimo Sacramento, perché in esso sappiamo e crediamo essere presente l’unico vero Dio, che ha creato il mondo e lo ha tanto amato da dare il suo Figlio unigenito (cfr Gv 3,16). Ci prostriamo dinanzi a un Dio che per primo si è chinato verso l’uomo, come Buon Samaritano, per soccorrerlo e ridargli vita, e si è inginocchiato davanti a noi per lavare i nostri piedi sporchi. Adorare il Corpo di Cristo vuol dire credere che lì, in quel pezzo di pane, c’è realmente Cristo, che dà vero senso alla vita, all’immenso universo come alla più piccola creatura, all’intera storia umana come alla più breve esistenza. L’adorazione è preghiera che prolunga la celebrazione e la comunione eucaristica e in cui l’anima continua a nutrirsi: si nutre di amore, di verità, di pace; si nutre di speranza, perché Colui al quale ci prostriamo non ci giudica, non ci schiaccia, ma ci libera e ci trasforma.

Ecco perché radunarci, camminare, adorare ci riempie di gioia. Facendo nostro l’atteggiamento adorante di Maria, che in questo mese di maggio ricordiamo particolarmente, preghiamo per noi e per tutti; preghiamo per ogni persona che vive in questa città, perché possa conoscere Te, o Padre, e Colui che Tu hai mandato, Gesù Cristo. E così avere la vita in abbondanza. Amen.

VENERDÌ 23 MAGGIO 2008

LODI

sentenza sul salmo 50

SALMO 50 Pietà di me, o Signore
Rinnovatevi nello spirito della vostra mente e rivestite l’uomo nuovo (cfr Ef 4,23-24)http://www.bibbiaedu.it/pls/bibbiaol/GestBibbia.Ricerca?Libro=Salmi&Capitolo=50

Lettura Breve 2 Cor 12, 9b-10
9B. Mi vanterò ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. 10. Perciò mi compiaccio nelle mie infermità, negli oltraggi, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: quando sono debole, è allora che sono forte.

SABATO 24 MAGGIO 2008-05-24

 

LODI

sentenza sul salmo 116

SALMO 116   Invito a lodare Dio per il suo amore
Questo io dico: Le nazioni pagane glorificano Dio per la sua misericordia (cfr. Rm 15, 8. 9).

Lodate il Signore, popoli tutti, *
voi tutte, nazioni, dategli gloria; 

perché forte è il suo amore per noi *
e la fedeltà del Signore dura in eterno.


Lettura Breve
Fil 2, 14-15
14. Fate tutto senza mormorazioni e senza critiche, 15. perché siate irreprensibili e semplici, figli di Dio immacolati in mezzo a una generazione perversa e degenere, nella quale dovete splendere come astri nel mondo.

sulla sapienza, dalla « Fides et Ratio » Lettera Enciclica, Giovanni Paolo II – 1998

sulla sapienza, stralcio dal libretto che ho a casa:

LETTERA ENCICLICA
FIDES ET RATIO
DEL SOMMO PONTEFICE
GIOVANNI PAOLO II
AI VESCOVI DELLA CHIESA CATTOLICA
CIRCA I RAPPORTI
TRA FEDE E RAGIONE

CAPITOLO II

CREDO UT INTELLEGAM

« Acquista la sapienza, acquista l’intelligenza » (Pro 4, 5) 21-23 San Paolo

21. La conoscenza, per l’Antico Testamento, non si fonda soltanto su una attenta osservazione dell’uomo, del mondo e della storia, ma suppone anche un indispensabile rapporto con la fede e con i contenuti della Rivelazione. Qui si trovano le sfide che il popolo eletto ha dovuto affrontare e a cui ha dato risposta. Riflettendo su questa sua condizione, l’uomo biblico ha scoperto di non potersi comprendere se non come « essere in relazione »: con se stesso, con il popolo, con il mondo e con Dio. Questa apertura al mistero, che gli veniva dalla Rivelazione, è stata alla fine per lui la fonte di una vera conoscenza, che ha permesso alla sua ragione di immettersi in spazi di infinito, ricevendone possibilità di comprensione fino allora insperate. Lo sforzo della ricerca non era esente, per l’Autore sacro, dalla fatica derivante dallo scontro con i limiti della ragione. Lo si avverte, ad esempio, nelle parole con cui il Libro dei Proverbi denuncia la stanchezza dovuta al tentativo di comprendere i misteriosi disegni di Dio (cfr 30, 1-6). Tuttavia, malgrado la fatica, il credente non si arrende. La forza per continuare il suo cammino verso la verità gli viene dalla certezza che Dio lo ha creato come un « esploratore » (cfr Qo 1, 13), la cui missione è di non lasciare nulla di intentato nonostante il continuo ricatto del dubbio. Poggiando su Dio, egli resta proteso, sempre e dovunque, verso ciò che è bello, buono e vero.

