pensieri ed emozioni su 8, 26: « Neppure sappiamo che cosa sia conveniente domandare »

pensieri ed emozioni su 8, 26: « Neppure sappiamo che cosa sia conveniente domandare »

ho cominciato a scrivere questi appunti personali sotto « pensieri » però mi sono accorta che non sono soltanto pensieri quelli che si rincorrono dentro di me alla lettura ed allo studio dei scritti di San Paolo e degli Atti – la sua storia – sono anche emozioni, sentimenti, partecipazione ed ho cambiato il titolo di questa « categoria » in « Appunti di viaggio »;

Così oggi mi accorgo che si è fermata dentro di me e continua passarmi nella mente la frase di Rm 8,26 ed anche tutto il capitolo 8;

noi preghiamo con il Padre nostro, la preghiera che ci ha donato Gesù, con l’Ave Maria, che ci viene dalla Scrittura; a volte preghiamo con formule, che in liturgia rimandano all’evento della croce, alla risurrezione, all’ultima cena, o con altre preghiere dettate dalla fede della Chiesa;

in questo passo della Lettera ai Romani ed in tutto il capitolo 8 Paolo afferma qualcosa che continua ad interrogarmi: che si può pregare solo sotto l’azione dello Spirito Santo e mi accorgo che la preghiera più bella a volte si ferma sulle labbra, che non entra nel cuore, che non viene dallo Spirito – non parlo ora delle preghiere di domanda che si fanno tutti i giorni e che sono buone – ma di quei momenti nei quali la preghiera è liturgia, è confessione di fede;

mi appare e mi rincorre come una sorta di « silenzio » nel momento stesso in cui le pronuncio, come un’attesa che le parole diventino vita, che le parole che pronunciamo o che ci vengono alla mente diventano vita non per opera nostra, ma dello spirito di Dio;

se diciamo « Abbà Padre » (Rm 8,15) « lo Spirito attesta al nostro Spirito che siamo figli di Dio » (Rm 18,16), se diciamo al Padre « Padre », se lo gridiamo, in questo grido c’è tutta la fragilità dell’uomo, tutta la nostra realtà di creature e di figli;

è un « credo » che diventa giorno dopo giorno più importante, mano a mano che il Signore risorto si fa conoscere a noi ed allora la parola pronunciata ieri non è quella di oggi, è un cammino nel quale si rivela Gesù Risorto e nel quale, attraverso di lui, conosciamo il Padre, non è mai la stessa parola, la stessa preghiera;

Paolo, credo, parla sia della preghiera per il « pane quotidiano », sia, e soprattutto, quella per il pane eucaristico;

leggevo in questi giorni la storia del Cardinale Nguyen Van Thuan, vietnamita nominato arcivescovo coadiutore a Saigon nel 1975, dopo qualche mese fu incarcerato, egli ha vissuto tredici anni in prigione senza essere stato giudicato ne condannato, c’è il racconto di come è riuscito a rimanere nella fede, di come è riuscito a celebrare l’eucaristia, ho il libro solo in francese: «  »Témoins de l’espérance », egli scrive, traduco una frase liberamente: « Così non è più che noi viviamo, ma Cristo, lui stesso, che viene a vivere in noi. Per mezzo le parole della Scrittura, è il Verbo che stabilisce la sua dimora in noi e ci trasforma in lui. », le parole lui le ha trovate nella Scrittura, parole vive, Cristo stesso che parla, vita, molto più che comunicazione;

in Paolo trovo questa sorta di abbandono profondo alla « Parola » tanto che la propria, la sua stessa, sembra perdere di significato e lui non sa che cosa sia conveniente domandare, è lo Spirito che con « gemiti inesprimibili » intercede con insistenza, le parole sono dello Spirito perché « intercede per i credenti secondo i disegni di Dio »;

insomma questo sto riflettendo, la preghiera, quella vera, quella che è possibile formulare, che è conveniente formulare, viene da Dio stesso per questo senza di lui noi: « nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare »;

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