22. San Paolo, nel primo capitolo della sua Lettera ai Romani, ci aiuta a meglio apprezzare quanto penetrante sia la riflessione dei Libri Sapienziali. Sviluppando un’argomentazione filosofica con linguaggio popolare, l’Apostolo esprime una profonda verità: attraverso il creato gli « occhi della mente » possono arrivare a conoscere Dio. Egli, infatti, mediante le creature fa intuire alla ragione la sua « potenza » e la sua « divinità » (cfr Rm 1, 20). Alla ragione dell’uomo, quindi, viene riconosciuta una capacità che sembra quasi superare gli stessi suoi limiti naturali: non solo essa non è confinata entro la conoscenza sensoriale, dal momento che può riflettervi sopra criticamente, ma argomentando sui dati dei sensi può anche raggiungere la causa che sta all’origine di ogni realtà sensibile. Con terminologia filosofica potremmo dire che, nell’importante testo paolino, viene affermata la capacità metafisica dell’uomo. Secondo l’Apostolo, nel progetto originario della creazione era prevista la capacità della ragione di oltrepassare agevolmente il dato sensibile per raggiungere l’origine stessa di tutto: il Creatore. A seguito della disobbedienza con la quale l’uomo scelse di porre se stesso in piena e assoluta autonomia rispetto a Colui che lo aveva creato, questa facilità di risalita a Dio creatore è venuta meno. Il Libro della Genesi descrive in maniera plastica questa condizione dell’uomo, quando narra che Dio lo pose nel giardino dell’Eden, al cui centro era situato « l’albero della conoscenza del bene e del male » (2, 17). Il simbolo è chiaro: l’uomo non era in grado di discernere e decidere da sé ciò che era bene e ciò che era male, ma doveva richiamarsi a un principio superiore. La cecità dell’orgoglio illuse i nostri progenitori di essere sovrani e autonomi, e di poter prescindere dalla conoscenza derivante da Dio. Nella loro originaria disobbedienza essi coinvolsero ogni uomo e ogni donna, procurando alla ragione ferite che da allora in poi ne avrebbero ostacolato il cammino verso la piena verità. Ormai la capacità umana di conoscere la verità era offuscata dall’avversione verso Colui che della verità è fonte e origine. E ancora l’Apostolo a rivelare quanto i pensieri degli uomini, a causa del peccato, fossero diventati « vani » e i ragionamenti distorti e orientati al falso (cfr Rm 1, 21-22). Gli occhi della mente non erano ormai più capaci di vedere con chiarezza: progressivamente la ragione è rimasta prigioniera di se stessa. La venuta di Cristo è stata l’evento di salvezza che ha redento la ragione dalla sua debolezza, liberandola dai ceppi in cui essa stessa s’era imprigionata.

23. Il rapporto del cristiano con la filosofia, pertanto, richiede un discernimento radicale. Nel Nuovo Testamento, soprattutto nelle Lettere di san Paolo, un dato emerge con grande chiarezza: la contrapposizione tra « la sapienza di questo mondo » e quella di Dio rivelata in Gesù Cristo. La profondità della sapienza rivelata spezza il cerchio dei nostri abituali schemi di riflessione, che non sono affatto in grado di esprimerla in maniera adeguata. L’inizio della prima Lettera ai Corinzi pone con radicalità questo dilemma. Il Figlio di Dio crocifisso è l’evento storico contro cui s’infrange ogni tentativo della mente di costruire su argomentazioni soltanto umane una giustificazione sufficiente del senso dell’esistenza. Il vero punto nodale, che sfida ogni filosofia, è la morte in croce di Gesù Cristo. Qui, infatti, ogni tentativo di ridurre il piano salvifico del Padre a pura logica umana è destinato al fallimento. « Dov’è il sapiente? Dov’è il dotto? Dove mai il sottile ragionatore di questo mondo? Non ha forse Dio dimostrato stolta la sapienza di questo mondo? » (1 Cor 1, 20), si domanda con enfasi l’Apostolo. Per ciò che Dio vuole realizzare non è più possibile la sola sapienza dell’uomo saggio, ma è richiesto un passaggio decisivo verso l’accoglienza di una novità radicale: « Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti [...]; Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono » (1 Cor 1, 27-28). La sapienza dell’uomo rifiuta di vedere nella propria debolezza il presupposto della sua forza; ma san Paolo non esita ad affermare: « Quando sono debole, è allora che sono forte » (2 Cor 12, 10). L’uomo non riesce a comprendere come la morte possa essere fonte di vita e di amore, ma Dio ha scelto per rivelare il mistero del suo disegno di salvezza proprio ciò che la ragione considera « follia » e « scandalo ». Parlando il linguaggio dei filosofi suoi contemporanei, Paolo raggiunge il culmine del suo insegnamento e del paradosso che vuole esprimere: « Dio ha scelto ciò che nel mondo [...] è nulla per ridurre a nulla le cose che sono » (1 Cor 1, 28). Per esprimere la natura della gratuità dell’amore rivelato nella croce di Cristo, l’Apostolo non ha timore di usare il linguaggio più radicale che i filosofi impiegavano nelle loro riflessioni su Dio. La ragione non può svuotare il mistero di amore che la Croce rappresenta, mentre la Croce può dare alla ragione la risposta ultima che essa cerca. Non la sapienza delle parole, ma la Parola della Sapienza è ciò che san Paolo pone come criterio di verità e, insieme, di salvezza. La sapienza della Croce, dunque, supera ogni limite culturale che le si voglia imporre e obbliga ad aprirsi all’universalità della verità di cui è portatrice. Quale sfida viene posta alla nostra ragione e quale vantaggio essa ne ricava se vi si arrende! La filosofia, che già da sé è in grado di riconoscere l’incessante trascendersi dell’uomo verso la verità, aiutata dalla fede può aprirsi ad accogliere nella « follia » della Croce la genuina critica a quanti si illudono di possedere la verità, imbrigliandola nelle secche di un loro sistema. Il rapporto fede e filosofia trova nella predicazione di Cristo crocifisso e risorto lo scoglio contro il quale può naufragare, ma oltre il quale può sfociare nell’oceano sconfinato della verità. Qui si mostra evidente il confine tra la ragione e la fede, ma diventa anche chiaro lo spazio in cui ambedue si possono incontrare.

Saint Paul, homme de prière (San Paolo uomo di preghiera) francese

france.png 

dal sito: 

http://www.esprit-et-vie.com/article.php3?id_article=650

Claude TASSIN  Saint Paul, homme de prière 

P. Paul Bony 

Paris, Éd. de l’Atelier, coll. « Vivre, Croire, Célébrer, Recherches », 2003. –

Esprit et Vie n°94 – novembre 2003 – 2e quinzaine, p. 22-23. 

Le sous-titre, Originalité d’une prière d’Apôtre, dit bien l’angle d’approche spécifique de la prière paulinienne. Après tout, on pouvait s’y attendre, tellement la vocation apostolique de Paul est déterminante de son existence chrétienne. « Une conviction sous-tend les pages qui suivent : en lisant Paul, nous découvrons une prière apostolique spécifique, non point un supplément d’âme s’ajoutant à l’apostolat, mais une action qui fait partie intégrante du service de l’Évangile et, en cela, digne d’intérêt pour quiconque a aujourd’hui, d’une manière ou d’une autre, mission de servir la parole de Dieu » (p. 14). 

L’auteur procède par l’analyse de textes-clés, à partir desquels il élabore quelques propositions de synthèse sur la prière apostolique. Plutôt que de suivre les quatre chapitres de l’ouvrage – où alternent, dans un plan qui pourrait être plus cohérent : analyse de textes pauliniens, rappel de l’enracinement biblique et juif de la prière paulinienne, synthèses provisoires et nouvelle analyse de texte -, cherchons à rendre compte des points de vue majeurs qui traversent tout le livre. 

1. Une remarque préliminaire : Paul ne livre pas sa prière elle-même, mais ce qu’elle lui a permis de reconnaître de l’œuvre de Dieu à travers son ministère (d’où l’action de grâces) et ce qu’elle lui désigne maintenant comme progrès à attendre et favoriser dans l’existence des communautés qu’il a évangélisées (d’où la supplication). Paul ne nous livre pas sa prière en direct, cela reste le secret de son intimité avec Dieu, mais des comptes-rendus de sa prière : ce qu’il est profitable d’en communiquer à ses destinataires. Il ne dit pas : « Je te rends grâces, Dieu, pour l’Évangile qu’ils ont reçu » (je-tu-ils), mais : « Je rends grâces à Dieu pour l’Évangile que vous avez reçu » (je-lui-vous). C’est pourquoi le « compte-rendu » de prière tourne facilement à l’enseignement et anticipe en début de lettre, de manière allusive, ce qui en constituera les grandes préoccupations. 

2. En effet les deux pôles de la prière apostolique, action de grâces et supplication, sont enracinés dans les événements et les situations du ministère apostolique et des communautés. On peut le vérifier dans l’analyse de Ph 1 et de Rm 1 : dans un cas, la participation active des Philippiens à la grâce apostolique de Paul dès les débuts de l’Évangile ; dans l’autre, l’accueil de l’Évangile chez les Romains, parmi les nations, mais en communion avec la foi judéo-chrétienne des origines. La prière de l’Apôtre n’est pas une addition externe au ministère ; elle est « un acte de justice » qui fait droit à la reconnaissance de « la justice de Dieu », laquelle est à l’origine de l’Évangile et de sa fécondité spirituelle, bien plus qui en est la substance même, ce qui fait que la prière d’action de grâces est encore l’annonce de la grâce. La prière de l’Apôtre est aussi discernement et accueil de ce que Dieu veut continuer de faire dans les communautés comme dans le ministère apostolique. Elle maintient ministère et communauté sous l’horizon du Jour du Christ. Elle désenclave les réalisations présentes de leurs limites et entretient l’espérance. Ainsi l’action de grâces pour le passé et la supplication dans le présent espèrent déboucher sur la louange de Dieu lors de l’avenir eschatologique, lourd « de ce fruit de justice » que nous aurons porté par le Christ Jésus »

3. Dans la prière de l’Apôtre s’opère un acte de discernement qui relève de la dimension prophétique du ministère apostolique. Ce point de vue est fortement et judicieusement mis en valeur par Claude Tassin : « Disons que l’expérience de Paul fait de la prière un lieu de discernement prophétique de l’agir chrétien » (p. 14). En effet, Paul est conscient de la dimension prophétique de son apostolat : il est apôtre à la manière des prophètes. En annonçant l’Évangile, il discerne l’œuvre de Dieu dans l’histoire. En conséquence, il appelle à la conversion. Et comme les prophètes, il intercède pour le peuple dont il est chargé, afin qu’il parvienne à la plénitude du salut. Ce discernement prophétique, recherché dans la prière, est en premier lieu l’apanage de l’Apôtre, mais il est aussi partagé par l’ensemble des croyants, qui sont en mesure de s’exhorter et de s’entraîner mutuellement dans la fidélité à l’Évangile. De cette prière de la communauté, Paul souhaite bénéficier lui aussi pour le discernement et l’accomplissement de sa mission. L’intercession n’est pas à sens unique, elle est mutuelle, même si elle n’est pas symétrique. 

4. Ce que Jeremias disait de Jésus : « Jésus et ses disciples sont issus d’un peuple qui savait prier », est aussi vrai de Paul. Claude Tassin n’a pas de peine à relier les démarches de la prière apostolique non seulement à la responsabilité prophétique, mais plus largement aux grands axes de la prière biblique et juive, spécialement des Psaumes : louange, action de grâces, cris de détresse. C’est bien cela que Paul reprend, bien que ce ne soit pas dans le même ordre : on va de l’action de grâces à la louange en passant par la supplication pour traverser la crise qui va du salut pascal au salut final. Cette trajectoire est bien visible dans le compte-rendu de la prière en Ph 1, 3-11. Au passage, Claude Tassin remarque comment Jésus, dans la parabole du pharisien et du publicain, à la différence de l’inflation des « bénédictions » et de l’action de grâces dans les confréries pharisiennes, donne l’avantage à la prière de demande, parce qu’elle maintient l’orant dans l’humilité de l’accueil et dans l’ouverture au don futur de Dieu. Paul, en tout cas, ne s’arrête jamais à l’action de grâces, si « juste » lui paraît-elle et nécessaire, mais il y joint toujours la prière de demande qui interdit la satisfaction des gens arrivés.  5. Claude Tassin aborde en finale le texte bref mais significatif de Rm 8, 26-30 sur l’intercession de l’Esprit. Celle-ci concerne tous les croyants et pas seulement l’Apôtre. Mais ne livrerait-elle pas la clé de toute prière chrétienne à commencer par la prière apostolique ? En effet, l’intercession de l’Esprit ne vise rien d’autre que le discernement et l’accomplissement ultime de l’Évangile annoncé et reçu. N’est-ce pas justement cela même qui est l’objet de la prière apostolique, en ce qu’elle a de plus spécifique, à l’image de l’intercession prophétique ? Constatant la figure exceptionnelle de l’Esprit dans ce texte de Rm 8, comme « super-intercesseur », Claude Tassin en cherche justement l’explication et l’origine dans le rôle que joue l’Esprit, selon la tradition juive, chez les prophètes, pour discerner l’œuvre de Dieu et pour en rendre grâces – ce que Luc a repris dans son Évangile et dans les Actes (voir Zacharie, Syméon, la communauté primitive de Jérusalem). L’Esprit est à la fois celui qui permet de relire les événements présents à la lumière des Écritures, et celui qui est reçu de Dieu comme fruit de la prière, pour rendre les bénéficiaires à nouveau capables de l’annonce. Paul, quant à lui, intériorise fortement ce rôle de l’Esprit. Il n’est pas le destinataire de la prière, il en est l’inspirateur. Il est celui qui ajuste, qui « met au point » le désir des croyants, pour les conformer au dessein de Dieu : les configurer au Christ, les conduire ainsi à la gloire eschatologique. L’intercession de l’Esprit est la visée même de l’Esprit au cœur des enfants de Dieu. Elle est la seule intercession qui puisse correspondre à la vérité et à la profondeur de l’Évangile. 

Ce parcours paulinien met bien en valeur l’unité intérieure du ministère de l’Évangile et la prière de ceux qui le portent. Rien d’artificiel dans leur rapport, mais justesse et justice. Cela est important à redire aujourd’hui, à l’encontre de toute dichotomie entre vie spirituelle et vie apostolique. On pourrait seulement demander si cette dimension prophétique de la prière apostolique rend compte de toute la richesse spirituelle de la prière paulinienne. Mais l’auteur nous avait prévenus de son angle d’approche. On ne peut lui reprocher de ne pas avoir tout dit. Heureusement ! D’autant plus que ce qu’il dit est déjà d’une grande richesse. Sans minimiser la dimension contemplative inhérente à la relecture de l’œuvre de Dieu dans l’annonce de l’Évangile et dans la fondation des communautés, on peut se demander, quand on lit l’ouvrage d’Alan Segal, Paul le converti (qui fera l’objet d’une importante présentation dans un prochain numéro d’Esprit et Vie), s’il ne faudrait pas faire droit aussi à la dimension « apocalyptique » et « mystique » de la prière de l’Apôtre Paul. Même s’il ne veut pas faire état de son rapt au troisième ciel pour fonder l’authenticité de son apostolat et s’il se hâte de « crucifier » cette élévation par l’évocation de ses handicaps et de ses faiblesses, Paul laisse entrevoir qu’il a connu une vie de prière peu commune, dans laquelle vie en Christ et vie dans l’Esprit ont fait de lui l’émule des plus grands mystiques : le voile de Moïse est tombé. « Et nous tous qui, le visage découvert, réfléchissons comme en un miroir la gloire du Seigneur, nous sommes transformés en cette même image, allant de gloire en gloire, comme de par le Seigneur, qui est l’Esprit » (2 Co 3, 18). 

LA SAPIENZA PREESISTENTE NELLA LETTERATURA PAOLINA (SECONDA PARTE)

LA SAPIENZA PREESISTENTE NELLA LETTERATURA PAOLINA (SECONDA PARTE)

Nobile M., Premesse anticotestamentarie di cristologia, Pontificium Athenaem Antonianum Romae 1993

stralcio dal libro del docente, però voglio rivedere tutto perché per il greco avevo tralasciato le parole - in greco nell’originale – voglio mettere almeno la traslitterazione in caratteri latini altrimenti questo testo perde troppo di significato;

Fil 2, 6-11

TESTO CEI

« il quale, pur essendo di natura divina,

non considerò un tesoro geloso

la sua uguaglianza con Dio; 7 ma spogliò se stesso,

assumendo la condizione di servo

e divenendo simile agli uomini;

apparso in forma umana, 8 umiliò se stesso

facendosi obbediente fino alla morte

e alla morte di croce. 9 Per questo Dio l’ha esaltato

e gli ha dato il nome

che è al di sopra di ogni altro nome; 10 perché nel nome di Gesù

ogni ginocchio si pieghi

nei cieli, sulla terra e sotto terra; 11 e ogni lingua proclami

che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre. »

TESTO RILETTO DAL DOCENTE SULLA BASE DEL TESTO GRECO

(non posso mettere le citazioni in greco le segnalo soltanto, potrei fare la traslitterazione, ma, se interessa, vale la pena di consultare il testo greco di questo passo, è più bello e, per me, più comprensibile)

« (Cristo Gesù), il quale, essendo in forma divina (greco)

non ritenne gelosamente (per sé)

l’essere uguale a Dio (greco)

ma svuotò se stesso (greco)

prendendo una forma di servo (greco)

e divenendo simile agli uomini.

Egli umiliò se stesso,

divenuto obbediente fino alla morte,,

sì alla morte di croce.

È per questo che Dio lo esaltò (greco)

e gli diede il nome,

che è al di sopra di ogni nome,

perché nel mone di Gesù,

ogni ginocchio si pieghi,

al di sopra dei cieli, sulla terra e negl’inferi,

e ogni lingua proclami che

Signore è Gesù Cristo,

a gloria di Dio Padre »

Così come per gli altri brani neotestamentari, non si vuole affrontare l’esegesi di questo testo molto dibattuto, bensì limitarsi alla finalità della nostra indagine, che è quella d’inventariare testimonianze neotestamentarie alle analisi della pagine precedenti. Piuttosto si può obiettare perché s’inserisca Fil 2,6-11 in questa serie di brani paolini, se è oramai pacifico per la maggioranza degli esegeti che esso sia di origine prepaolina.

A ciò possiamo rispondere che l’elenco di testimoni neotestamentari che riportiamo nel nostro studio, non ha preoccupazioni di autenticità (delle quali però non tiene conto nella sua documentazione). Il nostro fine primario è quello di stilare una sequenza di neotestamentari di varia provenienza nei quali sia ravvisabile con una certa fondatezza esegetica la presenza più o meno diretta dei motivi veterotestamentari e giudaici discussi nella pagine precedenti. D’altra parte, l’inno in questione, pur prepaolino, è stato fatto proprio dall’apostolo, come dimostra la sua inserzione in Filippesi.

Perciò basti sottolineare tre cose in questo inno a) l’affermazione che Cristo Gesù è (greco= forma di Dio; b) che la traiettoria del suo ruolo salvifico: discesa dal cielo-svuotamento-esaltazione, riproduce la concezione del viaggio storico-salvifico della Sapienza; c) che quel nome nominato da Dio fin dai primordi, così come si predicava del messia preesistente, è ora identificato nel nome stesso di Gesù.

Per quanto riguarda la definizione del cristo come
, si deve tener presente la connotazione semantica della fisicità connessa con il termine greco morphé (greco). Certo si può pensare in modo positivistico ad un uso fisicista di tale connotazione, né essa può dar luogo ad una troppo precisa determinazione della del Cristo nel senso della dogmatica posteriore. E tuttavia, la parola greca dice qualcosa di più e di diverso dall’affine eixon…Il Cristo appartiene decisamente alla sfera divina. Ma, come a sua volta specifica bene il (autore) la definizione in questione non è dell’ordine dell’ontologia, bensì della funzione, espressa nella traiettoria storico-salvifica dell’inno. In altri termini , la comprensione di morphé (greco) va ricercata meno nel mondo greco e più in quello funzionale-storico della tradizione ebraica.

Ed è qui che si inserisce il secondo elemento sopra sottolineato. La parabola discesa-innalzamento, svuotamento-sopraesaltazione di Cristo, definisce in termini storico-dinamici la comprensione dell’identità di Gesù. Certo egli appartiene alla sfera divina e un’affermazione di ordine ontologico può essere avanzata, ma solo dopo e non prima della traiettoria storico-salvifica. Difatti, per entrare nell’ordine di idee espresso dall’inno, bisogna ricorrere a testi come Sir 24 e Sap 9, ove la Sapienza assume da un lato dei connotati divini (essa è uscita dalla bocca di Dio, secondo il Sir 24,3, e siede sul trono divino, accanto a Dio, secondo Sap 9,4), ma dall’altro trova il suo senso vero nella materializzazione offerta dalla Torà (cfr. Sir 24,23).

Nell’inno ai Filippesi la morphe deou trova il suo senso più autentico nel paradosso della sua contrapposizione alla morphe doulou= forma del servo del verso 7. L’apparizione storica, umana, di Gesù di Narzareth, è la materializzazione estrema di quella forma divina preesistente e trascendente, e la morte di croce è il segno più tangibile, oggettivo, diretto di uno svuotamento : dalla totalità divina all’annientamento umano. Un annientamento reso originale dall’accettazione volontaria (ekhenosen eauton-= svuotò se stesso). Originale e fecondo: è proprio l’averlo voluto che lo ha caricato di efficacia ai fini della glorificazione (vv 9ss). Come si può notare, anche l’inno ai Filippesi è una testimonianza viva e forte della storicità attuale di Gesù e dello sforzo intellettuale dei primi cristiani di fare l’esegesi del suo destino umano di crocifisso. Proprio a quel crocifisso, e proprio perché crocifisso, viene data la possibilità di continuare conseguentemente la traiettoria verso l’esaltazione, che consiste nel conferimento del Nome (v. 9), ed arriviamo al terzo elemento sopra rilevato.

Anche qui si assiste ad un’interessante operazione teologica. Il richiama quell’azione di natura escatologica fatta compiere a Dio in testi giudaici del tipo TgMic 5,1 e Enoc et 48,1-7 (Targum-Michea, ma non sono sicura). Nel quadro degli sviluppi escatologici subiti in epoca intertestamentaria dalla tradizionale ideologia regale e da motivi che vi si connettevano, quali quello dell’esaltazione del Servo di Dio, la comparsa futura della figura messianica veniva descritta, tra l’altro, come un (da parte di Dio) il Nome>. In altri termini, con questa espressione si voleva indicare un’investitura regale, messianica, della figura plenipotenziaria degli ultimi tempi. Si trattava della realizzazione storico-escatologica di una realtà protologica, esistente prima della creazione.

Questo schema concettuale è senza dubbio presente in quel deos… ekapisato auto to onoma to yper pan onoma = (v 10): quel Nome sovrumano sul quale si era tanto elucubrato nei circoli a tendenza escatologica, ora è preciso ed è nome storico: Gesù. L’applicazione e l’identificazione era stata operata. Non solo. Ammiccando a Is 45,23 (23 Lo giuro su me stesso, dalla mia bocca esce la verità, una parola irrevocabile: davanti a me si piegherà ogni ginocchio, per me giurerà ogni lingua)

, il v. 11 compie un’altra identificazione. Se nel testo deuteroisaiano, oggetto della lode e della proschinesi (inchino reverente) è YHWH, nell’inno, soggetto è Gesù Cristo, che è il , titolo proprio di Dio. Un’evidente riferimento a tali idee è presente anche nell’inno della Lettera ai Colossesi.

segue un’esegesi di Col 1,15-20 su altro post

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